Josephine Baker, la donna dietro la Venere d’ebano
Josephine Baker è stata una donna libera, emancipata e artista per natura, oppure parodia di stessa, stereotipo e marionetta della società ‘bianca’?
E’ sempre difficile e a volte sbagliato giudicare il passato non avendo possibilità di viverlo, sentirne gli equilibri, respirarne l’atmosfera che non sia quella che in certi casi giunge solo attraverso visioni soggettive. Josephine Baker è stata un personaggio complesso, dal momento che il tempo non le avrebbe permesso d’esser diversamente. Troppo scura e troppo bianca, come tanti altri prima e dopo di lei, perché il subumano preconcetto di razza non ha colore e né colori può imparare a distinguere.
Eppure ancora oggi, per qualcuno le sue danze sono giustificazione di secoli di segregazione, figli di quel pensiero che il 10 marzo del 1929, volle che a Vienna, nella chiesa di S.Paolo si svolgesse un servizio divino contro di lei, perché considerata simbolo vivente del peccato e solo cinque giorni dopo, il 15 marzo, sul Popolo d’Italia campeggiava un articolo firmato da tale ‘Cavalier Mostardo’, che invitava i lettori a prendere «due dischetti grandi quanto una moneta da venti lire e di legno durissimo nonché ben levigati. Stendete ben bene il labbro inferiore, fatevi una sufficiente incisione con un rasoio e, in detta incisione, introducete delicatamente uno dei dischetti. Passato il male, ripetete la cosa per il labbro superiore ed eccovi in ordine. Non solo la vostra estetica rivoluzionerà i salotti, ma voi sarete un vivo ed eterno ritmo ambulante.»
Anche per queste menti eccelse, più di uno avverte invece un serpeggiante e comprensibile fastidio nel riveder quei primi balli di Josephine Baker, forse non percependo appieno come lei stesse combattendo sfruttando quel sistema. Fastidio al quale comunque non può che aggiungersi quello dato dalla consapevolezza che molte persone di colore, da lei rappresentate, amate e difese cercando di costruire ponti piuttosto che muri, non ha avuto modo di conoscerne il racconto, e forse non l’avrà mai.
Il racconto di una donna bellissima, solitamente descritta come un’eccellente cantante e ballerina, capace di mandare al tappeto folle di uomini con il suo indemoniato charleston. Con uno ci riuscì davvero, innamorato si suicidò ai suoi piedi, mentre altri arrivarono a sfidarsi in duelli e in migliaia chiesero con speranza la mano di quella diva che per le vie di Parigi, si aggirava con al guinzaglio Chiquita, il fedele ghepardo che spesso saliva con lei sul palco.
Josephine Baker è stata tutto questo, ma la sua storia va ben oltre l’artista e narra il cammino di una donna sospinta da coraggio, abnegazione e che ben sapeva chi era. Senza indugi entrò nella Resistenza francese durante la seconda guerra mondiale, fiancheggiò Martin Luther King, in più occasioni si rese protagonista di battaglie contro le discriminazioni e volle mostrare come i colori del mondo potessero convivere pacificamente.
Dall’infanzia al successo
Freda Josephine McDonald, nacque il 3 giugno del 1906 a St. Luis, nel Missouri. Sua madre Carrie era figlia adottiva di Elvira e Richard McDonald, ex schiavi di origine africana e amerindia, mentre il mistero circa l’identità del padre biologico resta avvolta nel mistero. Stando alle ricerche del figlio Jean Claude Baker, poi esposte nel ’93 nel libro ‘The Hungry Heart’, le circostanze farebbero pensare ad un uomo di pelle bianca, innanzitutto perché la madre di Josephine partorì in ospedale, evento raro per una donna di colore dell’epoca. Per di più, vi rimase ricoverata per un periodo di sei settimane, senza che la cartella clinica riporti una qualsivoglia motivazione e a chiudere il cerchio, le voci secondo cui fino a poco tempo prima, Carrie aveva lavorato presso una famiglia tedesca.
La donna ha però sempre rifiutato di parlarne, alla fine portandosi via un mistero ch’è stato motivo di dolore per la figlia, la quale trovò comunque una prima figura paterna in Eddie Carson, un musicista che si esibiva ovunque gli fosse concesso pur di lavorare ed è in questi spettacoli, già in tenera età, che una delle più grandi stelle della storia, fa la sua conoscenza con il palco.
Qualche anno più tardi Carrie McDonald si unì in matrimonio ad Arthur Martin, avranno due figli, ma la famiglia è in condizioni di povertà assoluta, Josephine conosce freddo e la fame, quella vera, ma non le permette di toglierle il sorriso. E’ irrequieta, non perde occasione di fare scherzi, smorfie così come di ballare davanti ai fratelli che se la guardano divertiti.
La sua infanzia è nelle le vie del ghetto, fra bordelli, case e baracche fatiscenti, non ha un’istruzione (parlerà correttamente cinque lingue) e neppure un vestito che possano esser considerati tali; per arrivare a fine giornata danza negli angoli delle strade, non di rado è costretta a procurarsi il cibo frugando tra i rifiuti. Non appena ha occasione però, si piazza davanti all’entrata di un teatro per sole persone di colore ed un giorno, fingendo di aver un appuntamento con il direttore, riuscì a sgattaiolare nel locale. Il direttore lo incontrò davvero e quando le chiese cosa sapesse fare, lei ballò e cantò mostrando tutto il suo repertorio e a fine ‘provino’, aveva la sua parte, avrebbe fatto Cupido nello spettacolo dei Dixie Steppers, troupe teatrale che dieci anni dopo sarebbe giunta anche in Italia riscuotendo ampio successo. Il 7 novembre del 1929, sulle pagine de Il Messaggero si perdono le parole sopracitate e si leggerà:
«Il pubblico numerosissimo, tributò calorosi applausi ed in verità non si può disconoscere come questi artisti negri riescono effettivamente nell’intento di svagare e di divertire specie in alcuni numeri di canti umoristici. E poi, danze frenetiche, diaboliche, in un incrociarsi di gambe, in un dimenare i corpi, senza mai un errore, senza un attimo di rilassatezza.»
Stessi applausi riservò loro il pubblico di St.Luis ed in particolare per Josephine, aveva appena 13 anni, ma il direttore se ne assicurò la presenza per il resto della stagione e quando questa si concluse, di nascosto alla madre, la piccola decise di seguire la compagnia fino all’ultimo spettacolo di Philadelphia.
Josephine Baker, la Venere d’ebano
La sua avventura era solo all’inizio, tornare a casa era quanto più lontano le passasse per la mente, sapeva che a Broadway era stata presentata la commedia musicale ‘Shuffle Along’ di Noble Sissle e Eubie Blake. Trattava di amore, tabù razziali, segregazione, era destinata ad un pubblico bianco, ma tra gli artisti ce n’erano di colore e lei, non perse occasione per fare un provino.
Stavolta non andò come sperato, venne scartata perché troppo giovane, ma non si lasciò abbattere, voleva una parte e riuscì comunque ad unirsi alla compagnia itinerante in qualità di sarta, era un modo per potere assistere alle prove, agli spettacoli ed in silenzio registrare e tenere tutto ben a mente. L’anno successivo era con il cast permanente di Broadway e l’occasione si presentò quando una ballerina fu costretta a lasciare perché incinta.
All’indomani, giornali e critica salutarono il suo esordio come la nascita di un nuovo talento. Era il 1921, aveva 19 anni, due matrimoni e altrettanti divorzi alle spalle, il secondo con Billy Baker, durò solo quattro anni, ma di lui terrà il cognome con il quale si farà conoscere in tutto il mondo.
La svolta arriva nel 1925, quando Caroline Dudley Reagan, impresaria alla ricerca di artisti per il neonato musical ‘La Revue Nègre’ da presentare a Parigi, con una paga settimanale di 250 dollari la convince a far parte del cast e salire sulla nave di linea Berengaria alla volta dell’Europa.
La prima guerra mondiale era ormai alle spalle, la capitale francese era sempre più simbolo di rinascita culturale e il 2 ottobre di quello stesso anno, Josephine Baker fece il suo debutto al Théâtre des Champs-Élysées.
Il manager, nonché conte di Calatafimi Giuseppe Abatino, volle che sul palco salisse coperta di sole piume, lei andò su tutte le furie, ma alla fine si arrese. L’umorismo, l’unicità delle movenze, il carisma che emanava e non meno il fatto d’esser seminuda, ipnotizzarono il pubblico che si lasciò trascinare dalle danze e dai ritmi vorticosi.
E’ il trionfo, per i quotidiani è la ‘Venere d’ebano’ e per lei impazzirà anche lo stesso conte, che tutto aveva tranne sangue blu nelle vene. Era uno scalpellino, pare molto abile, ma certo è che fosse dotato d’acume ed eleganza nei modi, sapeva come conquistar credito e fiducia, insomma, era uomo dal fascino ammaliante e riuscì a far breccia anche nel cuore della Baker. Sotto la sua influenza lei ampliò le sue doti artistiche dedicandosi al canto, alla recitazione, studi che la porteranno ad incidere album e girare una decina di film.
A svelarle l’identità di Abatino, fu un ancora sconosciuto Georges Simenon, futuro padre del commissario Maigret, ma non servì a farle cambiare idea su quell’uomo, per lei era ‘Pepito’ e tra alti e bassi, gelosie e colpi di testa fecero coppia per dieci lunghi anni, ovvero fino al 1936, quando a portarglielo via fu un tumore al fegato.
Dal palco alla guerra
L’amore che Parigi e la Francia le avevano da sempre dimostrato, Josephine Baker lo ripagò ampiamente allo scoppio della seconda guerra mondiale. Avrebbe potuto andarsene, ma scelse di arruolarsi come corrispondente dell’intelligence militare e non perse occasione per raccogliere informazioni. Era perfetta, al di sopra di ogni sospetto e approfittò della fama recandosi ovunque per trasmettere documenti e fotografie: incontrò funzionari, alte cariche militari, politici, entrava e usciva dalle ambasciate, dai ministeri, non mancava di partecipare alle feste e quando queste non c’erano, le organizzava lei stessa pur di carpire notizie.
Il lavoro svolto le fece raggiungere il grado di tenente nei servizi segreti delle Forces Françaises Libres, il movimento organizzato dal generale De Gaulle che al suo interno raccoglieva quei combattenti decisi a non accettare la pace separata. Baker vola in Inghilterra, Portogallo, America Latina, attraversa le maglie tedesche portando con sé gli appunti da consegnare alle spie, a volte scritti con inchiostro invisibile sulle partiture, altre nascosti nella biancheria intima con la speranza di non venir perquisita in quanto celebrità.
Muoversi però si faceva sempre più difficile, i nazisti avevano messo al bando artisti neri ed ebrei, ma neppure questo la fermò. Aveva praticamente trasformato casa in un rifugio per esuli, per chiunque fosse in fuga o appoggiasse la Resistenza. In seguito raggiunse anche le truppe stanziante nei territori nordafricani: soldati francesi, americani, britannici, per loro tenne perfino spettacoli e lo stesso fece nella città del Cairo su diretta richiesta di re Farouk. Lo costrinse però a presiedere, facendo sì che in qualche modo, potesse far pensare da che parte fosse schierato l’Egitto, ovvero a fianco della Francia Libera. Alla fine del conflitto, Josephine Baker ricevette la Croix de Guerre, la Rosette de la Résistance, la Medaglia commemorativa del Servizio volontario e da Charles De Gaulle in persona fu insignita Cavaliere della Legion d’Onore.
Il ritorno alle scene e l’impegno civile
Negli Stati Uniti, nonostante vi facesse spesso ritorno, quella diva tanto acclamata in Francia era stata sempre ignorata se non malvoluta, tanto che nel 1936, quindi già popolarissima, fu chiamata a Broadway e scritturata per la ‘Ziegfeld Follies’, una serie di produzioni teatrali ispirate al ‘Folies Bergère’ di Parigi, ma i biglietti rimasero praticamente invenduti, tanto che alla fine fu sostituita dall’attrice e ballerina di burlesque Gypsy Rose Lee.
Quella che per Ernest Hemingway era «la donna più sensazionale che si fosse mai vista», il Time Magazine la liquidò elegantemente definendola come una «sciacquetta negra» le cui doti artistiche, fuori dalle porte di Parigi erano pari a zero, mentre altri, concentrarono le critiche sull’aspetto fisico: era una «nana» e troppo magra per riempire un teatro. Inutile dire che simili parole dilaniarono il cuore di Josephine Baker e certo contribuirono alla sua scelta di diventare cittadina francese.
Nel 1947, si unì in matrimonio con il compositore Jo Bouillon ed è con lui che creò la ‘tribù arcobaleno’.
Era da sempre suo grande desiderio diventare madre, ma natura volle che non potesse aver figli e così, dopo aver acquistato un castello in Dordogna, la coppia adottò 12 bambini provenienti da ogni angolo del pianeta, voleva semplicemente dimostrare come persone di etnie differenti potessero essere e vivere come fratelli. Per mantenerli dilapidò il patrimonio, così intensificò gli impegni e quattro anni dopo, accettò anche di tornare a far spettacoli negli Stati Uniti, ma ad una condizione: nessun teatro dove si sarebbe esibita, avrebbe dovuto essere oggetto di alcun tipo di segregazione.
Già in passato si era rifiutata di salire sul palco di locali vietati alle persone di colore, ma quell’imperativo adesso le stava per costare un ingaggio da 10mila dollari offertole da un club di Miami, a rinunciare alla propria posizione fu però quest’ultimo.
Stavolta la tournée fece registrare ovunque il tutto esaurito, le sue esibizioni furono accolte con entusiasmo anche dalla critica ed il suo gesto, spinse la National Association for the Advancement of Colored People (NNACP) a fare del 20 maggio 1951, il ‘Josephine Baker Day’ e Ralph Bunche, politologo e primo afroamericano ad aver ricevuto il Nobel per la Pace per il lavoro svolto come mediatore in Palestina, la nominò membro a vita dell’organizzazione.
Tornata in Francia, continuò a battersi contro la discriminazione, contribuì perché anche l’Europa fosse partecipe dello sdegno provocato dall’omicidio di Emmett Till, un ragazzo afroamericano di 14 anni barbaramente torturato e ucciso a Money, piccola cittadina del Mississippi. Tali furono le brutalità inflittegli che la madre volle tenere aperto il feretro durante la cerimonia, perché tutti potessero vedere come era stato ridotto il figlio. I sospettati, giudicati da una giuria di 12 uomini bianchi, furono immediatamente assolti. In seguito confesseranno, ma la conclusione del processo fu uno degli eventi che maggiormente alimentò quella rabbia alla base del Movimento per i Diritti Civili americano.
Negli Stati Uniti tornerà ancora nel 1963 e con indosso la sua divisa della Francia Libera, quello stesso 28 agosto in cui Martin Luther King Jr, chiese di porre fine al razzismo pronunciando lo storico discorso ‘I have a dream’, al cospetto del Lincoln Memorial, anche Josephine Baker parlò alla folla della Grande Marcia su Washington e lo fece rivolgendosi soprattutto ai giovani:
“Ora non sono più una giovane donna, amici. La mia vita è dietro di me. Non c’è più un fuoco potente che arde in me, ma prima che si spenga, voglio che usiate ciò che resta per accendere quel fuoco in voi. Così che quando il mio fuoco si spegnerà e andrò dove tutti andiamo un giorno, potrò essere felice.”
Il 12 aprile del 1975, Josephine Baker fu trovata senza vita distesa nel suo letto, circondata da giornali che ne elogiavano l’ultima esibizione. Aveva 68 anni.
“Ho preso colpi nella vita, ma li ho presi con il mento in su, con dignità, perché amo profondamente e rispetto l’umanità”
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.