Jeans, storia e curiosità di un tessuto leggendario
Impareggiabilmente versatile e trasversale a generazioni e contesti sociali, il jeans, da secoli tramanda storie di vissuti appartenendo in maniera imprescindibile all’esistenza di gran parte dell’umanità.
Infinite sono le possibilità di indossare i jeans e altrettanti numerosi i modi di farlo, di dar senso a questo pantalone che nel corso del tempo è diventato il “significante puro” del guardaroba disponibile ad assumersi i più diversi significati. Lavoro e tempo libero, gioventù e virilità, seduzione e comodità trasandata, rivoluzione e rimpianto dei bei tempi del west, americanismo e anti, eleganza e povertà.
Ugo Volli
Fra i vari racconti narrati sull’origine dei jeans, la versione maggiormente accreditata, fra storia e leggenda, è quella che ne localizza remoto utilizzo nella città di Genova, dove infatti, nel sedicesimo secolo, un particolare tipo di fustagno (tessuto di modesta pregevolezza, morbido e resistente, che in epoca medievale era prevalentemente costituito da cotone, talvolta misto a lino o lana) veniva prodotto dalla piemontese cittadina di Chieri, comune situato fra la parte sudorientale delle colline del Po e gli ultimi lembi del Monferrato, ad una quindicina di chilometri da Torino.
Lo stesso era merce di vendita destinata ai genovesi i quali, ben consapevoli della sua durevolezza e inalterabilità alle intemperie, ne destinavano l’impiego per proteggere le merci nei porti, per fabbricare i sacchi nei quali riporre le tele delle navi o ancora, forse, per confezionare abiti da lavoro che fossero comodi, protettivi e duraturi.
Il capoluogo ligure era ai tempi forte d’una tradizione tessile d’esportazione, preziosi manufatti erano fiore all’occhiello della regione, come ad esempio fu per broccati, damaschi (famosi ancora oggi quelli dell’entroterra di Lorsica) sete e velluti; per quanto concerne questi ultimi, particolar riconoscimento è dovuto a Zoagli, antico borgo marinaro, magnifica perla naturale sita nel Golfo del Tigullio, tra Chiavari e Rapallo, fra le cui mura antiche seterie operavano in assidua e zelante fede al valore artigianale fuoriuscente da laboriose, infaticabili ed appassionate mani dedite al lavoro, fin dal dalla prima metà del quindicesimo secolo, con ufficiale riconoscimento del mestiere a seguito della neo creatasi costituzione, in Firenze, della Corporazione dell’Arte della Seta*.
Siffatta abilità tessitrice e relativa formalizzazione della stessa, condussero gradatamente nomea e produzione ligure a livello mondiale, portando i suddetti tessuti nelle più rilevanti e potenti corti europee, dunque gioendo d’elitario riconoscimento e conseguente vantaggio, sia economico che di prestigio, perlomeno fino ad inizio Ottocento, ovvero prima che il progresso industriale e la concorrenza estera non si fecero bastone fra le ruote ad un dominio fino ad allora vantato come territoriale ed esclusivo.
Susseguente primogenitura del tessuto jeans avvenne pertanto sullo sfondo d’un contesto storico fortemente intriso di tradizione e ideale atmosfera nella quale iniziare ad esportare il “tessuto blu” di piemontese provenienza attraverso le acque del Porto Antico di Genova, ai tempi cardine nascente delle più importanti attività commerciali nel Mediterraneo, prima che la posa di piede di Cristoforo Colombo sul Nuovo Mondo aprisse la possibilità di navigazioni direzionate sull’Atlantico, con ovvio scemare dell’espansione marittima genovese.
Durante quell’epoca era solito attribuire alle stoffe un nome che richiamasse la località di provenienza, motivo per cui si è propensi a credere che il termine inglese blue-jeans, usato per la prima volta nel 1567, possa derivare dal francese blue de Gènes (o Jeane) il cui significato letterale è, appunto, blu di Genova.
La caratteristica sfumatura azzurra del tramato si otteneva tramite colorazione con guado, o gualdo, pianta d’origine asiatica, della famiglia Brassicaceae, scientificamente classificata come Isatis tinctoria, appartenente a quelle che sono comunemente definite “piante da blu”, ovviamente in riferimento alla nuances dalle stesse estratta.
Il vegetale, ben noto fin dall’antichità in alcuni paesi mediorientali, giunse in Europa solamente nel Tardo Medioevo per questioni prettamente culturali, essendo il rosso considerata la tintura per antonomasia, a discapito del blu, reputato di scarsa valenza simbolica, in talune popolazioni europee addirittura ritenuto nefasto, fino alla crescente rivalutazione dello stesso, quindi con ampia accettazione delle proprietà dell’Isatis e ad una sua intensa e fruttuosa commercializzazione, fra il XIV ed il XV secolo, per poi giungere a sostituirla progressivamente, nel XVI secolo, con estratto di Indigofera tinctoria (da cui il vocabolo “indaco”), arbusto della famiglia Fabeceae la cui resa si rivelò decisamente migliore, oltre che essere di più semplice lavorazione.
Lieve ripresa dell’Isatis sull’Indigofera si sarebbe verificata in seguito al Blocco continentale, emanato da Napoleone Bonaparte il 21 novembre del 1806, in aperto contrasto all’economia inglese, con il quale venne troncata, fra le varie importazioni dalla Gran Bretagna, anche quella dell’indaco, con proclamazione d’ordinanza imperiale tramite cui ricompensare chiunque si fosse prodigato nel riportare a pratica superate tecniche d’estrazione alternative, fra le quali lo stesso guado.
La Francia ebbe a suo modo un ruolo predominante sulla diffusione dei jeans, ponendosi come lupus in fabula nel tenace mettersi in gioco, come motivata antagonista, nel realizzare un ordito similare all’italico e turchese fustagno con la soprannominata serge de Nimes (tela di Nimes), appellativo ricavato dall’omonima cittadina e dal quale derivò il termine, tuttora in voga, denim (o tessuto di jeans), in aperta competizione agli intraprendenti genovesi su chi debba ritenersi l’inventore della polivalente stoffa, diatriba al presente non ancora risolta e probabilmente destinata a rimanere perennemente in bilico fra le due nazioni.
I fabbricanti di stoffe francesi, avvalendosi della tintura ad indaco, ne predilessero l’impiego come abiti da lavoro, avvantaggiandosi di cospicuo guadagno dovuto, da una parte, ad una produzione alquanto economica, dall’altra all’ampio bacino raggiunto destinando il capo alla collettività rappresentata dalla moltitudine dei lavoratori, loro fornendo un’innovativa tipologia d’indumento che, all’indossarlo, restituisse comodità, robustezza ed immensa adattabilità. Il naturale scolorirsi del tessuto, che in principio venne ritenuto un punto di debolezza, precludendo la destinazione ad altre categorie, causa la non duratura compattezza cromatica, sarebbe divenuto con il passar del tempo un inarrivabile punto di forza, dato dalla peculiarità dello stingersi che in salto di secolo ha portato il jeans ad essere irrinunciabile presenza in ogni guardaroba che si consideri tale, inarrivabile escalation la cui paternità appartiene indiscutibilmente all’intraprendenza e lungimiranza dell’imprenditore tedesco, naturalizzato statunitense, Levi Strauss.
I Jeans nel mito di Levi Strauss
Ultimo di sette figli, da parte paterna, secondo ed ultimo, da parte materna, Levi Strauss nacque il 26 febbraio 1829, al nome di Löb Strauß, in Baviera, a Buttenheim, dal venditore ambulante Hirsch Jacob Strauß (1780-1846) e dalla sua seconda moglie, con la quale Hirsch si era maritato dopo esser rimasto vedovo sette anni prima, Rebecca Haas (1800-1869).
La sua famiglia era d’origine ashkenazita (termine identificante gli ebrei dell’Europa centrale ed orientale, posteri delle medievali comunità ebraiche della valle del Reno, la regione franco-tedesca ai tempi denominata Ashkenaz) che si differenziano da coloro che provengono da altre zone per alcune ritualità liturgiche, oltre che per la pronuncia dell’ebraico nella lingua germanica germanica dagli stessi utilizzata, l’yiddish.
Rimasta vedova per la morte del marito, causa tubercolosi il 6 giugno 1846, Rebecca ne sposò il fratello Lippman, appena un semestre più tardi disperandosi per la seconda volta nel triste evento della perdita del consorte.
Dilagando all’epoca violento antisemitismo, peraltro sostenuto da leggi alquanto restrittive a discapito degli ebrei, nel 1847 Rebecca fece richiesta di emigrazione, ottenendola nel 1848, per Löb, la sorellastra Melia e la sorella Fanny, per raggiungere, a New York, i due fratellastri, Jones e Louis, che nella cittadina statunitense erano dediti ad attività di commercio nel settore dell’abbigliamento all’ingrosso, quindi soci nell’omonima J. Strauss Brothers & Co., contesto in cui al dinamico giovane non fu difficile “imparar l’arte e metterla da parte”, spirito d’apprendimento che egli volle però liberare ad ampio raggio anche in Kentucky, a Louisville, dove si trasferì nel ranch dello zio Daniel Goldman, lì trascorrendo un quinquennio, nel mentre affinando la lingua inglese ed iniziando a sognare, sospeso fra il desiderio di divenire un imprenditore autonomo e l’immaginare di potersi un giorno sperimentare nella gestione dell’amata fattoria.
Nel 1850, tra l’altro preciso anno in cui la sorella Fanny Strauss convolò a nozze con il businessman David Stern (1820-1875), Löb diede al suo nome inglese tocco, trasformandolo in Levi e divenendo ufficialmente cittadino statunitense nel 1853.
In quel periodo s’era diffusa quella che storicamente viene ricordata come Corsa all’oro (o Febbre dell’oro), massiccia migrazione di migliaia di lavoratori che, a partire dal ritrovamento, nel 1848, di gialle pepite ad opera del primo minatore James Wilson Marshall (1810-1885) nei pressi d’un fiume a Sutter’s Fort, che allora era colonia agricola e commerciale a Sacramento, costruita dall’imprenditore svizzero John Augustus Sutter (1803-1880), si riversò in massa alla ricerca di fortuna.
Nell’anno coincidente all’attribuzione della sua nuova cittadinanza, Levi Strauss decise dunque di partire per San Francisco, imbarcandosi dal porto di Bremerhaven, tuttavia non dedicandosi prettamente alla ricerca del prezioso metallo, ma inizialmente mettendo in pratica le sue innate doti di venditore ambulante, che l’esperienza con i fratellastri aveva arricchito e specializzato, dunque guadagnandosi da vivere attraverso la fornitura di articoli di vario genere (non esclusivamente d’abbigliamento, quindi calzature, guanti, decorazioni per cappelli, merceria e tanto altro) a negozi locali, successivamente intuendo l’ottima opportunità d’inserirsi in quel particolare momento storico nel tentativo di fornire indumenti di particolare resistenza ai minatori, fra cui la celeberrima salopette (per il confezionamento della quale, in un secondo tempo, Levi utilizzò la tela di Nimes), quanto a tessuti per rivestire i Conestoga, i mezzi di trasporto dei pionieri che, tra il XVIII ed il XIX secolo, s’eressero a simbolo delle migrazioni americane verso ovest ed il cui appellativo derivò dalla Conestoga Valley, in Pennsylvania.
Capienza e solidità erano le caratteristiche principali di questi carri, trainati da più cavalli, che riuscivano a trasportare carichi di più tonnellate, con fondo simile a quello delle imbarcazioni, robustissime ruote con cerchioni in ferro a prova di guado ed infine protettive coperture in tela, appunto quelle delle quali Levi, lungimirante, avrebbe voluto essere produttore e fornitore, come effettivamente avvenne, nel 1854 allargando interessi e fatiche nella conduzione d’una filiale dell’azienda di famiglia, nel West Coast, che presto egli avrebbe rinominato, nel 1860, Levi Strauss & Co., in società con il cognato David. A condurre la sua produzione sulla scia del successo fu il sarto, inventore ed imprenditore Jacob William Davis (1831-1908), nato Jacob Youphes, i cui natali, di famiglia ebrea, gli furono donati nella cittadina di Riga, in Lettonia, da dove, ventitreenne con esperienza di sarto sulle spalle, emigrò in America, variando il proprio nome natio. Trasferitosi in Canada, da cui ritornò in territorio statunitense maritato e padre di sei figli, breve attività di commerciante di carni e tabacco lo impegnò fino al 1968, anno in cui si trasferì a Reno, nel Nevada, riprendendo attività sartoriale l’anno successivo, grazie all’apertura d’una sartoria in centro città.
Realizzando prodotti di grandi dimensioni atti al confezionamento di tende, coperte per cavalli e carri, Davis necessitava d’un materiale che fosse adatto all’uso, inizialmente utilizzando il cotton duck (una pesante tela di cotone), lo stesso che gli fu d’aiuto nell’esaudire la richiesta d’una cliente che gli aveva commissionato robusti pantaloni da lavoro per il marito taglialegna, ragione per cui Davis applicò, nel confezionare gli stessi, dei rivetti di rame sui punti di tensione maggiormente tendenti al deteriorarsi, nell’intento di migliorare la durevolezza nel tempo, poi, nel 1971, preferendo un tessuto denim che il sarto acquistava da Levi Strauss & Co.
Di parola in parola, di prova in prova, il successo dei pantaloni fu esplosivo ed all’aumento delle ordinazioni Jacob si rese presto conto di non riuscire da solo a soddisfare la moltitudine di richieste, ma il risultato lo aveva entusiasmato a tal punto, da originare in lui il desiderio di brevettare la sua invenzione, sogno che sarebbe rimasto utopia se non fosse che lo stesso Levi, a cui Davis aveva narrato tutto in una missiva, accettò di collaborare, sostenendo il lancio della novità sul mercato.
Il 20 maggio 1873 ai due incalliti visionari giunse il brevetto numero 139.121, per “Miglioramento nelle aperture delle tasche di fissaggio”, loro concedendo il privilegio della paternità d’uno dei capi più indossati al mondo, marchiandoli della caratteristica doppia cucitura arancione l’anno successivo, peculiarità in seguito divenuta a marchio registrato e solamente due anni dopo riuscendo ad acquisire la Mission e la Pacific Wollen Mills.
Nel corso degli anni a seguire Davis si trasferì con la famiglia a San Francisco per gestire una sartoria di grandi dimensioni, aperta da Strauss, specializzata nella produzione di vestiario da lavoro. L’irrefrenabile escalation che avvenne in seguito è indelebile storia, un favoloso intreccio fra peripezie e sentimenti orditi sulla fiducia, quella che un tenace sarto lappone, devoto al proprio mestiere, si vide concedere da un uomo altrettanto perseverante ed intuitivo sul filo dei propri sogni, poi tramati all’unisono fra passione, ideali e smisurata dedizione.
Lo straordinario traguardo non ebbe il potere d’assestare le energie di Levi il quale condusse la sua esistenza impegnandosi a fondo in più settori, a partire dal 1877, come membro fondatore e tesoriere del Consiglio di Commercio di San Francisco, quindi proseguendo nel ricoprire cariche di prestigio come direttore in ambito bancario e societario di varia tipologia.
Alla fama non fu concesso d’offuscarne il nobile animo, essendo stato Levi Strauss uno dei maggiori filantropi cittadini, attivando collaborazioni e finanziando una trentina di borse di studio, tuttora attive, alla California University, oltre che facendosi assidua e fidente spalla della comunità ebraica, nello specifico con donazioni, devolute insieme a David, alla Congregazione Emanu-El, della quale i due cognati divennero membri, sostenendo la costruzione della Sinagoga vecchia Emanu-EL, iniziata in Sutter Street nel 1864, terminata nel 1868 e demolita nel 1927. In concomitanza con l’inaugurazione del nuovo edificio, si adoperarono a favore di orfani ed anziani ebrei in cooperazione con il Pacific Hebrew Orphan, di malati od indigenti attraverso l’Eureka Benevolent Society, attivandosi insieme ai gruppi umanitari anche in soccorso alle conseguenze psicologiche dell’antisemitismo, oltre al personale impegno rivolto alla realizzazione del cimitero ebraico di Colma.
Rimase in attività fisica nell’azienda fino a tarda età ed il 1890 fu per l’uomo indimenticabile occasione di poter condividere con i nipoti il famoso numero di lotto 501®, che sarebbe passato alla storia.
La morte si fece freno sui suoi passi nel settembre del 1902, concedendogli la generosa sorte il tempo d’un’ultima cena con i familiari e poi rapendolo nella nottata, poi accogliendone le spoglie il californiano terreno di Colma, lasciando lo stesso un patrimonio milionario, ma, soprattutto, il ricordo d’un’anima buona la cui ultima testimonianza concreta, oltre all’eredità lasciata a i familiari, della quale l’azienda ai quattro nipoti figli di Fanny e David, Jacob, Sigmund, Louis e Abraham Stern, furono le donazioni a beneficio di fondi ed associazioni del posto, con intima volontà che una parte di quanto da lui lasciato venisse impiegata per il mantenimento del cimitero di Buttenheim, dove riposa il suo amato e precocemente scomparso padre.
L’innato altruismo e l’immenso saper non soccombere alle lusinghe del guadagno dimostrati da Strauss, restituiscono l’immagine d’un uomo ammirabile oltre l’intuizione che l’ha elevato ad immortale icona. Indossare un jeans, effettuarne un lavaggio, stirarne una piega diviene allora quotidiana pratica surclassante la moda, il tempo, la vanità, un gentile sapersi porre all’ascolto di storie lontane, narrate in eco sulle nazioni e sulle mani lavoratrici che le hanno rese confini di cuore ancor prima che territoriali, facendo d’ogni guardaroba uno scrigno di esistenze in poetico reggersi all’oscillare degli appendini ad ogni apertura d’anta, in magica melodia fra presente e passato.
Vorrei aver inventato i blue jeans: la cosa più spettacolare, più pratica, più comoda e disinvolta. Hanno espressione, modestia, sex appeal, semplicità − tutto ciò che desidero per i miei vestiti.
Yves Saint Laurent, New York Magazine, 1983
* Le Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, spesso ripartite in Arti Maggiori ed Arti Minori in base al mestiere praticato, furono congregazioni che si vennero a creare nel XII secolo in varie città europee a scopo di regolamentazione e tutela, tramite statuto, di coloro che appartenevano alla medesima categoria professionale:
Arti Maggiori:
Arte dei Giudici e Notai
Arte dei Mercatanti (o di Calimala)
Arte del Cambio
Arte della Lana
Arte della Seta (o di Por Santa Maria)
Arte dei Medici e Speziali
Arte dei Vaiai e Pellicciai
Arti Minori:
Arte dei Beccai
Arte dei Calzolai
Arte dei Fabbri
Arte dei Maestri di Pietra e Legname
Arte dei Linaioli e Rigattieri
Arte dei Vinattieri
Arte degli Albergatori
Arte degli Oliandoli e Pizzicagnoli
Arte dei Cuoiai e Galigai
Arte dei Corazzai e Spadai
Arte dei Correggiai
Arte dei Legnaioli
Arte dei Chiavaioli
Arte dei Fornai
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