Israele e Palestina, Terroristi e Combattenti
Comunque la si pensi, Oriana Fallaci è stata una giornalista (o scrittore, come amava definirsi) che i conflitti li narrava sotto il sibilo delle bombe, a differenza dei tanti, che al più si sporgono dalle terrazze d’albergo con l’elmetto.
In uno dei suoi reportage in Medio-Oriente, vissuto a stretto contatto con i combattenti di al-Fatha, Oriana Fallaci (si) pone riflessioni su uno dei conflitti più lunghi, controversi e sanguinosi dei nostri tempi, quello tra Israele-Palestina.
«Chi ha ragione, chi ha torto, chi scegli?», domanda, «gli ebrei li conosci li hai visti braccare arrestare massacrare a milioni […] li hai difesi, li hai aiutati, li hai amati. Hai sperato che avessero un posto dove stare, difendersi, ti è piaciuto che approdassero infine alla Terra Promessa: un paese chiamato Palestina»
Poi ci sono loro, gli arabi.
Arabi che Oriana Fallaci scrive «Non conosci. Non hai sofferto con loro, non hai mai pianto per loro», finché «un giorno è successo qualcosa […] centinaia di migliaia di creature, di palestinesi, eran fuggiti o eran stati cacciati dal paese che si chiamava Palestina e ora si chiama Israele»
Da che parte stare allora?
Scontro di civiltà o scontro politico, Israele e Palestina con annessi gli opportuni(sti) alleati?
Il 10 giugno del 1967 terminava la “Guerra dei 6 giorni“, la guerra lampo che ha permesso allo Stato di Israele di espandere i propri confini, dando vita a quelli che passeranno alla storia come i “Territori Palestinesi Occupati“.
Una guerra mai terminata, esiste e resiste da 50 anni continuando a mietere vittime.
Combattenti per la Libertà o Terroristi
Nel 2013 il mondo intero piange la scomparsa di un uomo, da tutti considerato simbolo di emancipazione, libertà ed uguaglianza, Nelson Mandela.
Condannato a 27 anni di prigionia, dopo 22 gli viene offerta la libertà condizionata, ma in cambio, deve rinunciare alla lotta armata. Mandela rifiuta e uscirà dal carcere nel 1990.
Quattro anni più tardi, sarà eletto Presidente di quel Sudafrica, che lui stesso ribattezzerà “Nazione Arcobaleno“.
Il leader africano era un uomo schierato, non temeva le proprie idee e forse anche per questo, molte sue parole non sono finite negli “aforismi”.
Mandela ha colpito più volte anche gli Stati Uniti, queste le sue parole prima dell’invasione in Iraq: «Se c’è un paese che ha commesso atrocità indicibili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti d’America. A loro non importano gli esseri umani».
Definendo poi l’atteggiamento americano «una minaccia per la pace nel mondo».
Non mancò di pronunciarsi anche riguardo l’eterno conflitto tra Israele e Palestina e pur riconoscendo lo Stato di Israele e il diritto di esistere entro confini sicuri, Mandela manifestò solidarietà e sostegno alla causa palestinese, nella quale trovava «molte somiglianze tra la nostra lotta e quella della “Liberazione della Palestina”».
Similitudini secondo lui causate da «una unica forma di colonialismo, in Sudafrica come in Israele».
Parole di fuoco, forse responsabili anch’esse del fatto che solo nel 2008, ormai novantenne, Nelson Mandela è stato rimosso dall’elenco dei terroristi dagli U.S.A.
Il Nuovo Mandela, Marwan Barghouti
La sua storia è legata all’organizzazione politica e paramilitare al-Fatah, facente parte dell’OLP, Movimento di Liberazione della Palestina.
Considerato tra i più autorevoli leader delle rivolte palestinesi contro il dominio israeliano, avvenute prima a Jabalijya e successivamente a Gerusalemme, passate alla storia come la prima e la seconda intifada, da 15 anni in carcere, Marwan Barghouti è stato condannato a 5 ergastoli, più 40 anni per un tentato omicidio.
A definirlo il “Nuovo Mandela”, è Uri Avnery, il giornalista israeliano noto in tutto il mondo per le sue battaglie in favore della pace.
Avnery giunge in Palestina nel 1933, per sfuggire alla Germania nazista che gli aveva dato i natali.
Ma è dopo aver preso parte alla guerra tra ebrei e arabi palestinesi di fine anni 40, che decide di mettere le sue forze in favore della causa pacifista e ad oggi, ormai 94enne, è ancora considerato tra i più importanti attivisti d’Israele.
E’ dalle pagine ufficiali del Gush Shalom (il Blocco della Pace), il movimento pacifista e apolitico da lui stesso fondato, che Uri Avnery racconta come Barghouti sia per lui affine a Nelson Mandela.
«Durante le nostre conversazioni parlavamo della pace israelo-palestinese. Le nostre idee erano le stesse: creare lo Stato della Palestina accanto allo Stato di Israele e stabilire la pace fra i due Stati, basata sui confini del 1967 (con piccoli aggiustamenti), con frontiere aperte e cooperazione.
Non era un accordo segreto: Barghouti ha ribadito questa proposta molte volte, sia in prigione che fuori».
«Barghouti è un leader nato» continua Avnery «forse la mia simpatia per Marwan è influenzata da alcune somiglianze fra le nostre giovinezze […] Io e i miei amici ci consideravamo combattenti per la libertà, ma eravamo considerati dalle autorità britanniche come “terroristi”. Lo stesso sta accadendo adesso a Marwan, un combattente per la libertà negli occhi della maggioranza del popolo palestinese, un “terrorista” negli occhi delle autorità israeliane […] Anni fa chiamai Barghouti il “Mandela palestinese” […] Entrambi sono uomini di pace, ma hanno giustificato l’uso della violenza contro i loro oppressori».
C’è un’altra somiglianza fra Mandela e Barghouti, scrive il pacifista israeliano:
«Quando il regime di apartheid fu distrutto da una combinazione di “terrorismo”, attacchi violenti e boicottaggio mondiale, Mandela emerse come leader naturale del nuovo Sud Africa. Molte persone si aspettano che quando lo Stato palestinese verrà fondato, Barghouti ne diventerà presidente».
Secondo Uri Avnery, Barghouti avrebbe le capacità di unire le correnti di Hamas e Fatah e questo farebbe di lui un «potente agente per l’unità palestinese, l’ultima cosa che i padroni israeliani desiderano».
Questa sarebbe quindi una possibile ragione del rifiuto da parte del governo israeliano di liberarlo «”dividi e domina“, sin dai tempi romani è stato un principio guida di tutti i regimi che hanno oppresso altri popoli. In questo le autorità israeliane hanno avuto un incredibile successo».
Il 17 aprile del 2017 , 1500 detenuti palestinesi cominciano uno sciopero della fame indetto da Marwan Barghouti chiedendo migliori condizioni di prigionia, uno sciopero concluso dopo 40 giorni in seguito ad una trattativa durata 20 ore con le autorità israeliane.
Di fronte alle due Autorità Nazionali Palestinesi, Qadura Fares e Issa Karake, è stato confermato l’accordo grazie al quale i prigionieri potranno usufruire di telefoni pubblici, aver più canali televisivi per una maggior informazione e potranno ricevere i familiari più volte rispetto al passato.
Lo sciopero della fame, scrive Uri Avnery «è l’ultima arma delle persone meno tutelate sulla terra – i detenuti», concludendo il suo articolo aspettando «il giorno in cui potrò tornare a far visita a Marwan come uomo libero nella sua casa, a Ramallah. A maggior ragione se Ramallah sarà, per allora, una città nello Stato libero della Palestina».
Da che parte stare allora?
Chi vuole questa e ogni guerra?
Chi sono i combattenti e chi i terroristi?
«Non sono un terrorista, ma non sono neppure un pacifista. Sono semplicemente un normale uomo della strada palestinese, che difende la causa che ogni oppresso difende: il diritto di difendermi in assenza di ogni altro aiuto che possa venirmi da altre parti»
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.