Messico, 16 ottobre 1968: La storia nel segno dei Gemelli
Tommie Smith, Peter Norman, John Carlos: Il potere di un gesto
COBURG, LUNEDÌ 15 GIUGNO 1942: sotto il segno dei gemelli, il padre macellaio, nasce Peter George Norman. Sulla terra di un’Austrialia in timida uscita dalla crisi economica e scombussolata nei suoi equilibri dall’attacco di Pearl Harbor d’appena un semestre prima, posa dunque i suoi minuscoli piedi un piccolo bimbo dal grande animo. Quel fanciullo dal cuore immenso nato fra canguri, diverrà ben presto fiero appartenente al movimento internazionale evangelico fondato a Londra nel 1865 da William Booth, l’Esercito della Salvezza, organizzazione missionaria cristiana seconda solo alla Chiesa cattolica e promotrice d’un Cristianesimo vero, concreto, attento ai bisogni degli indigenti ed in ottica d’aiuto ai bisogni primari, d’opposta visione alla concezione materialistica della vita ed in principale sostegno al disagio sociale.
CLARKSVILLE, MARTEDÌ 6 GIUGNO 1944: sotto il segno dei gemelli, il padre raccoglitore di cotone, nasce Thomas C. Smith. Settimo di dodici figli, attraversa gli anni ‘50 ricurvo per più ore al giorno sopra piantagioni di cotone in compagnia di padre e fratelli. Nel petto dell’infante texano dal magrissimo fisico, sopraggiunge un’improvvisa polmonite, acuta e devastante a tal punto da condurlo quasi alla morte. Gli anni successivi lo vedranno impegnato, con determinazione e costanza, in un percorso di studi a termine del quale conseguirà due lauree, appassionandosi nel frattempo all’atletica leggera, registrando tredici record universitari in qualità di sprinter ed intascandosi il sogno di partecipare alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968.
NEW YORK, MARTEDÌ 5 GIUGNO 1945: sotto il segno dei gemelli nasce John Wesley Carlos, il padre calzolaio. Ragazzino dislessico, frequenta la stessa università di Thomas C. Smith, concentrando i propri sogni nella corsa, unica possibilità di fuga per un futuro dignitoso. All’Università di San José poco importa della dislessia di John, d’altro canto, per un college soprannominato Speed City in virtù dell’elevato numero di velocisti di caratura mondiale fra i suoi banchi, un afroamericano in periodo d’estrema segregazione razziale altro non rappresenta che un ‘cavallo da corsa’ alla rincorsa di medaglie. Resta impigliato nelle sue tasche il sogno del nuoto, essendogli impossibile frequentare piscine ove si allenano persone di pelle bianca.
CITTÀ DEL MESSICO, DOMENICA 16 OTTOBRE 1968, ORE 22.00: ai blocchi di partenza di quella che sarà ricordata nella storia come una delle gare più simboliche del secolo, partiranno i tre nati sotto il segno dei gemelli. Un uomo dal cuore grande, uno studente esemplare con il vento nelle gambe ed un ragazzo dislessico con il nuoto fra i pensieri. Nell’anno per antonomasia delle contestazioni più accese, delle rivolte più sentite, delle segregazioni più efferate, i tre corridori sulla vita si uniranno in un’azione, inseguiranno un ideale, sacrificheranno un sogno.
Non vedevo perché un uomo nero non potesse bere la stessa acqua da una fontana, prendere lo stesso pullman o andare alla stessa scuola di un uomo bianco. Era un’ingiustizia sociale per la quale nulla potevo fare da dove ero, ma certamente io la detestavo. È stato detto che condividere il mio argento con tutto quello che accadde quella notte alla premiazione abbia oscurato la mia performance. Invece è il contrario. Lo devo confessare: io sono stato piuttosto fiero di farne parte.
Peter Norman
Il tempo del cambiamento
Staffetta fra un prima ed un dopo che si strinsero la mano in quello che sarà ricordato come l’anno del cambiamento mondiale per antonomasia, il 1968 fu bollente periodo storico di guerre, battaglie, rivoluzioni, contestazioni ad ampio raggio in ambito politico, ideologico, religioso, umanistico e di virata concettuale a tal valenza simbolica, da condurre perfino l’arguta ed errante penna di pantera dell’Oriana Fallaci a chiuderne storia fra pagine di romanzo, con stessa annata a titolo, come fosse vaso di Pandora in versione bellico-sovversiva.
Annata cruciale in cui grandi movimenti di massa, spesso di spontanea aggregazione seppur disomogenei nella provenienza dei singoli, s’unirono in un grido di protesta contro pregiudizi socio-politici in gran parte del mondo, concentrando la successione degli eventi in un periodo talmente ristretto, da far di quell’infuocata dozzina di mesi il perno primo del cambiamento collettivo. Il colpo magmatico che portò all’eruzione esplose quattro anni prima, nel 1964, nei campus dell’Università californiana di Berkeley, ove la protesta giovanile, inglobando più ceti sociali, s’estese a macchia d’olio in difesa dei diritti civili, in netta contrapposizione a stili di vita elistici ed urlante posizioni fortemente in antitesi alla guerra del Vietnam; eco d’urlo che contemporaneamente perforava i timpani del blocco orientale, ove desiderio di libertà ed insofferenza ad oppressioni partitiche dotarono di decibel la voce del popolo.
La morte di Che Guevara nel 1967 sarà benzina sul fuoco d’ogni ideale rivoluzionario, consacrandolo simbolicamente come idolo primo di spirito insurrezionalista e marciando sul suo motto, a tratti utopico, di «Creare due, tre, molti Vietnam», nell’intenzione di sconfitta dell’imperialismo statunitense attraverso piccoli fuochi ribelli in più parti del mondo. Dalle scuole alle fabbriche, nella quasi totalità del globo, non vi sarà principio non contestato se non quello d’uguaglianza, al contrario sostenuto con passionale determinazione al fine di scardinare qualsiasi forma di discriminazione etnica.
Archetipo di riferimento fu il movimento per i diritti civili degli afroamericani, originatosi in principio anni sessanta nelle università del Nord America a fini democratici, in sanguigna antitesi alla segregazione razziale ed a filosofie politiche corrotte ed integerrime sostenitrici del militarismo, oltre che fortemente dittatoriali e maccartiste nei confronti di qualsiasi tentativo d’opposizione al sistema. A sostegno del diritto d’uguaglianza nella diversità, intesa come soppressione dei privilegi dei bianchi seppur nel mantenimento della propria identità culturale, fu, negli anni cinquanta, un movimento partorito dalle comunità di colore negli Stati del Sud ed espansosi nel giro d’un decennio a suon d’agitazioni e con conseguenti successi politici ottenuti in pochi anni.
La polarizzazione delle lotte statunitensi dell’epoca attorno alla guerra del Vietnam, incluse al comando di timone l’intensa battaglia delle popolazioni di colore per il riconoscimento del valore umano che spettava loro indipendentemente da “nuances di pelle”, sfociando l’esasperazione in due filoni uniti negli ideali, ma distinti nell’approccio al raggiungimento degli stessi, ossia un filone pacifista guidato dal pastore battista e nonviolento Martin Luther King, desideroso d’un’integrazione etnica di pari valore universale, ed uno più esclusivista, a capo personalità quali Angela Davis e Malcolm X, inflessibile nel desiderio di condurre il Black Power allo scacco matto nella partita fra neri e bianchi.
Furono le Pantere Nere ad indossare il tal approccio come abito cucito all’anima a fil di rabbia e frustrazione.
Oltre il sipario d’un palcoscenico che nel fuoco sessantottino s’alzò sulla sconfinante violenza degli universitari francesi in occupazione della Sorbona in agguerrita sfida allo stato, sugli scontri fra studenti britannici nel tentativo di sdoganare l’ambiente universitario da coercizioni elitarie, sulla desiata liberalizzazione della Primavera di Praga e conseguenti scontri in terra sovietica, sulla rivoluzione culturale inizialmente capeggiata e successivamente calmierata nelle acuità da Mao Zedong e sopra migliaia di teste rivoltose in più paesi, lo spettacolo americano delle Pantere Nere concretizzò a simbolo di rabbia della gente di colore, un guanto di cuoio nero alzato al cielo.
Tetto celeste che il 21 Febbraio 1965 divenne definitiva dimora di Malcolm X, bersagliato a morte da 7 colpi d’arma da fuoco a Manhattan e raggiunto, il 4 Aprile di tre anni dopo, da Martin Luther King, assassinato a Memphis sul balcone al secondo piano del Lorraine Motel. «Amore, saggezza, solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri», dirà Bob Kennedy in riferimento a King durante il discorso pronunciato dopo il suo assassinio; Robert Francis Kennedy, convinto oppositore della guerra in Vietnam ed accanito sostenitore dei diritti civili, silenziato nella voce e nei battiti da un unico colpo di pistola che lo assassinò il 6 Giugno dello stesso anno.
Il problema del potere è come ottenere il suo uso responsabile piuttosto che il suo uso irresponsabile ed indulgente, ovvero come fare in modo che gli uomini di potere vivano per il pubblico, piuttosto che contro il pubblico.
Bobby Kennedy
Fondato ad Oakland nel 1966 da Huey Percy Newton e Bobby Seale, il movimento delle Pantere Nere tenne fede a dieci punti, i ten point plan*, con radicato ideale di liberazione degli afroamericani dalle opprimenti discriminazioni di cui erano oggetto sul piano sociale, politico e legislativo, prediligendo un atteggiamento di autodifesa al principio della nonviolenza, concretizzato in un vero e proprio pattugliamento, patrolling, in aperta esposizione fisica armata di fronte alla polizia, nell’intento d’impedirne sopraffazioni ed abusi di potere nei confronti delle persone di colore all’atto del fermo. Oltre ad armarsi, la mano del partito si tese umanamente in una profonda e capillare assistenza sociale con programmi a favore delle proprie comunità. Seppur in breve tempo oggetto di forte e mirata repressione governativa, che frammentò in seguito il movimento in più posizioni, le Pantere rappresentarono un significativo punto di svolta nel percorso d’emancipazione degli afroamericani.
La corsa verso la storia nell’inferno del Messico
TLATELOLCO, CITTÀ DEL MESSICO, DOMENICA 2 OTTOBRE 1968: il vaso di Pandora esplode il suo coperchio in Piazza delle tre culture. Saranno tre colpi esplosi da un elicottero in volo a ferire anche la stessa Oriana Fallaci, che si trovava sul balcone d’un palazzo in acuta osservazione ed analisi della potente manifestazione studentesca che, in occasione dell’apertura dei Giochi della XIX Olimpiade, tentò di dar maggior voce e visibilità alle proteste di migliaia di studenti e lavoratori, alcuni dei quali, fedeli alle proprie idee, trovarono ingiusta morte fra carri armati e barbari spari di cecità militare inaudita, la cui ferocia, rimbalzata l’indomani fra i principali notiziari mondiali, durò un’intera notte portando poi a ridicola giustificazione l’inveritiera e penosa scusante d’aver risposto al fuoco della popolazione in rivolta.
CITTÀ DEL MESSICO, DOMENICA 16 OTTOBRE 1968, ORE 22.00: su blocchi di partenza intrisi di significato storico, politico ed umano, posano piede i tre nati sotto il segno dei gemelli che, di lì a poco, saran gemelli nell’anima e negli stessi ideali, corsi come pirobati sui 200 metri più bollenti della storia: Smith, 307 (20.12 in semifinale), terza corsia; Carlos, 259 (20.14 in semifinale), quarta corsia; Norman, 111 (20.22 in semifinale), sesta corsia, soprannominata ‘la sedia della morte’ in quanto considerata come postazione di partenza a bassissime probabilità di vittoria.
Carlos, consapevole delle superiorità di Smith in rettilineo, parte alla velocità d’un fulmine, svetta, guizza a ridosso della curva, parrebbe quasi che il padre calzolaio gli abbia cucito al piede tutti i sogni di nuotatore come pinne al posto delle scarpe; Smith, dolorante alla gamba, lo segue a ruota agganciandolo e superandolo nel rettilineo a 30 metri dal traguardo, percorrendo l’ultima decina braccia alzate al cielo e leggerezza d’animo di simil consistenza del cotone raccolto in compagnia paterna.
Norman giunge inaspettato alle spalle di Carlos, lo stesso neppure se ne accorge, rivolto costantemente a sinistra ed incredulo sul fatto che la bruciata in corsa possa arrivare dalla parte opposta e, per di più, da un piccolo corridore di pelle bianca con il quale Carlos pensava di non aver nulla da spartire. Record australiano a tutt’oggi imbattuto, Peter, mantenendo l’assetto di corsa con grande autocontrollo, divora la seconda metà del percorso in 9.4, guadagnando tre decimi su Carlos, distanziando d’un solo decimo Tommie Smith ed a perfetto agio nella sua prima corsa a 2000 metri d’altitudine. Smith, soprannominato The Jet, taglia il traguardo a 19.83.
Una fortuna il non aver perseguito l’iniziale proposito di boicottaggio, l’aver pertanto potuto correre a bordo sogni e l’aver portato agli occhi dei più, quello che resterà uno dei gesti più potenti e significativi del Novecento.
Nel corridoio di tragitto verso il podio, Smith e Carlos confabulano intensamente. L’iniziale intenzione delle Pantere era un tentativo di boicottaggio dei giochi olimpici, poi ridimensionato in un gesto simbolico a scelta libera da parte d’ogni singolo atleta che si sentisse di farlo.
Al petto il distintivo dell’Olympic Project for Human Rights, movimento a tutela dei diritti civili degli afroamericani, sul piano sportivo ed universitario, fondato dall’allora professore di sociologia alla San José University Harry Edwards ed affiliato alle Pantere Nere. Ma per il gesto da loro programmato servono i guanti neri e Carlos ha dimenticato il suo paio in spogliatoio. Norman propone loro d’indossarne uno a testa ed in una significativa stretta di mano agli stessi s’offre in sincero dono alla causa. Richiesta che, sul nascere, suscita impulsiva titubanza, poi sciolta nell’accettazione del consiglio dell’australiano dalla falcata di giaguaro.
In quel patto avviene il gemellaggio, suggellato dallo stemma a difesa dei diritti umani che Norman porterà su di sé in sublime orgoglio, superando definitivamente l’impulsiva reticenza delle due gazzelle afroamericane a riguardo. Riceve in dono lo scottante distintivo dal canottiere attivista americano Paul Hoffman, spillandolo orgogliosamente alla tuta ch’abbiglia un petto fiero, onesto, generoso, da sempre consapevole propugnatore dei diritti umani ed in aperto contrasto alla White Australia Policy, politica sull’immigrazione a sfondo spudoratamente razziale di quel periodo nella sua terra natia.
Il trio, infuocato nel corpo e nell’anima, giunge al podio in un unico colore di pelle e pensiero. Smith e Carlos vi arrivano scalzi, scarpe alla mano e black socks a rappresentare la povertà dei loro fratelli. I corpi dei tre si piegano nell’indossar le meritate medaglie. Risuona nell’aria il glorioso inno americano. Sulle note dell’ultima melodia che avrebbero desiderato a rimbombo sui timpani, Smith e Carlos abbassano il capo ed alzano al cielo il pugno avvolto nel cuoio nero. Smith il destro, indossando una sciarpa nera a simbolo della povertà. Carlos il sinistro, con felpa slacciata e collanina a vista, perle colorate ognuna delle quali a rappresentare ogni afroamericano ingiustamente linciato e ucciso.
Norman guarda avanti, spalle abbassate nell’amabile postura ch’è esclusivo privilegio degl’animi umili possedere e pugni stretti ai fianchi, ma simbolicamente elevati quanto quelli dei suoi gemelli di corsa. La sua espressione è d’una fierezza palpabile, le labbra socchiuse alle ipocrisie ed aperte a silenzioso grido sulle prevaricazioni, lo sguardo sospeso nella purezza dei suoi ideali concretizzati in un gesto d’una bellezza e potenza assolute. Oro, argento e bronzo perdono improvvisamente di valore affiancati a quel piccolo tondo bianco di tessuto nelle cui scritte è ricamata tutta la dignità del mondo, pulsante nei cuori di tre uomini del cui coraggio far tesoro da custodire in quell’angolo di cuore riservato alle persone speciali.
L’inno s’interrompe. Silenzio tombale e fischi tagliano a fette una tensione che non ha precedenti in una manifestazione sportiva.
Alla discesa dal podio corrisponderà una discesa all’inferno. Smith e Carlos verranno definitivamente squalificati dalla federazione statunitense. Norman verrà dimenticato dall’atletica australiana; lo stesso Comitato Olimpico, preferirà presentarsi alle Olimpiadi di Monaco senza sprinter pur di non portarlo, nonostante i tempi più volte da lui raggiunti, sia nei 100 che nei 200 metri, siano ottimi per la classificazione. Sarà un vortice d’ingiustizia, incomprensione ed ottusità mentale a trascinarne le esistenze nel peggior baratro, coinvolgendo ogni aspetto delle loro vite a livello umano e sociale, ad ampio raggio sulle famiglie d’ognuno. Dimenticati dallo sport, divisi da mille porte chiuse in faccia in ambito lavorativo, in taluni casi criticati dagli stessi parenti per aver rovinato le loro esistenze e perseguitati dal peggior fanatismo razzista.
Gli anni a seguire metteranno a dura prova il loro esistere (la moglie di Carlos si suiciderà), infangati nella vita, ma puri nell’onore ed attivisti convinti fin nel midollo. Sarà Norman a raggiungere il fondo più fondo del baratro, macellato bestialmente nell’animo come il padre macellava le bestie. Nell’Australia dell’epoca dove la dura e convinta segregazione razziale poteva strizzar occhio all’Apartheid e dove, fino agli anni ‘60 migliaia di bimbi aborigeni vennero sottratti ai genitori e dati in adozione a famiglie bianche nel dramma passato alla storia sotto il nome di “generazioni rubate”, Peter verrà considerato alla stregua d’un figlio della propria terra che sulla stessa sputa disonore. Sputò invece il miglior sangue, l’australiano più veloce nel mondo, quello che scorre nelle vene di coloro che filan luce di cecità, amore da ignoranza, fratellanza da discriminazione. Fu l’atleta, il fratello, l’amico fidato. Fu tutto ciò che chiunque ambisca ad esser definito ‘uomo’ dovrebbe desiderar d’essere. Colpì a fondo cuore con elegante leggerezza d’essere.
Vola come una farfalla, pungi come un’ape.
Muhammad Ali
Il rovente gesto di Smith e Carlos, verrà immortalato nella scultura commemorativa ad opera dell’artista Rigo ed inaugurata nel 2005 nel campus del San José State College. Il secondo gradino resterà vuoto. Un’ulteriore schiaffo ad un uomo che nel trio era un tutt’uno con i propri compagni di gara. Senza differenze d’ideali, senza differenze di sentire, senza differenza alcuna sul piano umano. Resta un gradino per selfie. La peggior barzelletta. Solamente mezzo secolo dopo, a Peter Norman verrà dedicata una statua in bronzo, eretta al Lakeside Stadium di Melbourne. Che per un soffio di tempo lui non l’abbia potuta vedere, appare come l’ennesimo scherzo d’un destino sarcasticamente graffiante. Sulle toccanti note di Chariots of fire riecheggianti nella Williamstown Town Hall, l’ultimo viaggio di Peter avverrà sulle spalle dei due gemelli di corsa e di vita, che lo condurranno nel passaggio dalla terra al cielo, lo stesso cielo che trentotto anni prima sfiorarono con un guanto nero, nel mezzo Norman, l’atleta bianco, nero nel cuore.
MELBOURNE, LUNEDI 9 OTTOBRE 2006: sotto il segno dei gemelli, l’uomo dal cuore grande, come un lunedì di 64 anni prima pose piede in terra d’Australia, dalla stessa terra un lunedì l’ha levato. Correndo.
L’anima nel volto di un uomo
Un corsa, un podio, una medaglia. Ed un profilo in una foto storica. Di quelli delicati, mai irriverenti, rispettosi perfin dell’aria che respirano. Di nobili fattezze. Fieri senza arroganza. Umili con dignità. Sorridenti senza stoltezza. Di quelli che portan sguardi sognanti persi nel vuoto. Quei profili che vien curiosità di saper a che viso appartengano e scoprendo il quale par di leggerne le storie più intense, abbandonandosi a quel volto i cui lineamenti s’imparano con brama di memoria, gli occhi si fanno romanzi e la magnanimità esplode in ogni centimetro di pelle. Dissetando aspettative, ritmando palpiti, ossigenando respiri, arricchendo pensieri, regalando sogni.
La dichiarazione con la quale il Parlamento Australiano si scuserà ufficialmente con Peter Norman, riabilitandolo alla storia, arriverà solamente nel 2012. All’uomo più piccolo dei tre nati sotto il segno dei gemelli non sarà dato d’udirla, ma la sua assenza cavalcherà quelle parole in maniera assordante. Vi esploderà una turpe immagine di razzismo, quello vero, carnefice delle etnie, nemico della fratellanza, assillante sulla diversità di pensiero, ipocrita negli ideali, asfissiante sull’altrui vite, massacrante sui corpi, soffocante sulle menti, opprimente sui cuori.
Questo Parlamento:
1) riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman, che vinse la medaglia d’argento nella gara dei 200 metri piani ai giochi Olimpici di Città del Messico del 1968, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano; 2) riconosce il coraggio di Peter Norman nell’indossare sul podio uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, in solidarietà con gli atleti afro-americani Tommie Smith e John Carlos, che effettuarono il saluto di potere nero; 3) si scusa con Peter Norman per non averlo mandato ai Giochi di Monaco 1972, nonostante si fosse qualificato ripetutamente; e 4) riconosce tardivamente il significativo ruolo che Peter Norman ebbe nel promuovere l’uguaglianza di razza”.
Quarantaquattro anni d’attesa di scuse e riconoscimenti al valore ch’altro non sono se non quarantaquattro sputi sul mondo, sulla vita, sull’uomo, sulle idee, sul pensare, sul diritto di essere, sulla libertà in senso lato. Il razzismo è un’azione infima, atroce, meschina. L’esserlo presuppone la peggior presunzione, ossia il credere d’aver avuto un maggior diritto al dono della vita e del pensiero. Il praticarlo imbestialisce, acceca, rende infimi, sordidi e spregevoli stupratori dell’altrui dignità, uomini di poco conto, indegni d’essere ed ingrati all’esistere.
Un vocabolo, il ‘razzista’, che racchiude un turpe concetto, esecrabile, nauseabondo, ignobilmente prevaricatore. In virtù di questo una parola che, nel rispetto assoluto di ciò che rappresenta e rievoca, dovrebbe prevedere un cauto utilizzo verbale, mai ridotta a comune epiteto, mai pronunciata a sproposito, mai giocata, mai strumentalizzata per ideologie; pena, un triste sminuirne miseramente il significato più profondo, uno svuotarne l’esistenza etimologia concettuale ed etica, un amaro svilirne il senso umano, infangando il precorso storico e sputando sulle anime che ne sono state davvero travolte nel corso dei tempi.
La beffa, oltre al danno, stride come raschio d’unghie sulla lavagna del buon senso, nella consapevolezza di non aver chinato ufficialmente il capo per tempo, offrendo a Peter Norman la magra consolazione d’un pentirsi sincero seppur troppo tardivo. Ma forse, colui che desiderava semplicemente «esser ricordato come un vecchio tipo interessante» su quelle scuse avrebbe sorriso sornione, sapendo il dileggio appartenere a coloro che, quasi mezzo secolo prima, giurando fede ad un senso illogico incomprensibilmente abbietto, anteposero grettezza di pensiero a nobiltà d’animo, schiavi di viltà, schiavi d’atteggiamenti, schiavi di schiavitù, schiavi di loro stessi, schiavi per sempre.
Sono sempre stato un uomo libero: poter decidere se odiare o perdonare è stata comunque una grande libertà.
Peter Norman
Ten Point Plan
1 • Vogliamo la libertà, vogliamo il potere di determinare il destino della nostra comunità nera
2 • Vogliamo piena occupazione per la nostra gente
3 • Vogliamo la fine della rapina della nostra comunità nera da parte dell’uomo bianco
4 • Vogliamo abitazioni decenti, adatte a esseri umani
5 • Vogliamo per la nostra gente un’istruzione che smascheri la vera natura di questa società americana decadente. Vogliamo un’istruzione che ci insegni la nostra vera storia e il nostro ruolo nella società attuale
6 • Vogliamo che tutti gli uomini neri siano esentati dal servizio militare
7 • Vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell’assassinio della gente nera
8 • Vogliamo la libertà per tutti gli uomini neri detenuti nelle prigioni e nelle carceri federali, statali, di contea e municipali
9 • Vogliamo che tutta la gente nera rinviata a giudizio sia giudicata in tribunale da una giuria di loro pari o da gente delle comunità nere, come è previsto dalla costituzione degli Stati Uniti
10 • Vogliamo terra, pane, abitazioni, istruzione, vestiti, giustizia e pace
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