Juan Gelman, vita e poesie d’amore, esilio e giustizia

Al poetico amor donare di Maria Luisa, Alice e Claudia

 
Juan Gelman: giornalista, scrittore, rivoluzionario e civil poeta delle strade, dell’esilio, dell’amore contrapposto all’orrore e alla sofferenza che ne annacquava gli occhi, ricamava sorriso, adagiandosi nei fondali dell’anima, d’indomo cantore degli oppressi, dei desaparesidos, delle vittime d’ogni tirannia; voce nobile e profonda, graffiata da Gauloises e tequila, d’uomo e di padre all’infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia.

La poesia è una forma di resistenza, lo è scrivere; resistenza ad un mondo sempre più crudele, terribile, disumanizzante.
Juan Gelman

 

Juan Gelman e la «Señora difícil de agarrar»

La storia Juan Gelman ha inizio nel vortice di conflitti, persecuzioni e carestie avvenute nell’Impero russo a partire dall’alba del XX secolo, quando la crisi innescata dalla sconfitta militare riportata contro il Giappone per il controllo di Corea e Manciuria, aggravò i drammi sociali già in essere, detonando il sommovimento del 1905. Alle rivolte non mancò di dar convinto appoggio José Mirotchnik (1890-1964), un erudito artigiano ucraino di fede ebraica la cui vita, il sostener idee e rapporti con militanti socialrivoluzionari, avrebbero completamente stravolto. Padre di due creature da sfamar ed educare assieme alla moglie Freda Garabois, finì col destar l’attenzione dell’Ochrana, la temuta polizia segreta atta a sopprimere ogni attività sospetta d’eversione politica. L’azione degli agenti non tardò a farsi soffocante, così cercò d’inabissarsi recandosi da parenti residenti a Mosca, miseramente ottenendo effimero sollievo e nell’arco di pochi mesi, l’oppressione divenne tale da tradursi in esilio. Alle soglie della Grande Guerra, pregando di non annunciar insciente addio, si separò da figli e compagna, guardò ad Occidente e munito di documenti che lo identificavano come il teutonico Hr. Hellmann, si mise in cammino verso il porto di Genova dove sapeva d’esser atteso da un panorama di piroscafi di compagnie internazionali in procinto di salpare con la prua a indicar l’Americhe. Qualsivoglia destinazione sarebbe stata perfetta pur di spogliarsi in fretta della sensazione d’esser preda, sicché giunto sull’acque liguri, lasciò decisione al fato e saltò sul primo vapore ad issar l’ancora. Destino volle fosse un transatlantico diretto a Buenos Aires e quand’ebbe a sbarcarvi, ai suoi occhi si spalancò la capitale d’un’Argentina in fermento, da anni in costante crescita economica e demografica, una realtà dove gettar semi di speranza e senza por tempo in mezzo, adoperò esperienze per procurarsi un mestiere, una casa e d’ultimo escogitar maniera di portare a sé i familiari. Si assicurò un lavoro e un tetto sotto il quale ripararsi, però ogni tentativo di costruir un ponte sopra l’oceano falliva con disarmante costanza e nell’inesorabile alternasi d’albe e tramonti, si rese conto di non aver altra possibilità di ricongiungersi a loro, se non andando a prenderli di persona, malgrado l’impresa si prospettasse colma di insidie e ostacoli.

Nel Vecchio Continente le fiamme degli scontri infuriavano ovunque e l’immenso dominio di Nicola II Romanov (1868-1918), con l’esercito stremato dai combattimenti contro le Potenze Centrali e una popolazione altrettanto provata, stava per essere inghiottito dalla rivoluzione. Mirotchnik pervenne infatti alle porte dell’Impero nei primi mesi del 1917: l’impegno bellico aveva ormai provocato milioni di vittime e l’invio al fronte di migliaia di contadini, determinato una drastica diminuzione di risorse alimentari con un conseguente, quanto insostenibile, aumento dei loro costi. L’urlo della disperazione s’era levato a febbraio da Pietrogrado e nonostante lo stato di assedio dichiarato dallo Zar, andava propagandosi in tutta la nazione, con lavoratori e studenti fiancheggiati da truppe ribelli. Il confine gli si palesò invalicabile muro, tuttavia, alle circostanze non s’arrese ed avvalendosi dell’aiuto di civili e uomini in divisa provò ad architettarne la fuga, ma ad un passo dal riabbracciarli, ossia quando non restava che il corso d’un fiume a tenerli separati, accadde l’imponderabile. L’imbarcazione con a bordo donna e bambini d’improvviso cedette all’impeto della corrente e l’unico a sopravvivere, grazie al provvidenziale intervento d’un soldato, fu il primogenito Boris, di sei anni. Soltanto nel 1922, al sorgere dell’Unione Sovietica, Mirotchnik poté lasciare Berlino — dove nel frattempo s’era stabilito — e stretto al figlio, trasferirsi nell’eletta capitale Mosca procurandosi un impiego nelle ferrovie. Durante un soggiorno a Odessa conobbe Paulina Burichson (1897-1982), una giovane cresciuta in un piccolo shtetl nei pressi di Balta, opponendo alla miseria e alla brutalità dell’antisemitismo, l’amore per teatro, lirica, musica da camera, intanto sulle rive del Mar Nero, studiando medicina.


…Odessa, 1915, tenes 18 años, estudias medicina, no hay de comer
pero a tus mejillas habían subido dos manzanas
(así me lo dijiste) (árbol del hambre que da frutas)
esas manzanas ¿tenían rojos del fuego del pogrom que te tocaba?
¿a los 5 años?
¿tu madre sacando de la casa en llamas a varios hermanitos?
¿y muerta a tu hermanita?
¿con todo eso
por todo eso /contra
me querés?
¿me pedías que fuera tu hermanita?
¿así me diste esta mujer, dentro
fuera de mí?
¿qué es esta herencia, madre
esa fotografía en tus 18 años hermosos
con tu largo cabello negriazul como noche del alma…
(da Carta A Mi Madre, Ginevra, 1984 / Parigi, 1987)


Al fortuito appuntamento seguì presto il matrimonio e poi il dono di Teodora, ‘Tauba’, venuta alla luce nel 1926, mentre in cuor di Mirotchnik aumentava l’amarezza nei confronti d’una politica incapace di mantener fede agli ideali della rivoluzione e costruire un Paese pluralista. La delusione prese il sopravvento nel 1928 e stavolta assieme alla famiglia, salutò definitivamente il patrio suolo e fece ritorno a Buenos Aires. All’arrivo, dal personale dell’ufficio immigrazione fu invitato a pronunciare i dati dei passaporti, ovviando alla difficoltà di traslitterare il cirillico, e il casato tedesco fin ad allora baluardo a difesa della fonte ebraica, in quell’attimo inganno fonetico lo tramutò nel cognome che alle 11:00 della mattina del 3 maggio 1930, all’ospedale Carlos Durand, accolse Juan Gelman, l’«único argentino de esa familia».

Negli archivi del Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos, prima biblioteca incentrata sui flussi migratori argentini, è riportata la registrazione delle sottoelencate persone, giunte al porto di Buenos Aires a bordo della nave Amanzora in data 10 maggio 1928:
Gelman Joseph:
Età: 40; Nazionalità: Russa; Stato Civile: Coniugato; Luogo di Nascita: Savrany
Gelman Bessia:
Età: 31; Nazionalità: Russa; Stato Civile: Coniugato; Luogo di Nascita: Balta
Gelman Benzion:
Età: 17; Nazionalità: Russa; Stato Civile: Celibe; Luogo di Nascita: Savrany
Gelman Tauba:
Età: 2; Nazionalità: Russa; Stato Civile: Celibe; Luogo di Nascita: Savrany

Il mio vecchio, è stato colui che in famiglia ha inaugurato l’uso di passaporti falsi.
Juan Gelman

La Grande Depressione s’era da poco abbattuta sull’economia globale e similmente a quanto avvenuto nel primo dopoguerra — quando il collasso delle relazioni con l’Europa aveva cagionato una situazione di miseria e disoccupazione esplosa in scioperi e sanguinosi disordini — tensioni e faide tra conservatori, radicali, anarchici e socialisti, tornarono a scuotere l’Argentina. Il 6 settembre, il governo del presidente costituzionale Hipólito Yrigoyen (1852-1933), al suo secondo mandato, fu rovesciato con un colpo di Stato orchestrato dal generale José Félix Uriburu (1868-1932), avviando il periodo di restauración neo-conservadora, meglio noto con la definizione concepita dallo scrittore e giornalista José Luis Torres (1901-1965): Década Infame, epoca in realtà terminata nel 1943 con il golpe realizzato dal Grupo de Oficiales Unidos e contrassegnata da censura, corruzione, violenza, dall’immistione di frange militari nella contesa politica e dalle sistematiche frodi elettorali ordite affinché al potere rimanesse la Concordancia, coalizione di destra formata da Partido Demócrata Nacional, Unión Cívica Radical Antipersonalista e Partido Socialista. Venne decretato lo stato di assedio, costituita una rete di spionaggio e sorveglianza d’ausilio alla polizia, proclamata la legge marziale e in base alla Ley de Residencia del 1902, centinaia di persone furono espulse e a partire dagli ufficiali che avevano sostenuto Yrigoyen, migliaia di oppositori arrestati, torturati e in molti casi segretamente giustiziati.

Alla totale assenza di democrazia, ad inasprire ulteriormente gli animi del ceto medio-basso creando le premesse per l’affermazione del peronismo, erano le attenzioni rivolte agli interessi degli industriali; l’ingerenza straniera; il legame commerciale con la Gran Bretagna principiato a fine Ottocento e divenuto nel tempo una sorta di giogo, corroborato dal patto siglato il 1° maggio 1933 dal Vice Presidente Julio Roca (1940-1941) e dal ministro del Commercio britannico, Walter Runciman (1870-1949). L’accordo impegnava il Regno Unito a garantire l’acquisizione, se a costi inferiori rispetto a quelli praticati dai paesi del Commonwealth, di materie prime argentine in quantità stabile ed equivalente all’ammontare relativo al 1932 — il minore dal crollo di Wall Street — ricevendo in cambio protezione e notevoli agevolazioni fiscali sul capitale da investire nel territorio, nonché un monopolio dei trasporti dell’area bonaerense, diventato assoluto con la ratifica Malbrán-Eden del 1936. Trattati firmati con l’intero Paese anche subietto a un profondo mutamento della struttura sociale e urbana. Per attutire il contraccolpo della crisi, infatti, il modello agro esportatore fu gradualmente accantonato ed avviato un processo di industrializzazione fondato sulla sostituzione delle importazioni, quindi producendo localmente i beni fin ad allora acquistati all’estero. Un cambiamento che accrebbe la richiesta di manodopera e dalle zone rurali, dove la domanda di carni agevolò l’espandersi della pastorizia, sottraendo superfici alle coltivazioni e dunque lavoro, ondate di persone trasmigrarono nei centri urbani, affollando segnatamente la capitale, attorno alla quale andarono concentrandosi le imprese.

La famiglia di Juan Gelman risiedeva nella zona centrale di Buenos Aires, nel colorito barrio Villa Crespo, al numero 300 di viale George Canning (1770-1827), diplomatico inglese, alla cui memoria succedette l’omaggio allo scrittore Raúl Scalabrini Ortiz (1898-1959). Vi trascorse l’infanzia bevendo libri, fluttuando sui tasti del pianoforte per materno desiderio, immergendosi nelle strade del quartiere disegnate fra i conventillos, le case popolari di legno e lamiere sorte con i grandi flussi migratori e in quella miscela di suoni e culture, s’accese la passione per il biliardo, la milonga, «una forma de conversar, un diálogo bailable» e poi il calcio, rimanendo ammaliato dall’azul y amarillo dei Los Bohemios dell’Atlético Atlanta. Ancor prima però, a sedurlo fu la Poesia: «la Signora difficile da catturare» ed incontrata attorno ai cinque anni nella voce del fratello, interprete bramosa delle trame dei Maestri della letteratura russa, idioma al fanciullo Gelman lontano e sconosciuto, eppur comprensibile nel rimbalzar degli accenti come note sul rigo.

Era un sorta di ipnosi; da un lato mi attraevano i suoni, dall’altro il mistero di parole indecifrabili. Ricordo ancora alcuni versi. Hanno creato una risonanza interiore che non ho mai saputo definire, ma con il passare degli anni, penso che quei segni e il pianoforte, in qualche modo mi abbiano portato alla poesia.
Juan Gelman

Musica avrebbe presto cercato e composto ricamando disillusi punti interrogativi a decoro di vocaboli liberi, reinventati, cadenzati fra barre oblique, pennellanti panorami puri, struggenti, intrisi di dolore eppur gonfi di vita, ironia, amore e pietà, a sollevar l’umano essere dalla sua stessa spietatezza. A muover penna fu la scoperta del mielato patir del cuore inascoltato, e nel 1941, l’insorgente vocazione venne gratificata dalla rivista Rojo y Negro: «Non ricordo qual è stata la prima poesia che ho scritto, ma la prima ad esser pubblicata, sì […] Avevo undici anni. Leggevo quella rivista ogni volta che potevo, perché presentava delle ottime storie western e di detective. In ogni numero c’era anche una sezione inerente la filatelia, con la possibilità di effettuare scambi, e una chiamata Los Espontáneos, dove mettevano di tutto. Molte volte avevo tentato di corromperli inviando cinquanta, sessanta francobolli, senza però guadagnare pubblicazione. Finché da ultimo, è accaduto. Naturalmente, si trattava di una poesia d’amore impossibile. Più o meno recitava: “Al amor, sueño eterno y poderoso, el destino furioso lo cambié”».
Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)

 


 

Juan Gelman: «La parola è uno strumento di lotta»

Tredicenne iniziò a frequentare il prestigioso Collegio Nacional e nel ’45, mentre Juan Domingo Perón (1895-1974) si lanciava alla guida dell’Argentina sospinto dalla moglie María Eva Duarte (1919-1952) e dai descamisados, in cerca degli ideali proposti dalla dottrina filosofico-politica marxista, Gelman aderì alla Federación Juvenil Comunista, avvicinandosi intanto al nucleo d’aspiranti cantori, associati alla rivista Muchachos. Nel ’48, completato il percorso scolastico, provò a dargli prosieguo iscrivendosi alla facoltà di Chimica dell’Università di Buenos Aires, ma inerme al magnetismo della scrittura, abbandonò il proposito per votarsi ad un’arte che al pari del respirare, sentiva esser esigenza. Serbando la speranza di riuscir un giorno a viver di lei, trascorse stagioni prestando le mani alla camiceria dei genitori, poi vestendosi da furgonista di un mobilificio, venditore d’autoricambi, operaio in un’officina metallurgica. Ad incoraggiarne le ambizioni, Berta Schubaroff: erede anch’ella d’una famiglia ebraica emigrata dalla Russia, era fiorita nella capitale nel 1928 e come Gelman beava l’anima sull’onde dell’arte concedendosi però a pittura, disegno ed unicamente a dover d’esiguità di risorse, declinando invito di musical passione. Si sposarono nel ’52 e quattro anni dopo ebbero gioia d’udir pianto nascente di Marcelo Ariel e poi, dodici mesi più tardi, di Nora Eva, sempiterne emozioni, provate da Juan Gelman allorché la militanza gli aveva permesso principiar a versar inchiostro su quotidiani e settimanali legati al partito: Orientación, La Hora, Nuestra Palabra, favorendo al contempo la conoscenza dei poeti Hugo Ditaranto (1930-2013), figlio del pittore lucano Tomàs; Ismael Héctor Varela (1934-2015), meglio noto con lo pseudonimo di Héctor Negro e Julio César Silvain (1926-2008). Con essi, nel 1955, formò El Pan Duro, un collettivo eterogeneo ed engagé di cui faranno parte anche Juana Bignozzi (1937-2015), Humberto Costantini (1924-1987), Guillermo Harispe (1932-1987), David Álvarez Morgade (1922-2002) e costituito per stampare e così diffondere libri e raccolte, ricavando il denaro necessario grazie a un sistema di prevendite organizzato durante letture pubbliche in circoli e biblioteche.

Tra poesia e mistica c’è almeno una dimensione comune, quella dell’estasi, l’uscire da se stessi, e questa estasi avviene in silenzio, nel silenzio dei mistici e nel silenzio dei poeti.
Juan Gelman

Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)Al Teatro La Máscara, fra i presenti ad apprezzar le declamazioni, Raúl González-Tuñón (1905-1974), il quale, colpito dalle liriche di Juan Gelman, firmò il prologo dell’antologia d’esordio edita nel ’56, Violín Y Otras Cuestiones, riconoscendo nei componimenti l’intensità e il coraggio che scorrono fra i versi dei poeti autentici e rivoluzionari: «[…] Saluto nel suo autore, non una brillante promessa, ma una realtà veemente, un poeta con accento personale – con “proprietà propria” – già molto da chiedere a un giovane, considerando alcuni consacrati che continuano ad appropriarsi di ritornelli, metafore e temi, di altri colleghi, meno fortunati, ma più onesti. Con Violín y en las Otras Cuestiones, Juan Gelman irrompe dignitosamente nella poesia spagnola e nel cerchio universale della rosa. Nel suo libro, un ricco e vivace lirismo palpita un contenuto prevalentemente sociale, ma un contenuto sociale ben compreso, che non sfugge al lusso della fantasia. Juan Gelman non evade dalla realtà, come vorrebbero i teorici reazionari di un’arte purista impossibile; né è un “editorialista in versi”, un semplice propagandista, come vorrebbero gli aspri critici settari, coloro che ignorano come nella coscienza del poeta, del creatore, ci sarà sempre un terreno inalienabile e inaccessibile. In questo singolare “Violín” y Otras Cuestiones, soffiano venti salubri di affermazione civile, e anche in quei poemi sofferti, oltremodo malinconici e senza apparente via di fuga, incoraggia l’ottimismo storico […]».

Frattanto sorgeva El Pan Duro, il dr. Ernesto Guevara de la Serna (1928-1967) s’univa al Movimiento 26 de Julio di Fidel Castro (1926-2016), Armando Hart (1930-2017), Camilo Cienfuegos (1932-1959), acquistando in poche settimane il soprannome El Che; fotografia del costante uso di tale intercalare tipico della natia Argentina, dove il prossimo infuocare della rivoluzione cubana avrebbe avuto un significativo impatto, esortando lo stesso Juan Gelman a riveder la propria posizione politica e avvicinarsi ai settori della lotta armata peronista. E nel 1955, il concatenarsi degli eventi ebbe a procedere con l’ennesimo golpe a fermare per l’appunto, il secondo mandato di Perón e da quell’istante, fino al 1983, con la presidenza di Raúl Ricardo Alfonsín (1927-2009), ogni governo eletto sarebbe analogamente crollato in uno srotolarsi di regimi militari, culminato con l’inumano ‘processo di riorganizzazione nazionale’ battezzato nel ’76 dalla dittatura di Jorge Videla (1925-2013). All’indomani del sovvertimento, le uniformi conferirono il Paese ad una delle primarie figure della rivolta, Eduardo Lonardi (1896-1956), ma le iniziative di mediazione intraprese per «ristabilire lo Stato di diritto», furono presto giudicate inaccettabili dalle frange più radicali dell’Esercito e il 13 novembre 1955, a distanza di due mesi dalla nomina, fu sostituito dal generale e direttore della Escuela Nacional de Guerra, Pedro Eugenio Aramburu (1905-1970), anch’egli fra i protagonisti dell’insurrezione. Le critiche a Lonardi — le cui condizioni di salute l’avrebbero comunque costretto a rinunciare all’incarico e con vana speranza di cure, a recarsi negli Stati Uniti — s’erano principalmente levate per un’azione di contrasto al peronismo ritenuta inconsistente. Il neo-caudillo perciò, ben lontano dalle correnti conciliatrici, pose immediatamente riparo al problema decretando la messa al bando d’ogni raffigurazione, simbolo ed espressione in grado d’evocar l’ex-presidente, dichiarando illegale la mera citazione financo dai media. La repressione fu totale e spietata, tanto che Perón si vide costretto all’esilio e nell’estate del ’56, non appena civili e militari azzardaron tumulto fidando nel comando dei generali Juan José Valle (1904-1956) e Raúl Tanco (1905-1977), le agitazioni vennero duramente stroncate, e a monito d’altri tentativi di ribellione, alle migliaia d’arresti s’accompagnarono decine d’arbitrarie fucilazioni.

La rivoluzione cubana infuse ottimismo. Era la rivoluzione in spagnolo, non in russo o cinese.
Juan Gelman

Nel ’58, insieme ad Andrés Rivera (1928-2016), José Luis Mangieri (1924-2008), al già direttore della Gaceta Literaria, Roberto Hosne (1932-2013) e molti altri, Juan Gelman posò penna nelle uniche due uscite di Nueva Expresión, rivista fondata da Juan Carlos Portantiero (1934-2007) e Mario Jorge De Lellis (1922-1966) come accento d’una «presa di coscienza e assunzione collettiva di responsabilità di una generazione che, con spirito militante e critico, irrompe nel quadro della cultura argentina», guardando con particolare ammirazione, esponenti del neorealismo italiano del dopoguerra quali Vasco Pratolini (1913-1991), Cesare Pavese (1908-1950), Italo Calvino (1923-1985) ed Elio Vittorini (1908-1966).

Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)Nel susseguente triennio profuse immaginativa, sentire e riflessioni con le raccolte El Juego En Que Andamos, Velorio Del Solo e poi Gotán, titolo omaggiante il tango e dunque la propria terra coi colori del vesre, il giocoliere gergo rioplatense che celando nella denominazione la radice revés, «rovesciamento», rimusica termini per lo più invertendone le sillabe, e al pari della danza tutt’argentina dove tale vocabolare tanto ne adorna le liriche, Juan Gelman prese a concepir lo scrivere; un rimare anelante d’innovarsi, narrare e trasformare la società vivendone le traversie; allogando quindi il poeta a fianco dell’essere umano per amare, soffrire e con lui morire di fronte al dispiegarsi della storia. Visione tramite la quale si separò dalla tradizione conferendo differente volto ed essenza alla parola, scovandola nelle profondità per avvicinarla alla strada, affidarle la cronaca del tempo, offrirla alla collettività e pertanto gettando la penna fra le più pesanti della nueva poesía hispanoamericana, quella del salvadoregno Roque Dalton (1935-1975), Nicanor Parra (1914-2018), Eunice Odio (1919-1974), José Pacheco (1939-2014), Alejandra Pizarnik (1936-1972), del nicaraguense classe 1925 Ernesto Cardenal oppure ancora di Roberto Fernández Retamar, autore cubano scomparso il 20 luglio 2019 all’età di 89 anni.

I primi libri di Juan Gelman hanno avuto un grande impatto. Di Gotán e Velorio Del Solo ricordo i versi a memoria. Questi libri furono molto importanti. Cambiò per sempre il modo di leggere e recitare poesie. L’emblema degli anni ’60 è Juan. 
Juana Bignozzi, Página/12, 19.01.2014

Nell’ottobre del 1963 uscì l’antologia El Pan Duro e tra le opere selezionate a rappresentar la fraternità poetica, figuravan dieci autografi d’un Gelman, da quattro mesi detenuto nel carcere Villa Devoto di Buenos Aires, a causa dell’affiliazione al Partido Comunista de la Argentina. Un arresto per altro piombato laddove il senso d’appartenenza stava offuscandosi dietro una crescente e manifesta delusione; disincanto accompagnato da critiche altresì maturato nei confronti della linea sovietica, da vicino osservata nel ’59, quando in qualità di corrispondente dell’agenzia d’informazione cinese Xinhua, per circa dodici settimane aveva viaggiato tra Mosca e Pechino. In galera vi rimase un anno, trascorrendo le giornate senza null’altro da fare, se non rimaner chinato sull’unica lettura a disposizione: un libro di grammatica italiana; inconsapevole di scolpir nella mente un codice che in un futuro ancora lontano, avrebbe utilizzato. Tornato in libertà, abbandonò il PCA, e quindi il ruolo all’agenzia assegnandolo a Rivera, per collaborare con la neonata rivista fondata da Carlos Alberto Brocato (1932-1996) e Mangieri, La Rosa Blindada, tributo all’omonimo libro di poesie in onore della Rivoluzione delle Asturie e al suo autore González Tuñón, dall’edizione d’esordio presentato come «director de honor». Venne stampata fino a settembre 1966, per un totale di nove numeri dove apparvero testi di Ho Chi Minh (1890-1969), articoli del filosofo imolese Galvano Della Volpe (1895-1968), del giornalista e accademico francese Régis Debray (1940), di Guevara, poemi dei cubani Heberto Juan Padilla (1932-2000), Pablo Armando Fernández (1930) e a L’Avana, edito da La Tertulia nel 1965, Juan Gelman offrì una prima versione di Cólera Buey, libro consolidante l’unicità del gelmaniano stile, presentato nella sua interezza sei anni più tardi e da Jorge Boccanera (1952), dipinto come «uno de los vértices de su obra».


Final
Violín Y Otras Cuestiones, 1956

La poesía no es un pájaro.
Y es.
No es un plumón, el aire, mi camisa,
no, nada de eso. Y todo eso.

Sí.
He roto un violín contra el crepúsculo
para ver qué pasaba,
me fui a la piedra y pregunté qué pasa.
Pero no. Pero no.
Aún no.
¿Me olvidé acaso del pañuelo aquel
donde gira en silencio un vals antiguo?
No lo olvidé, miradme la mejilla
y os daréis cuenta, no, no lo olvidé.
¿Me olvidé del caballo de madera?
Tocadme el niño y me diréis que no.
¿Y entonces, qué?

La poesía es una manera de vivir.

Mira a la gente que hay a tu costado.
¿Ama? ¿Sufre? ¿Canta? ¿Llora?
Ayúdala a luchar por sus manos, sus ojos, su boca, por
el beso para besar y el beso para regalar, por su mesa, su
cama, su pan, su letra a y su letra h, por su pasado — ¿acaso no fueron niños? — por su porvenir — ¿acaso no serán niños? — por su presente, por el trozo de paz, de historia y de dicha que le toca, por el pedazo de amor, grande, chico, triste, alegre, que le toca, por todo lo que le toca y se le arrebata en nombre de qué, de qué?

Tu vida entonces será un río innumerable que se llamará pedro, juan, ana, maría, pájaro, plumón, el aire, mi camisa, violín, crepúsculo, piedra, pañuelo aquel, vals
antiguo, caballo de madera.

La poesía es esto.

Y luego, escríbelo.


Fábricas de amor
Velorio Del Solo, 1961

I

Y construí tu rostro.
Con adivinaciones del amor, construía tu rostro
en los lejanos patios de la infancia.
Albañil con vergüenza,
yo me oculté del mundo para tallar tu imagen,
para darte la voz,
para poner dulzura en tu saliva.
Cuantas veces temblé
apenas si cubierto por la luz del verano
mientras te describía por mi sangre.
Pura mía
estás hecha de cuántas estaciones
y tu gracia desciende como cuántos crepúsculos.
Cuántas de mis jornadas inventaron tus manos.
Qué infinito de besos contra la soledad
hunde tus pasos en el polvo.
Yo te oficié, te recité por los caminos,
escribí todos tus nombres al fondo de mi sombra
te hice un sitio en mi lecho,
te amé, estela invisible, noche a noche.
Así fue que cantaron los silencios.
Años y años trabajé para hacerte
antes de oír un solo sonido de tu alma.

II

Alza tus brazos, ellos encierran a la noche,
desátala sobre mi sed,
tambor, tambor, mi fuego.
Que la noche nos cubra como una campana
que suene suavemente a cada golpe del amor.
Entiérrame la sombra, lávame con ceniza, cávame del dolor,
límpiame el aire:
yo quiero amarte libre.
Tú destruyes el mundo para que esto suceda,
tú comienzas el mundo para que esto suceda.

III

Me has amado las manos y caerán con el otoño.
Has amado mi voz y está arrasada.
Mi rostro ha reventado sobre ti como una piedra impura.
Me has amado y amado
para que huya de mí, señor de sombras.
Me has destruido para que yo sea luz humana cantando
como las criaturas de tu sangre.

IV

Que del recuerdo suba el olor de tu cuerpo y se
haga tu cuerpo.
Que la noche devuelva tu dulzura.
Que tus manos sean dadas por el temblor que dieron.
Que tus ojos regresen de todo lo mirado.
Paloma del amor
en vez
asciendes pura en libertad
giras y cantas como el cielo vas invadiendo el mundo.

V

Como un niño te canto bajo la noche oscura.
Cofre de los secretos, juegos hondos,
temblores del otoño como pañuelos rápidos,
te canto allí para que seas.

Señora del candor,
con boca limpia digo uno a uno tus nombres,
pongo mi rostro en la penumbra que de ellos desciende,
hago un gran fuego con tus nombres bajo la
noche oscura.
En realidad quiero decir: me haces andar contra la muerte.


Final
Gotán, 1962

Ha muerto un hombre y están juntando su sangre en cucharitas,
querido juan, has muerto finalmente.
De nada te valieron tus pedazos
mojados en ternura.
Cómo ha sido posible
que te fueras por un agujerito
y nadie haya ponido el dedo
para que te quedaras.
Se habrá comido toda la rabia del mundo
por antes de morir
y después se quedaba triste triste
apoyado en sus huesos.
Ya te abajaron, hermanito,
la tierra está temblando de ti.
Vigilemos a ver dónde brotan sus manos
empujadas por su rabia inmortal.


 
 

Poesia e rivoluzione

Terminata l’avventura ne La Rosa Blindada, entrò nella redazione di Confirmado, un settimanale irriverentemente anti-governativo nato dalle ceneri di Primera Plana, entrambe riviste ideate e dirette dal turbolento scrittore ed editore d’origine ucraina, Jacobo Timerman (1923-1999). Al suo fianco rimase anche quando nel ’71 chiamò a sé tra le più autorevoli firme del giornalismo, della letteratura e della vignetta umoristica per progettar La Opinión, «el diario para la inmensa minoría» orientato «a la derecha en economía, centristas en política, y a la izquierda en cultura» e divenuto in pochi anni una delle principali testate dell’Argentina attraverso approfondimenti culturali — sezione di cui il poeta fu nominato direttore — sulla politica internazionale ed interna, contestando e documentando violenze e violazioni dei diritti commesse dai regimi. Una condotta che nel ’77 verrà puntualmente punita con la soppressione del quotidiano e l’incarcerazione del fondatore. 

Il matrimonio con Berta Schubaroff s’era concluso da ormai due lustri e nel 1967, Juan Gelman aveva nel frattempo aderito all’organizzazione Fuerzas Armadas Revolucionarias, un gruppo di guerriglieri in principio motivati dalla volontà di raggiungere gli uomini di Guevara, impegnati in Bolivia contro l’esercito di René Ortuño (1919-1969), mutando però gli obiettivi difronte al colpo di Stato del ’66 che rovesciò il governo del presidente costituzionale Arturo Illia (1900-1983), dando inizio ai sette anni di dittatura nel corso dei quali al potere succedettero Juan Onganía (1914-1995), Roberto Levingston (1920-2015) e Alejandro Lanusse (1918-1996). Ispirandosi al movimento uruguaiano Tuparnaros, guerra urbana attuaron sin dai primi istanti, tuttavia a dar convincimento e concretarsi all’interno d’un contesto strategico, fu la sommossa popolare esplosa a Cordoba nel ’69 e l’anno dopo, portarono a termine la prima risonante operazion militare denominata ‘Gabriela’: il 30 luglio, 12 donne e 24 uomini, a bordo di cinque furgoni e tre automobili, fecero incursione nella cittadina di Garín — situata a nord di Buenos Aires — e una volta isolata, occupando la stazione ferroviaria e l’agenzia dell’Empresa Nacional de Telecomunicaciones, presero d’assalto la banca e simultaneamente il distacco di polizia; azione si consumò nell’arco d’un’ora, negli scontri perdendo la vita due agenti e un’appartenente al commando, datosi poi alla fuga con 700mila pesos, uniformi, scorte di semiautomatiche, rivoltelle, mitragliatrici e relative munizioni.

«Noi affermiamo che i combattenti non hanno scelto la violenza e non è colpa nostra se dobbiamo uccidere per essere liberi. Ci riferiamo al fatto che il nostro popolo non dimentica alcune delle centinaia di episodi di violenza reazionaria: per citarne solo due o tre, gli atroci massacri di Plaza de Mayo nel giugno 1955, le assurde esecuzioni di [Juan José] Valle e dei suoi compagni, la morte di [Felipe] Vallese e di tanti altri martiri, e infine un’altra violenza meno cruenta, meno visibile, ma costante, quella dello sfruttamento, l’alienazione subita dal nostro popolo». (Intervista a Carlos Olmedo, membro fondatore delle FAR, realizzata a dicembre 1970 e pubblicata da Militancia Peronista para la Liberación, n. 3, 28 giugno 1973)

 
La metodologia d’attacco e il denaro sottratto, permise loro di acquistar proseliti, disporre di nuovi mezzi e aumentare l’arsenale, quindi dar via a nuove offensive e rapimenti a scopo d’estorsione, contando per di più sull’ausilio dell’Ejército Revolucionario del Pueblo e dei Montoneros, a cui si annessero ad ottobre 1973, lanciando sfida alla tirannia anche mediante la creazione del giornale Noticias sul modello di Crónica di Héctor García (1932-2019) e La Opinión. Il primo numero apparve a novembre e la redazione poteva confidare, tra i tanti, su Miguel Bonasso (1940), Rodolfo Walsh (1927-1977 ), Horacio Verbitsky (1942), Francisco Urondo (1930-1976) e naturalmente Juan Gelman, al tempo già autore presso Crisis, rivista politico-culturale del montevideano saggista Eduardo Galeano (1940-2015). Il progetto ebbe vita breve, il governo difatti ne ritenne «titoli, note grafiche, diagrammi e contenuti, un’intensa campagna di esaltazione delle attività criminali» ed avanzando ragioni di «defensa nacional», il 27 agosto ’74 ne proibì la diffusione con decreto N° 630.

Colpendo esercito, sistema giuridico e ampi settori della società, l’annientamento della sovversione, con metodica e capillarità condotto, s’abbatté su guerriglieri, oppugnatori politici, semplici civili d’improvviso criminalizzati, angariati, sottoposti a torture, divorati dalle desapariciónes forzade, nefandezza sistematicamente perpetrata nei centri di detenzione installati a partir dal ’75, parimenti ad atrocità come i vuelos de la muerte — con dissidenti o presunti tali, narcotizzati e dagli aerei gettati in mare — all’inverarsi del succitato ‘processo di riorganizzazione nazionale’, responsabile di migliaia d’arresti, omicidi ed appunto dello svanire di circa trentamila persone per la maggior parte d’età compresa tra i 16 e i 35 anni.

Ad un simile vortice di drammi, Juan Gelman giunse sgorgando Traducciones III: Los poemas de Sidney West, opera con la quale s’inventò traduttore d’un inesistente poeta americano; estro fluito a formar trilogia con Traducciones I e Traducciones II contenute nella precedente Cólera Buey, dove i fantomatici bardi corrispondevano a John Wendell e Yamanocuchi Ando. Pubblicata nel ’69, ad essa s’aggiunsero la realtà scolpita dalla fantasia di Fábulas nel ’71 e quella novellata dalla miscela di colloquialismo e avanguardia di Relaciones uscita nel ’73 e sull’ultima pagina, sarebbe calato un lungo e drammatico silenzio.

Terminata la corsa di Noticias, lo scrittore venne nominato direttore della sede bonaerense di Inter Press Service, agenzia di stampa internazionale costituita a Roma, nel ’64, da Pablo Piacentini (1936-2017) e Roberto Savio (1934), quest’ultimo, economista, politologo ed attivista che, conscio dell’incombere sull’incolumità del poeta della famigerata Triple A — Alianza Anticomunista Argentina capitanata da José López Rega (1916-1989) — gli propose una scrivania in Italia, affinché, almen momentaneamente, dalle pressioni si sottraesse ed in accordo con i Montoneros, Gelman accettò e nell’aprile del 1975 — assieme alla compagna Lili Massaferro (1926-2001), attrice e militante dalla sofferta esistenzial parabola — raggiunse la Città Eterna, ma anziché sfruttar occasione per adombrarsi, ulteriormente s’espose, la parola incaricando d’ingenerar coinvolgimento attorno ad un popolo inverosimilmente martoriato.

Quando arrivai conoscevo l’italiano, ma l’accento bonaerense non se n’è mai andato. Gli italiani del sud pensavano che fossi del nord e quelli del nord pensavano che fossi del sud. A nessuno veniva in mente che potessi provenire dal centro, dal centro di Buenos Aires.
Juan Gelman

Fu il principio dell’esilio e del tormento. Era ancora nel Bel Paese quand’ebbe luogo l’Operación Aries, il golpe del 24 marzo 1976 che gettò l’Argentina nelle tenebre e a distanza di cinque mesi esatti, sei uomini della Secretaría de Inteligencia del Estado (SIDE) fecero irruzione in casa di Berta Schubaroff beccandovi Nora e il di lei amico Luis Eduardo Pereda. Rapirono entrambi e con loro si fiondarono all’abitazione del fratello Marcelo cogliendolo con la donna ch’aveva appena reso sua sposa: la diciannovenne María Claudia García Iruretagoyena, operaia calzaturiera e studentessa di Lettere e Filosofia, in dolce attesa da sette mesi. Per Nora e Pereda il sequestro non andò oltre quattro giorni, mentre dei due giovani prossimi a divenir genitori, rimase una presaga composizione scritta da Marcelo, anch’egli giornalista e dalla rimatrice Signora ammaliato.

Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)
Maria Claudia e Marcelo

…Me voy
Quizás hoy.
Quizás mañana
Pero me voy.
Me despido de este país.
Me despido de mis amigos,
de mis enemigos.
Amigos.
Sólo quiero recordarles
que no dejen de ser
mis amigos.
Sólo quiero recordarles
que no me olviden
a la marcha del tiempo,
a la marcha del tren
en que me vaya
que borran las huellas de la
amistad lejana.


Trafitto dall’angoscia di poter esser padre tra i padri sopravviventi ai figli, Juan Gelman iniziò ricerche al fin di sapere, magari cambiare il destino, e spostandosi fra le capitali europee, approfittò dell’ormai riconosciuta statura di scrittore e giornalista per scagliar strali contro il regime, peraltro riuscendo a riunire in missiva di denuncia demandata a Le Monde, le firme di capi di Stato e ministri dell’epoca, fra i quali Willy Brandt, Francesco De Martino, Anker Jørgensen, Bruno Kreisky e ancora François Mitterrand, Olof Palme, Mário Soares: «Fu la prima cosa che apparve in campo internazionale sulla dittatura militare», dichiarerà nel corso d’un intervista rilasciata nel 2006 a Susana Viau.

Tuttavia, il patire dei connazionali restava natante nel mare dell’indifferenza, acquiescenza e complicità delle grandi potenze, eziandio del clero, recalcitrante a contrastar esplicitamente la junta, salvo isolati lampi d’animosa reazione. E inatteso fulgore giunse direttamente dalla Santa Sede nel mese di febbraio 1978, quando dal sacerdote Gesuita Fiorello Cavalli — funzionario pontificio incaricato per l’Argentina e il Cono Sud presso il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa — apprese che l’innocenza in grembo alla nuora al momento della cattura aveva dipoi schiuso gli occhi, ma nessun’altra informazione utile ad individuarla ottenne, non il luogo di nascita, tantomeno il sesso. Ciononostante, superando l’insulto di dover vagare clandestino sulla propria terra, insieme ad un manipolo di giornalisti, in primavera Juan Gelman volò in patria, un rientro forzatamente fugace, rischioso, nonché a lungo irripetibile. L’anno dianzi s’era associato al neo-costituito Movimiento Peronista Montonero (MPM) e i militanti, stavano adesso sviluppando la Contraofensiva Estratégica in risposta alla falcidiante repressione, assumendo però, una dimensione al poeta invisa poiché reputata illiberale e prossima ad un militarismo improntato al foquismo guevarista. Ufficializzò l’uscita trasmettendo al direttivo comunicazione scritta e dissenso rendendo quantunque pubblico, nuovamente indirizzando articolo alla suddetta testata parigina. Uno strappo, dall’organizzazione recepito sinonimo di tradimento e senza indugio alcuno, reagì enunciando sentenza capitale: «Per me arrivò l’happy hour, due condanne a morte, una pronunciata dalla dittatura e l’altra dai Montoneros».

A volte ricordo il sonetto di Petrarca, un frammento d’amore dov’egli naviga, descrivendone le contraddizioni e nell’ultimo verso recita: “Et tremo a mezza state, ardendo il verno”. Qui è estate e ho tremato più di una volta…la vita degli sradicati, dei diseredati.
Juan Gelman


VII
Cólera Buey, 1962-1968

Escribo en el olvido
en cada fuego de la noche
cada rostro de ti.
Hay una piedra entonces
donde te acuesto mía,
ninguno la conoce,
he fundado pueblos en tu dulzura,
he sufrido esas cosas,
eres fuera de mí,
me perteneces extranjera.


XXXIII
Cólera Buey, 1962-1968

Basta
no quiero más de muerte
no quiero más de dolor o sombras basta
mi corazón es espléndido como una palabra
mi corazón se ha vuelto bello como el sol
que sale vuela canta mi corazón
es de temprano un pajarito
y después es tu nombre
tu nombre sube todas las mañanas
calienta el mundo y se pone
solo en mi corazón
sol en mi corazón


 


 
 

«Lettera aperta a mia o mio nipote»

A vietargli di camminar libero sul suolo natio, fu altresì la restaurata democrazia: giacché il governo radicale di Alfonsín, aprì al tortuoso corso di ristabilimento dell’ordine politico-sociale, inchieste sull’operato dei militari e dei gruppi armati, ebber a principiar e in tali circostanze, nel 1985, il giudice federale Miguel Guillermo Pons, attribuì a Gelman il reato di associazione illecita, proprio in ragion dell’aderenza con l’MPM e nei suoi confronti, emise un ordine di cattura a definitiva relegazione. Seppur vanamente espressero disappunto maestri della letteratura come Alberto Moravia (1907-1990), Gabriel García Márquez (1927-2014), Octavio Paz (1914-1998), Graham Greene (1904-1991), il già citato Galeano e poi Juan Carlos Onetti (1909-1994), autore del romanzo Gli Addii per il quale nel 1980 era entrato nell’albo dell’internazionale Premio Mondello Città di Palermo, condividendo l’ingresso con l’argentino, accolto nell’albo in virtù delle strofe di Gotán.

Quell’anno Juan Gelman aveva interrotto anche il tempo d’irrequieta immobilità tornando ad offrire liriche con l’aspra e commovente Hechos, intime rime d’esilio, tirannide e senso di perdita, pubblicate in Spagna da Grupo Lumen con la riedizione di Relaciones, così formando un’opera unica subito seguita da Si Dulcemente. Da allora, incessante sarebbe scesa torrenziale pioggia di poesie animate da inventate e reinventate parole di delicatezza, lacrime, amore, resistenza allo smarrimento, ricerca d’identità e soltanto nel successivo sessennio, uscirono Citas y Comentarios, Exilio (Bajo la lluvia ajena), La Junta Luz, Hacia el Sur, Com/posiciones e nel 1988, in concomitanza alla pubblicazione di Anunciaciones e delle collane Interrupciones I ed Interrupciones II, poté quantomeno sospirar per l’annullamento del provvedimento d’arresto. Venne sollevato su disposizione della Corte d’Appello federale e destino volle la revoca, diciotto mesi in anticipo sulla grazia che avrebbe comunque cancellato ogni suo debito con la giustizia, e concessagli con l’indulto promulgato ad inizio mandato presidenziale da Carlos Menem (1930). Clemenza elargita a circa una settantina d’appartenenti a organizzazioni di guerriglia, così come a più di duecento attori del regime tra detenuti e perseguiti; dunque ponendo sullo stesso livello princìpi ed azioni degli uni e degli altri, nonché di conseguenza obliando le reiterate violazioni dei diritti umani, perpetrate da politici e militari. Mentre lacrime e lodi versava in Carta A Mi Madre — immaginando di stringerla a sé in quell’ultimo abbraccio che gli era stato proibito dall’imposta longinquità — il rifiuto, il risentimento e la contestazione alla remissione, arrivarono prontamente da Pagina/12; dalla fondazione nell’87 finestra scelta per affacciarsi sul mondo: «Mi hanno scambiato per i sequestratori dei miei figli e di altre migliaia di ragazzi, che ora sono miei figli. Questo è inaccettabile per me […] Quando una legge non può proteggere il diritto, è ovvio che non possa impedire alcuna iniquità».

Dopo quasi tre lustri, in Argentina finalmente rientrò senza ufficiali taglie sulla testa, ma il troppo dolore e poi l’amore gl’inibirono di restare. Non appena ebbe a sfiorarla, v’incontrò Mara Elda Magdalena La Madrid, psicoanalista nata a Buenos Aires e nella capitale rimasta fintantoché per sottrarsi alla dittatura, fece di Città del Messico la propria dimora. Juan Gelman la sposò e seguì nel Paese degli Olmechi, Zapotechi, Maya, Aztechi, quello di Frida Kahlo (1907-1954), José María Velasco (1840-1912), Francisco Helguera (1913-1990), di Carlos Fuentes (1928-2012), della pittrice poetessa Carmen Mondragón (1893-1978) e della musica ranchera danzata tra note di mescal e tequila; sfumature e fragranze d’acchito assorbite dal poeta al punto da definirsi argenmex e dal quartiere La Condesa, dove con la compagna s’accasò, continuò a porsi domande, indagare per ricostruire la vita di Marcelo, María Claudia, dell’amore concepito e così recuperar giustizia. Verità che lentamente e con fatica cominciarono ad affiorare e il 12 aprile 1995, ancora lontano dall’acquisire tante notizie, scrisse un’affettuosa, amara e struggente «Carta abierta a mi nieta o mi nieto», conservandone l’intimità fin quando il 23 dicembre ’98, decise d’esternarne l’afflizioni pubblicandola sul settimanale uruguaiano Brecha.

Tra sei mesi compirai 19 anni. Devi esser nato un giorno d’ottobre del 1976 in un campo di concentramento dell’Esercito, probabilmente al Pozo de Quilmes. Poco prima o poco dopo la tua nascita, lo stesso mese e lo stesso anno, uccisero tuo padre con un colpo d’arma da fuoco alla nuca, sparato a meno di mezzo metro di distanza. Era inerme, e ad assassinarlo fu un commando militare, forse lo stesso che lo aveva sequestrato insieme a tua madre il 24 agosto a Buenos Aires, per portarli al campo di concentramento Automotores Orletti, nel quartiere Floresta, dai militari chiamato “el Jardín”.
Tuo padre si chiamava Marcelo. Tua madre, Claudia. Avevano entrambi 20 anni e tu, eri da sette mesi in grembo, quando accadde. Fu trasferita — e tu con lei — al Pozo, quando fu sul punto di partorire.
Lì deve averti dato alla luce da sola, sotto lo sguardo di qualche medico complice della dittatura militare. Ti hanno quindi portato via e — come accadeva quasi sempre — lasciato nelle mani di una coppia che non poteva avere figli con lui militare o poliziotto, o giudice, o giornalista amico di militari o poliziotti. Al tempo c’era una sinistra lista d’attesa in ogni campo di concentramento: gli iscritti aspettavano di prendere il figlio rubato alle prigioniere che partorivano e poi — salvo poche eccezioni — subito dopo venivano assassinate.  Sono passati 12 anni da quando è caduta la dittatura militare e non si sa nulla di tua madre. Invece, all’interno di un barile da 200 litri, dai militari riempito con cemento e sabbia e poi gettato nel fiume San Fernando, 13 anni dopo sono stati rinvenuti i resti di tuo padre. Adesso è sepolto a La Tablada. Quantomeno su di lui hai questa certezza.
Trovo molto strano parlarti dei miei figli come quei genitori che non poterono essere. Non so se sei un bambino o una bambina. So che sei al mondo. Me lo ha garantito padre Fiorello Cavalli, della Segreteria di Stato vaticana, nel febbraio 1978. Da allora mi chiedo qual è stato il tuo destino. Pensieri contrastanti mi hanno assalito. Da un lato, mi ha sempre disgustato l’idea che tu potessi chiamare “babbo” un militare o un poliziotto che ti ha rapito, oppure un amico degli assassini dei tuoi genitori. Dall’altro, ho sempre sperato che qualsiasi fosse stata la casa ad accoglierti, ti educassero e crescessero con tanto amore. Tuttavia, non ho mai smesso di credere che, anche se così fosse andata, il loro amore per te doveva aver qualche crepa o lacuna, non tanto perché i tuoi genitori non sono quelli biologici — come si dice — quanto piuttosto per la consapevolezza di aver rubato e falsato la tua storia. Immagino che ti abbiano mentito molto.
In tutti questi anni ho anche pensato a come dovrei agire se ti incontrassi: strapparti dalla casa in cui vivi o parlare con i tuoi genitori adottivi per stabilire un accordo che mi permettesse di vederti e accompagnarti, ma sempre alla condizione che tu sapessi chi sei e da dove vieni. Il dilemma si è ripetuto ogni volta – e sono state molte – in cui vi è stata la possibilità che le Abuelas de Plaza de Mayo [associazione fondata a maggio 1977 da María Eugenia Casinelli, madre di María Claudia] ti avessero trovato. Si è presentato in modo diverso, in relazione all’età che avevi. Potevi essere troppo giovane — o non più abbastanza — per capire cosa fosse successo. Per comprendere il motivo per cui i tuoi genitori non erano i genitori che immaginavi e probabilmente amavi come tali. Temevo di provocare una doppia ferita, una sorta di colpo d’ascia sulla trama della tua personalità in via di maturazione. Adesso però sei grande. Puoi scoprire chi sei e quindi decidere cosa fare con quello che eri. Ci sono le Abuelas, e la loro banca del sangue consente di determinare con precisione scientifica l’origine dei figli dei desaparecidos. La tua origine.
Ora hai quasi l’età che avevano i tuoi quando furono uccisi e presto sarai più grande di loro. Loro sono rimasti per sempre ventenni. Sognavano tanto su di te e su un mondo più vivibile per te. Mi piacerebbe parlarti di loro, e che tu mi parlassi di te. Così da riconoscere in te mio figlio, e perché tu possa riconoscere in me quel che ho di tuo padre: siamo entrambi orfani di lui. Per riparare in qualche modo a quel brutale strappo, al silenzio inciso nella carne della nostra famiglia dalla dittatura militare. Per consegnarti la tua storia, non per allontanarti da ciò che non vuoi perdere. Come ho detto, ormai sei grande.
I sogni di Marcelo e Claudia non si sono ancora avverati. Tranne te, tu sei al mondo, ma sei chissà dove e con chi. Forse hai gli occhi verdi di mio figlio, oppure marroni come sua moglie; avevano un bagliore davvero speciale, tenero e malizioso. Chissà come sarai, se sei uomo. Chissà come sarai, se sei donna. Forse puoi uscire da questo mistero ed entrare in un altro: quello dell’incontro con un nonno che ti sta aspettando.

Preguntas
Relaciones, 1973

«lo que hacemos en nuestra vida privada es cosa nuestra» dijeron las Seis Enfermeras Locas del Pickapoon Hospital de Carolina mientras movían sus pechos con una
dulzura tan parecida a Dios
¿y si Dios fuera una mujer? alguno dijo
¿y si Dios fuera las Seis Enfermeras Locas de Pickapoon? dijo alguno ¿y si Dios moviera sus pechos dulcemente? dijo
¿y si Dios fuera una mujer?
corrían rumores acerca de las Seis
las habían visto salir de hospedajes sospechosos con una mirada triste en la boca las habían visto en una cama del Bat Hotel
las habían visto fornicando con sastres zapateros carniceros de toda Pickapoon
¿y acaso Dios no sale de los hospedajes con una mirada triste en la boca? alguno dijo ¿y si Dios fuera una mujer?
¡tetas de Dios! ¡blancos muslos de Dios! ¡lechosos! dijo
¡leche de Dios! gritaba por los techos de toda la ciudad
así que lo quemaron
hicieron una hoguera alta al pie de la colina del Este
y también quemaron a las Seis Enfermeras Locas de Pickapoon todas eran rubias y cada día habían visto a la muerte trabajar
eso es todo
así acaban con los temblores mortales e inmortales en Carolina y otros sitios de Dios ¿y si Dios fuera una mujer?
¿y si Dios fuera las Seis Enfermeras Locas de Pickapoon? dijo alguno


Corajes
Relaciones, 1973

es enorme la tristeza que un hombre una mujer pueden hacerse entre sí como enormes son esos dos pajaritos parados en la rama picoteándose
y enorme es el mismo árbol con lluvias bajo el sol que se le ven en la cara
¿lloverá? ¿no lloverá? ¿cantarán
los pajaritos esos mismos? ¿seguirá la enorme tristeza mandando creciendo como un lago o mar entre un hombre y una mujer?
¿volará la tristeza entre árbol y árbol?
¿como pasos solitarios en una habitación?
¿como madréporas por aire?
¿como tablones como puentes pero desolados desamados?
una ramita ha caído en el lago y navega
es enorme la tristeza que un hombre y una mujer pueden hacerse entre sí como enorme es la navegación de la ramita en el lago
mojada de su propio coraje


Descansos
Hechos, 1980

¿bajo que árbol/ sobre qué árbol/ alrededor
de qué árbol/ Francisco Urondo asoma/ o es
el resplandor violeta de algún vientre de tigre
rugiendo en mi país?/ ¿estás paquito ahí o
en el temblor de esa mano que piensa
en todos tus haberes/ pasión o dignidad?/
¿brillás en la mañana cantora/ andás
en la sonrisa estruendo pólvora
que atacan cada día al enemigo? ¿volvieron
feroz a la alegría que caía de vos? ¿corajes
nacen de esa alegría? ¿o casa de que parten
los compañeros a luchar?/ ¿calor medio de la noche? ¿lámpara
en mitad de la dura amargura?/ ¿avisaste
que te ibas a morir?/ a caer mejor dicho alzándote
como lámpara en medio de la noche?/¿y a quién
dijiste que ibas a caer?/ ¿al viento al pulso al animal del pulso?/
¿acaso
querías caer?/ ¿no me ibas a esperar acaso/ no
esperábamos juntos la tormenta mejor/ la borracha violeta/ tigre/
orilla
de que partías a luchar?/ oh dulce
fuera tu muerte/ combatiente que vieron
transportar la dulzura del mundo/ rostro
desenvainado como
espada o fe/ cucharita
re
volviendo las sombras/ ¿te acordás
de la vida?/ te acordás de la vida
desparramado otoño suave/ caen
verbos de vos/ balazos/ tigres/ lámparas/
partidas vientres cucharitas en mitad de la noche/ mitad
pudriéndose en la patria/ dándole
aroma resplandor/ descansá en guerra/ ¿descansan
tus huesitos?/ en guerra?/
¿en paz?/ ¿agüita?/ ¿nunca?


Soneto
Hechos, 1980

Es una gran tristeza señora
no verla por aquí/ llueven las penas
los huesos empapados piden paz
y el aire es guerra con su gran batalla
de hálitos pasados donde su
boca tembló como el verano y
ahorita apenas es recuerdo o penas
que llueven absolutamente/ sos
eso que eras/ noche encaminada
a la más vida en esta noche como
cuatro paredes de la soledad
o respirás acostadita clara
dormida entre los tiros de la noche
clavada a estos corajes como vos


Hechos
Hechos, 1980

mientras el dictador o burócrata de turno hablaba
en defensa del desorden constituido del régimen
él tomó un endecasílabo o verso nacido del encuentro
entre una piedra y un fulgor de otoño
afuera seguía la lucha de clases/ el
capitalismo brutal/ el duro trabajo/ la estupidez/
la represión/la muerte/las sirenas policiales cortando
la noche/él tomó el endecasílabo y
con mano hábil lo abrió en dos cargando
de un lado más belleza y más
belleza del otro/cerró el endecasílabo/ puso
el dedo en la palabra inicial/ apretó
la palabra inicial apuntando al dictador o burócrata
salió el endecasílabo/ siguió el discurso/siguió
la lucha de clases/ el
capitalismo brutal/ el duro trabajo/ la estupidez/ la represión/
[la muerte/ las sirenas policiales cortando la noche
este hecho explica que ningún endecasílabo derribó hasta
[ahora
a ningún dictador o burócrata aunque
sea un pequeño dictador o un pequeño burócrata/ y también
[explica que
un verso puede nacer del encuentro entre una piedra y un fulgor
[de otoño o
del encuentro entre la lluvia y un barco y de
otros encuentros que nadie sabría predecir/ o sea
los nacimientos/ casamientos/ los
disparos de la belleza incesante


El Frio De Los Pobres
Si Dulcemente, 1980

El frío de los pobres que un día triunfarán/ cruje
en el fondo del país/ torturado/ callado/
crepita otoñando padeceres/ se le caen
hojitas/ olores secos/ van al suelo/ se pudren
alimentando la furia que vendrá/ alma mía
que así crecés contra las bestias /dame
valor o fuego/ pueda pudrirme/ continuar/
para que coma la victoria


Sobre La Poesía
Hacia el Sur, 1982

habría un par de cosas que decir/
que nadie la lee mucho/
que esos nadie son pocos/
que todo el mundo está con el asunto de la crisis mundial/ y

con el asunto de comer cada día/se trata
de un asunto importante/ recuerdo
cuando murió de hambre el tío juan/
decía que ni se acordaba de comer y que no había problema/

pero el problema fue después/
no había plata para el cajón/
y cuando finalmente pasó el camión municipal a llevárselo
el tío juan parecía un pajarito/

los de la municipalidad lo miraron con desprecio o desdén/ murmuraban
que siempre los están molestando/
que ellos eran hombres y enterraban hombres/ y no
pajaritos como el tío juan/ especialmente
porque el tío estuvo cantando pío-pío todo el viaje hasta el crematorio municipal/
y a ellos les pareció un irrespeto y estaban muy ofendidos/
y cuando le daban un palmetazo para que se callara la boca/
el pío-pío volaba por la cabina del camión y ellos sentían que les hacía pío-pío en la
cabeza/ el

tío juan era así/le gustaba cantar/
y no veía por qué la muerte era motivo para no cantar/
entró al horno cantando pío-pío/ salieron sus cenizas y piaron un rato/
y los compañeros municipales se miraron los zapatos grises de vergüenza/ pero

volviendo a la poesía/
los poetas ahora la pasan bastante mal/
nadie los lee mucho/ esos nadie son pocos/
el oficio perdió prestigio/ para un poeta es cada día más difícil

conseguir el amor de una muchacha/
ser candidato a presidente/ que algún almacenero le fíe/
que un guerrero haga hazañas para que él las cante/
que un rey le pague cada verso con tres monedas de oro/

y nadie sabe si eso ocurre porque se terminaron las muchachas/ los almaceneros/ los
guerreros/ los reyes/
o simplemente los poetas/
o pasaron las dos cosas y es inútil
romperse la cabeza pensando en la cuestión/

lo lindo es saber que uno puede cantar pío-pío
en las más raras circunstancias/
tío juan después de muerto/ yo ahora
para que me quierás/


Cambios
Interrupciones I, 1988

«no olviden los orgullosos/ que cuando a la tumba vayan/ allí
lo mismo se rayan/ humildes y poderosos»
pero nosotros no solamente queremos la igualdad en la muerte
también queremos la igualdad en la vida
queremos la justicia en vida

¿por qué estaba triste ese peón del ferrocarril en la mañana
apoyado contra la verja de la estación?
¿por qué se le perdía la mirada sin ver a nadie de los que
pasaban junto a él?
¿por qué estaba triste ese hombre?

¿por qué hay tantos hombres y tantas mujeres tristes en el país?
¿por qué a cierta hora del día parece que un oleaje de tristeza fuera
a arrasar la ciudad?
¿por qué tanta gente sale por sus ojos así o saca por sus ojos tristeza?
¿por qué esa tristeza golpea de noche las ventanas?

estas reflexiones suben en mí
metido en la litera alta de la celda 4 en el pabellón de castigo
de la cárcel de Villa Devoto
Eugenio abajo oye su radio a transistores
un rayo de sol pasea lento por la celda

¿por qué se pasea ese rayo de sol por acá?
Eugenio quedó encorvado por las torturas pero no sacaron
una sola palabra de él
Eugenio es un obrero tierno delicado
no le sacaron una sola palabra
la mujer de Eugenio a veces llora sin saber por qué
interminablemente sin saber por qué llora y deja la casa una semana
o dos
lo deja a Eugenio una semana o dos
un rayo de sol pasea por la celda ahora.

¿y yo? ¿por qué estoy oyendo crepitar la tristeza de Eugenio
si se que hay pocos tan puros como él?
¿entonces su pureza no lo defiende del dolor?
¿a veces se le pierde la mirada sin ver a nadir de los que pasan junto
a él?

en las celdas de enfrente
los comunes no tienen litera ni colchón
a medianoche les dan un colchón para dormir
tienen que ir a buscarlo desnudos

los guardiacárceles obligan a los comunes desnudos a correr
tirarse al suelo arrastrarse para buscar el colchón
el invierno no puede calentar las baldosas heladas del pabellón
de castigo
Eugenio se encorva más todavía cuando el jadeo de los comunes
choca contra la puerta de la celda 4

¿esos ruidos tan las crepitaciones de la tristeza de Eugenio?
¿Eugenio crepita de furor ahora?
¿la tristeza se congela en pajaritos que arden de furor?
¿en furor va a dar la tristeza de los pobres del mundo?

¿la tristeza de ese peón del ferrocarril dará en furor?
¿un oleaje de furor arrasará la ciudad?
¿arrasará las literas del pabellón de castigo de la cárcel de Villa Devoto?
¿arderán las baldosas heladas del pabellón y los comunes y nosotros?

nosotros no solamente queremos la igualdad en la muerte
también queremos la igualdad en la vida
queremos la justicia en vida
aunque sea corta y larga la muerte


El Infierno Verdadero
Interrupciones II, 1988
(Radio Universidad Nacional de La Plata)

 

Entre las 5 y las 7,
cada día,
ves a un compañero caer.
No pueden cambiar lo que pasó.
El compañero cae,
y ni la mueca de dolor se le puede apagar,
ni el nombre,
o rostros,
o sueños,
con los que el compañero cortaba la tristeza
con su tijera de oro,
separaba,
a la orilla de un hombre,
o una mujer.
Le juntaba todo el sufrimiento
para sentarlo en su corazón
debajito de un árbol
El mundo llora pidiendo comida
Tanto dolor tiene en la boca
Es dolor que necesita porvenir
El compañero cambiaba al mundo
y le ponía pañales de horizonte.
Ahora, lo ves morir,
cada día.
Pensás que así vive.
Que anda arrastrando
un pedazo de cielo
con las sombras del alba,
donde, entre las 5 y las 7,
cada día,
vuelve a caer, tapado de infinito


 


 
 

Il silenzio, la verità, il passato ritrovato

I resti del figlio, barbaramente torturato prima d’esser ucciso e nel corpo insultato, furono identificati il 7 gennaio 1990 dall’Equipo Argentino de Antropología e a fine decennio, fondando sicurezze sulla mole d’informazioni recuperate e su quanto evidenziato dai cosiddetti ‘archivi del terrore’ scoperti nel ’92 dall’avvocato e attivista paraguaiano Martín Almada (1937), Juan Gelman giunse alla convinzione che in ambito dell’Operazione Condor, la nuora era stata condotta in Uruguay e nella República Oriental, portato a termine la gravidanza. Invero, nella notte del 17 ottobre 1976, con il volo 123 della Pluna (Primeras Líneas Uruguayas de Navegación Aérea), dal centro di detenzione Automotores Orletti, ella venne catapultata assieme ad altri prigionieri nel quartier generale del Servicio de Información de Defensa (SID) di Montevideo. Vi rimase per circa un mese, ovvero finché in procinto di partorire fu trasferita all’Ospedale Militare e all’avverarsi di quello ch’avrebbe dovuto esser sublime apogeo dell’incontro con Marcelo, tradotta nella base clandestina nota come Valparaíso; banale e abietta allusione alla radice «Val del Paraíso» comune a tante località, ignobilmente riletta «Va al Paraíso». Iruretagoyena s’era fatta madre d’una bambina e per non più d’otto settimane poté intridersi del profumo della purezza e infonder quello latteo di genitrice, dopodiché, i soldati la giustiziarono e la piccola dalle braccia strappatale, il 14 gennaio 1977, adagiata in una cesta con un biglietto recante la data di nascita, 1° novembre 1976, posero davanti all’abitazione di Esmeralda Vivian e del Commissario di Polizia Ángel Tauriño, coppia da natura privata di procreazione che formalmente l’adottò intorno al ’79. 

Nella primavera del ’99, il commisto di speranza, cognizione e pervicacia, indusse Juan Gelman a chieder udienza al due volte Presidente uruguaiano e figura storica del Partido Colorado, Julio María Sanguinetti (1936), convinto che se fosse riuscito a persuaderlo ad avviare un’inchiesta, partendo dalla documentazione in suo possesso, il volto della nipote sarebbe apparso.

L’appello non venne disatteso e fu invitato a recarsi alle 19:30 del 7 maggio, presso l’ufficio posto al 7° piano dell’Edificio Libertad, dove aveva sede il ramo esecutivo. Ottemperando alla singolare combinazione numerica, si presentò assieme a La Madrid, ma inaspettatamente, a far d’anfitrione trovarono il Segretario generale Elías Bluth, il quale, giustificando l’inconveniente come sfortunata conseguenza d’improvvisi e inderogabili impegni, s’offrì disponibile all’ascolto e a maggior garanzia, promettendo consegna, suggerì loro d’esporre domanda d’aiuto redigendo sul momento esaustiva relazione.

Volati cinque mesi senza ricever notizia, nient’affatto svuotato di caparbieria, il poeta pretese spiegazioni rivolgendo a Sanguinetti argomentata lettera aperta mediante il quotidiano di Montevideo La República ed egli, utilizzò medesimo canale per controbattere, assicurando d’aver preso atto del contenuto del resoconto e fatto eseguire con assoluta meticolosità i dovuti accertamenti, però nemmanco un elemento dalla minima rilevanza era emerso. Sottolineò i decenni trascorsi, indicando protagonisti e potenziali testimoni oramai anziani, probabilmente deceduti, in ogni modo non più «soggetti a gerarchia militare o all’autorità dello Stato». Infine, ricusando la possibilità di bambini scomparsi in circostanze simili alle segnalate in Argentina — in quanto i minori vittime di rapimento presenti nel Paese, s’eran dimostrati provenienti dalla sponda opposta del Rio de la Plata — escluse l’eventualità di una permanenza della nuora sul territorio. La risposta tuttavia non placò lo scrittore e s’innescò un insolito quanto denso scambio epistolare che richiamò l’attenzione globale e in suo favore cominciarono ad intervenire letterati, artisti e politici come Eric Hobsbawm (1917-2012), José Saramago (1922-2010), Günter Grass (1927-2015), Dario Fo (1926-2016), Ted Kennedy (1932-2009), Daniel Viglietti (1939-2017), Sebastião Salgado (1944) e migliaia d’altri.

Sono il padre di un uomo di 20 anni, rapito, torturato e assassinato. Sono il suocero di una donna rapita all’età di 19 anni, trasferita da Buenos Aires a Montevideo e uccisa dalla dittatura militare uruguaiana due mesi dopo il parto. Sono il nonno di una giovane derubata dei suoi primi 23 anni di vita.
Juan Gelman

Terminato il mandato di Sanguinetti, le votazioni del 1° marzo 2000 confermarono i colori politici consegnando le sorti dell’Uruguay all’avvocato Jorge Batlle (1927-2016), così diventato quarto esponente nella secolare discendenza d’origine catalana, a ricoprire la massima carica dello Stato. Sin dalle prime settimane di governo mostrò particolare riguardo verso il problema dei desaparecidos e nell’immediato, s’occupò del caso di Iruretagoyena, assegnando separate indagini al consigliere Carlos Ramela e al generale Ricardo González, esigendo solerzia e rapidità. Poche settimane bastarono perché ambedue corroborassero le tesi di Juan Gelman, il cui febbrile scandagliar il passato l’aveva oramai messo sulle tracce di Tauriño.

Ne conosceva i rapporti intrattenuti con rappresentanti della corrente colorada, quella stessa grande tenda di centrodestra già casa di Juan Bordaberry (1928-2011), quando nel ’73, da presidente eletto, assunse poteri dittatoriali per mantenerli fino al ’76, proponendo un sistema costituzionale d’ispirazione franchista e fascista, rendendosi responsabile di soprusi, all’inizio del III millennio giudicati crimini contro l’umanità. Aderenze al partito che nel ’95 erano valse a Tauriño — in pensione da quasi due decadi — la nomina di Capo del dipartimento di Polizia di San José de Mayo, cittadina situata a circa 90 chilometri da Montevideo. Probabilmente non conosceva la vera identità della figlia, almeno non prima del baccano sollevato dall’evolvere degli eventi, tuttavia, a precederne l’ingresso nei faldoni dell’argentino ed eventualmente a esprimersi, il sopraggiunger della morte. Si spense il 14 ottobre 1999 a causa di una neoplasia ed il poeta, sapendone la devozione cattolica, data la delicatezza richiesta dalla complessa situazione, anziché tentar contatto diretto con la famiglia, si prodigò nella titanica impresa d’illustrar in sei pagine il colossal mosaico assemblato in tanti anni ed inviando risultato, a Pablo Galimberti di Vietri (1941), all’epoca vescovo della comunità di San José, pregandolo di far da intermediario e riferire l’esposizione alla madre adottiva.

Accorata, Esmeralda Vivian, immantinente confessò il segreto di cui da tempo, in comunione col marito, avrebbe voluto liberarsi e raccontò d’una culla raccolta all’udir del campanello nella notte del 14 gennaio 1977, all’incredula figlia María Macarena, persin ignara dell’esistenza d’un poeta bonaerense d’animo ucraino, visionario, esiliato e rivoluzionario, corrispondente al nome di Juan Gelman, da 24 anni alla sua di/sperata ricerca. Non di più sapeva la donna, perciò le suggerì d’interpellar l’ecclesiastico s’avesse voluto sfogliar il calendario a ritroso e saper dell’uomo ch’andava gridando d’esserle nonno. Così fece e ne incontrò gli occhi dapprima in fotografia, ne lesse il lungo percorso compiuto prendendo consapevolezza dell’Operazione Condor e sebbene il religioso le avesse consigliato d’avvicinarlo tramite lui e quindi, muoversi con cautela almeno finché prova non fosse giunta dall’analisi del DNA, si conobbero e riconobbero senz’attender tale verdetto e quando genetica declamò 99,998% celebrando ragione, motivando dolore e appassionata pertinacia, lei decise di ripagar l’ostinato amore e restituir memoria alla vita, assumendo i cognomi dei genitori biologici e sicché ribattezzarsi, María Macarena Gelman García Iruretagoyena.

Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)
Juan Gelman e María Macarena

Insieme, l’8 maggio 2010, intentarono un’azione legale contro l’Uruguay e il successivo 24 febbraio, la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) dichiarò lo Stato responsabile della scomparsa di María Claudia, colpevole di investigazioni inappropriate, del rapimento, consegna a terzi, furto, eliminazione e sostituzione dell’identità di Macarena. Venne quindi obbligato a risarcire la famiglia; proseguire i controlli su entrambi gli episodi intensificando l’azione di rintracciamento delle spoglie di Iruretagoyena, ancora oggi dispersa; fu inoltre condannato a riconoscere pubblicamente le violazioni dei diritti umani perpetrate durante la dittatura e dunque, costretto a perdurar le ispezioni sui crimini commessi, adottando adeguate misure, al fine di garantir libero accesso alle relative informazioni contenute negli archivi nazionali e per di più, la Corte impose l’affissione, all’interno della sede del SID, di una targa riportante i nomi di coloro che vi patirono prigionia e morte.

All’anno della sentenza Juan Gelman era giunto pubblicando Tantear La Noche e riabbracciata la nipote, la raccolta dall’emblematico titolo Valer La Pena, traendo espressione da un verso di Urondo per rifletterla nella consueta ed esplicita accezione di «cause per cui vale soffrire», sia con accezione di «essere all’altezza dei tormenti». Odi aveva poi lasciato germogliare in País Que Fue Será, Mundar, De Atrásalante En Su Porfía, Bajo La Lluvia Ajena. Opere gratificate da riconoscimenti conseguiti in Cile, Cuba, Italia, Messico, Spagna, dal Premio Juan Rulfo al Reina Sofía, dal Ramón López Velarde al Pablo Neruda e il 28 novembre 2007, a sublimarne l’arte scrittoria l’annuncio del Premio Miguel de Cervantes, diventando perciò il quarto argentino, dopo Jorge Borges (1899-1986), Ernesto Sabato (1911-2011) e Adolfo Casares (1914-1999), a conquistare il massimo guiderdone legittimante la rilevanza d’un autore nella cultura ispanica. Secondo rituale, gli fu conferito da Juan Carlos I il successivo 23 aprile, giorno rimembrante la scomparsa del creatore di Don Chisciotte e all’evento, seguì il viaggio nel seminterrato dell’Istituto Cervantes dov’è collocata la Caja de las Letras, il caveau ripensato a letteraria capsula del tempo, all’interno della quale, nella cassetta di sicurezza n.1028, depose un testo su pergamena il cui contenuto sarà svelato, come da Gelman indicato, il 3 maggio 2050.

Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)
Premio Miguel de Cervantes
Per Sant’Agostino, la memoria è un vasto santuario, senza limiti, da cui si richiamano i ricordi desiderati. Ma ci sono ricordi che non necessitano di venir chiamati, sono sempre presenti e mostrano i loro volti senza sosta. Sono i volti dei propri cari scomparsi nelle dittature militari. Pesi nell’anima d’ogni familiare, ogni amico, ogni compagno di lavoro, che alimentano incessantemente domande: come sono morti? Chi li ha uccisi? Perché? Dove sono i loro resti per recuperarli e offrirgli un luogo di omaggio e memoria? Dov’è la verità, la loro verità? La nostra è la verità del dolore. Quella degli assassini, la codardia del silenzio. Così prolungano l’impunità dei loro crimini e la trasformano in impunità due volte.
[…]
Dicono che dobbiamo rimuovere il passato, aver occhi sulla nuca, ma guardare avanti senza permettere che il riaprirsi di vecchie ferite possa angustiarci. Si sbagliano totalmente. Le ferite non sono chiuse. Palpitano nel sottosuolo della società come un cancro senza speranza.
La loro unica cura è la verità. E poi, la giustizia. 
[…]
Marina Cvetaeva, la grande poetessa russa annichilita dallo stalinismo, una volta ha osservato che il poeta non vive per scrivere. Scrive per vivere.
(frammenti del discorso pronunciato in occasione del Premio Miguel de Cervantes)

 
Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)Nel 2011 propose El Emperrado Corazón Amora e a due anni di distanza l’intimo e intenso Hoy, interrogante altalena d’amore, malinconia, nudi sguardi e resistenza a quell’«oggi», racchiusa in 297 poemi scanditi da numeri romani ed albeggiati all’inflizione di condanne agli assassini e torturatori dell’Automotores Orletti, verdetti da egli appresi — com’affermò all’udirli — senz’odio né gioia, quasi imprimendo poi motivo del nulla provato nel canto VIII: «¿Cuánta sangre cuesta/ ir de saber a contramano/ del olvido al horror/ de la injusticia a la justicia? […] El beso del lazo se convierte en el lazo que el asesino ajusta. Desvío sin límite ni fondo ni virtud». Nell’opera il poeta fermò carezze al figlio, alla nuora, alla moglie; i «suoni di morte quotidiana» tonanti da «Messico, Iraq, Pakistan, Afghanistan, Yemen, Somalia»; il ricordo della racherista Chavela Vargas (1919-2012), di Tomás Segovia (1927-2011); conversazioni con Juan Marsé (1933), con l’amico Galeano che di fronte alla tragedia vissuta in animo dall’argentino si chiedeva se Dio non fosse stato ateo. «I libri si scrivono da soli» commentò, quando lunedì 26 agosto 2013 ne sfogliò strofe di presentazione fra le pareti dell’Auditorio Jorge Luis Borges della Biblioteca Nacional di Buenos Aires e neanche cinque mesi dopo, alle 16:30 di martedì 14 gennaio, all’età di 83 anni, Juan Gelman s’abbandonò all’eternità: l’Argentina s’ammutolì in tre giorni di lutto; da Pagina/12 fu salutato come «L’uomo che diede voce alle parole oltre la morte» e nel mentre commossi attestati di stima pervenivano da giornalisti, scrittori e artisti d’ogni dove, la testata spagnola El País, ne pubblicò inedita lirica, un addio che Gelman aveva composto e «in segreto» donato al cantautore úbetense Joaquín Sabina, con tanto di firma e data in cui Poesia lo raggiunse per l’ultima volta nella dimora a La Condesa.

Verdad Es
La Condesa, México D.F, 28 ottobre 2013

Cada día
me acerco más a mi esqueleto.
Se está asomando con razón.
Lo metí en buenas y en feas sin preguntarle nada,
él siempre preguntándome, sin ver
cómo era la dicha o la desdicha,
sin quejarse, sin distancias efímeras de mí.
Ahora que otea casi
el aire alrededor,
qué pensará la clavícula rota,
joya espléndida, rodillas
que arrastré sobre piedras
entre perdones falsos, etcétera.
Esqueleto saqueado, pronto
no estorbará tu vista ninguna veleidad.
Aguantarás el universo desnudo.


Le parole sono come l’aria. Il problema non sono le parole. È il tono, il contesto, il motivo per cui sono pronunciate e a chi sono indirizzate. Carnefici e vittime usano le stesse parole. Ma non ho mai trovato utopia, bellezza o tenerezza nei rapporti della polizia. Sai che la dittatura argentina ha bruciato Il Piccolo Principe? E penso che abbia avuto buone ragioni per farlo. Non perché mi sia sgradito Saint-Exupéry. Quanto piuttosto perché ne Il Piccolo Principe, c’è una tale delicatezza che potrebbe abbattere qualsiasi dittatura.
Juan Gelman

Juan Gelman: il poeta delle strade, dell'esilio, dell'amore contrapposto all'orrore; voce indoma degli oppressi, delle vittime d'ogni tirannia, quella di un uomo, un padre, all'infrenabile ricerca di memoria, verità e giustizia. (https://terzopianeta.info)


Allí
Valer La Pena, 2001

Nadie te enseña nada.
Nadie te enseña a ser vaca.
Nadie te enseña a volar en el espanto.
Mataron a miles de compañeros y nadie te enseña
a hacerlos de nuevo.
¿Cómo hago,
cómo hago yo?
¿hay que romper la memoria para que se vacíe
como un vaso roto?
Me consuelo estúpidamente.
Miro navegar rostros en mi sangre y me digo
que no murieron aún.
Pero mueren aún
Y yo mismo, ¿qué hago mirando cada rostro?
¿Me muero en ellos cada vez?
En alguna telita del futuro habrán escrito/ sus nombres.
Pero la verdad es que están muertos,
amortajados por la incomprensión.
Alzan sueños sin método
contra la vida chiquita.


El Acoso
País Que Fue Será, 2004

Estar triste es un hecho.
Comerse la tristeza un acto.
Entre el acto y el hecho pasan
una luna infantil y un libro
blanco donde
maquillaron la palabra dolor.
Ahora parece un fruto, una
casualidad o esperanza,
isla sola en el suelo.
Al fondo, se ve el vértigo
de pájaros anónimos que matan
olvidos de compunción.
No van más lejos
que el nacimiento de un delirio.
Alguien habla en la copia de mí
y hace ruido un temblor acosado.


La Manzana
Mundar, 2007

Manzana sola en la fuente,
¿qué hace sin Paraíso? Nadie ve
su cicatriz amarga.
¿Me pregunta
a dónde fue el secreto
de irse por tanta puerta cerrada, alto el crepúsculo firme, la cara que
sueña, sueña, sueña,
sin importar lo que perdió?
En un rincón el viento mueve la sombra de las hojas.


El Niño
Mundar, 2007

El niño duerme
al pie de un árbol y el aire
que lo relata brilla
como vida en la vida, se vuelca
con claro alivio sobre
la piel llena de caminos, sube
en el fulgor del día
para darle fulgor y el otoño
quiere al niño que duerme
al pie del aire y el
espanto se va, corrido
por una voz
que nadie escucha todavía
en la marea de las huellas.


III
Hoy, 2013

Dios se fue al vacío que dejó su muerte.
La sombra traga los regresos y
los favores del amor en cualquier calle se abandonan.
La vida se pareció a la vida alguna vez/
ya la mentira ni siquiera vuela.
Hay que barrer el mundo en sucio estado/
otra vez ponen huevos de serpiente/ viejos.


XX
Hoy, 2013

¿Quién dijo que el tiempo petrifica las lágrimas?
Se esconderán por ahí, en las moradas del delirio.
Los hue – sos pura piel de un niño muerto de hambre aumentan lo – dos del espanto.
En el careo con la foto nadie habla.
La paridad de los extremos en estaciones sórdidas crea
proyectos de vacío y la desolación finge ser una que no llora,
se ladea el paisaje mental sin reinvención posible.


XCIV
Hoy, 2013

Sin saber hasta cuándo me despedí de vos.
Volví con agujeros donde callaban compases del exilio,
una música que no se deja recrear,
un árbol del que caen hojas que asustan a los pájaros.
Vuelven a nubes que me quedan.
Tiros del pecho siguen jóvenes,
libres de su vergüenza,
neblinas que llovieron.


Balada del hombre que se calló la boca
Relaciones, 1973
Musica di Juan Cedrón

 

El sol sale todos los días
cantan los pájaros o llueve
alguien nace, alguien muere, alguien sufre
un hombre se calló la boca.‎

Lo ricos cada vez más pobres,
sus armas cada vez más grandes,
sus miedos cada vez más chicos,
un hombre se calló la boca.‎

‎¿Qué espera para hablar?
¿Acaso es una copa no colmada?
Las copas pierden con el tiempo
un hombre se calló la boca.‎

‎¿Qué espera? ¿Tiene miedo?
¿No sabe? ¿Es un mártir?
¿Le sacaron la lengua? ¿Es sordo? ¿Ciego? ¿Qué es?
un hombre se calló la boca.‎

No quiere callar,
no quiere darle pedazos a la rabia.
¿Qué espera? ¿Esperaba? ¿Espera?
un hombre se calló la boca.‎

Pasaron años y vinieron
los que organizan la victoria
todos hablaron, pero antes
un hombre se calló la boca.‎


 


 
 

Juan Gelman: Raccolta di poesie tradotte in italiano

 
 
 
 

Fonti:
JuanGelman.com
Ministerio Público Fiscal: Sentencia Plan Cóndor y Automotores Orletti, 04.2019
Corte Interamericana de Derechos Humanos: Gelman Vs Uruguay
Isidoro Gilbert, Clárin, 17.01.2014
Horacio Verbitsky, Pagina/12, 27.04.2008
Macarena Gelman, La Nacion, 10.08.2008
Susana Viau, Pagina/12, 10.03.2006
Festival de poesia de Medellin, 2006
Gabriela Esquivada: Obra periodística de un poeta, 2006
Jorge Elías, Maten al cartero, 2005
Juan Gelman, Pagina/12, 05.08.2001
Rita Arditti, Searching for Life: The Grandmothers of the Plaza de Mayo, 1999
Julio María Sanguinetti, La República, 6.11.1999
Revista La Maga, Especiales sobre Juan Gelman, 1997
Rita Arditti, intervista a Berta Schubaroff, 1993
Eduardo Galeano, Nosotros decimos no: Crónicas (1963/1988), 1989

 
 
 
 

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