Guido Horn d’Arturo, l’astronomo che osservò il futuro
Elhanan (gentilmente donato da Dio) Gad (buona sorte): nome ebraico di Guido Horn d’Arturo, astronomo triestino la cui passione per le stelle, lo smisurato ingegno e l’eredità lasciata alla scienza si stagliano sullo sfondo d’un’esistenza ossequiata da elevati onori e riconoscimenti, a tratti segnata dalle peripezie della storia.
Fra i molti e diversi studi delle lettere e delle arti, di cui si nutrono le menti degli uomini, stimo si debbano coltivare soprattutto, applicandovisi con grande passione, quelli che concernono le cose più belle e più degne di essere conosciute. E tali sono quelli che trattano delle divine rivoluzioni del mondo e del corso delle stelle, delle grandezze, delle distanze, del sorgere e del tramontare e delle cause degli altri fenomeni celesti, e che, alla fine, ne spiegano l’ordinamento.
Niccolò Copernico
Fu il tredicesimo giorno del febbraio 1879 ad accogliere, in quel di Trieste, immacolato e strepitante vagito di Guido Horn, rendendo per la terza volta genitori, dopo la primogenita Sara (1877-1877) ed il secondogenito Mario (1878-1939), i coniugi Arturo Horn (1851-1881) e Vittoria Melli (1852-187), successivamente elargenti il dono della vita nell’anima d’Arrigo (1880-1947), quarto e ultimogenito.
Precoce dipartita del padre, appena trentenne, divenne funesto furto d’affetto per il piccolo Guido, all’epoca al suo secondo anno d’esistenza, atrocemente privato della preziosa possibilità di percorrere il proprio arco vitale nel riferirsi alla figura paterna, per l’ingiusta privazione il cui danno seguente alla beffa sarebbe stato quello d’un comprensibile oblio della stessa, considerando la brevissima età del fanciullo ove la capacità mnemonica ancor non è in grado di fissare alla mente i ricordi in maniera nitida, purtroppo sfuocandone i contorni e rendendo inafferrabile l’immagine di ciò che si bramerebbe aver caro alla memoria.
Amor di mamma si fece allor ovattante nido nel quale srotolar se stesso in tutta serenità negli anni della prima infanzia, protetto ed accudito fra le domestiche mura dell’abitazione del di lei padre, Raffaele Sabato Melli (1825-1907), rabbino della città, a sua volta maritato a Teresa Forti (Forlì), unione con la quale, oltre a Vittoria, s’aprì alla vita Giuseppina, ed in tal maniera giovandosi di quella saturazione d’affetto che concede il privilegio d’allungar radici interiori nel proprio presente, gradatamente germogliando la propria personalità in eufonica atmosfera ed indi edificando il proprio futuro nella consapevolezza d’un passato di benefico, corroborante e fruttuoso spessore emotivo, in una sorta di fisiologica linfa nell’armonico suo fluire in sacrosanta fede a personali ed intime inclinazioni.
Famiglia ebrea, di verosimili origini olandesi, quella di Guido, vissuta in un periodo storico in cui la presenza degli ebrei a Trieste s’era notevolmente concretizzata sul filo di remote migrazioni, da più parti del pianeta, attraverso le quali la loro comunità andò via via rafforzandosi sia dal punto di vista numerico che inserendosi nel contesto socio-politico cittadino, ricoprendo cariche pubbliche, nonché attivandosi nella gestione di negozi al dettaglio e vendite di svariata tipologia, in particolar modo successivamente alla promulgazione, durante l’Impero austro-ungarico, della Costituzione del 1867, nella penisola italica garante di parità civile, politica e religiosa, in aggiunta alla libera scelta di residenza da parte ebrea, che divenne calamitico richiamo per imprenditori e commercianti, ben consci di quanto la strategica posizione a ridosso del porto equivalesse a gonfie vele in fatto di guadagni.
Medesimo approdo che peraltro, in seguito alle numerose sommosse popolari contro gli ebrei, grettamente considerati come capri espiatori sulle dignità dei quali confluir il più bieco accanimento antisemita, venne utilizzato come scalo e ripartenza per raggiungere la Palestina o l’America da coloro che, in fuga dai progrom* della Russia e dell’Europa orientale, a cavallo fra Ottocento e Novecento, fecero del porto triestino l’imbarco per antonomasia in direzione Israele, al punto da conseguir lo stesso simbolico epiteto al nome di “Shaar Zion” (“Porta di Sion”) in storico aggancio alla Città di David, originario nucleo di Gerusalemme nel quale malinconicamente adagiarono anelata brama di ritorno i Giudei di Gerusalemme e della Tribù di Giuda allorquando, durante la cattività babilonese, gli stessi vennero deportati nell’antica città delle Mesopotamia, Babilonia, dopo che il sovrano Nabucodonosr II (634 a.C. circa – 562 a.C. circa) aveva distrutto il tempio di Salomone.
Sulla scia dell’errante passo dei disorientati fuggiaschi, ovunque s’originarono rappresentanze ed associazioni, in sentito union di scopo, al fine di raccogliere fondi, tutelare, proteggere, sostenere, istruire e curare ogni esule animo in cerca di conforto e ristoro, e proprio nel capoluogo triestino, forte della persistente, duratura e massiccia presenza ebraica, la cui integrazione avvenne in maniera eccezionale rispetto ad altre regioni italiane, la tolleranza ebbe a concretarsi in larga misura, indi positivamente delineandosi in un contesto di benevola accoglienza e fausta integrazione a cavalcion delle quali Guido galoppò la sua prima tratta vitale, beneficiando del propizio e stimolante contesto culturale di fine secolo.
Animo di nobile e fine sentire, goccia suprema di sensibilità probabilmente lui iniettata nelle vene, fra genetica ed esempio, dal nonno materno, il giovane Horn, pur non osservando nessun credo religioso, ne tenne a cuore la profonda mistica facendola propria nel filarne saldi principi a cui fermamente riferirsi e con savia valentia farne sfondo di primo riferimento nella sua nascente, innata e smisurata passione per le stesse, pathos d’interiorità ch’egli sviluppò ed approfondì tramite studi universitari, in una sorta d’ordito fra pagine di libri, sinaptiche assimilazioni e connessioni di cuore.
La formazione e la carriera
La formazione accademica di Guido avvenne dapprima presso la Karl-Franzens-Universität Graz, nell’omonima cittadina austriaca, fra i cui banchi lo studente si dedicò per quattro anni allo studio della matematica, della fisica e dell’astronomia, quindi proseguendo ampliamento del proprio sapere nella frequentazione del quinto anno all’Università di Vienna dove, nel 1902, ove discusse tesi sull’orbita della cometa 1889 IV, acquisendo titolo di “Dottore in filosofia” e, a laurea ottenuta, indossando uniforme militare per servizio di leva nell’esercito austroungarico.
Il 1903 fu occasione prima di saggiarsi nell’esperienza d’assistente volontario presso l’Imperial Regio Osservatorio Marittimo di Trieste, ivi iniziando sperimentazione pratica effettuando osservazioni meteorologiche, analizzando le problematiche di registrazione mareografica ed occupandosi dei cronometri dalla marina mercantile Österreichischer Lloyd, affidati dalla stessa all’istituto a scopo di collaudo.
Temporal balzo da moto marino a stellare sfavillio avvenne nel giro di pochi anni quando, nel 1907, Horn potè finalmente iniziare a sondare la propria abnegazione al cielo ed ai suoi figli astri in qualità di primo assistente dell’Osservatorio Astrofisico di Catania, grazie all’attrezzatura del quale strabiliante esperienza fu per lui il riuscir a fissare in fotografia il passaggio al perielio di quattro comete: Halley, Morehouse, Daniel e 1910a.
Un triennio innanzi, fu l’Osservatorio Astronomico di Torino ad accoglierlo come astronomo aggiunto, tappa fondamentale, quest’ultima, al suo percorso carrieristico in quanto, oltre ad occuparsi di misurazioni riguardanti le stelle zenitali, con appagante impegno iniziò la stesura d’articoli contenenti lavori e valutazioni che vennero pubblicati sulla Rivista di astronomia e scienze affini, creata dal matematico, astronomo, e sacerdote Giovanni Boccardi (1859-1936).
Aspre tensioni con lo stesso spronarono nuovamente ramingo passo di Guido Horn D’Arturo il quale, quattordici mesi dopo già prestava servizio, con medesimo ruolo, all’Osservatorio Astronomico dell’Università di Bologna, iniziando a tracciare alcune carte celesti per comprendere la collocazione delle nebulose e degli ammassi stellari all’interno della Via Lattea, a livello lavorativo inoltre raggiungendo finalmente l’agognato traguardo, nel maggio del 1913, della libera docenza, meta ch’egli non considerò punto d’arrivo, ma energica partenza verso nuovi panorami scientifici dei quali plasmò gli orizzonti peregrinando nei vari contesti lavorativi e contemporaneamente assimilando nuove nozioni.
Due anni avanti, sete di sapere ed attività scientifica subirono brusca, atroce e dolorosa interruzione, causa il primo conflitto mondiale a cui il giovane prese parte come volontario e sottotenente del Regio Esercito Italiano, ma temendo d’esser considerato un traditore dai connazionali austriaci, all’epoca aspiranti al completamento dell’unità territorial-nazionale in accanito sostentamento alla propria identità etnica, e presagendo da parte loro vendicative rivalse in caso d’eventuale cattura, sostituzione di nominativo fu la scelta più sensata alla quale l’astronomo diede connotazione emotiva sostituendo, in affettuoso omaggio al padre, il cognome Horn con d’Arturo, peraltro medesima denominazione della quarta stella più luminosa del cielo, Arcturus, appartenente alla costellazione Boote*.
Al termine d’ogni belligeranza, per la quale, nel 1919, gli fu concessa in premio la Croce di guerra al valor militare, fece richiesta al Commissariato generale civile per la Venezia Giulia di poter mantenere entrambi i cognomi, ottenendo la cittadinanza italiana, nel 1921, al nome di Guido Horn d’Arturo ed in tal modo convogliando sulla propria persona Amore paterno e passion di stelle, in una sorta d’inestricabile legame fra radici ed astri, indelebilmente annodato sul suo cuore fra profonde cicatrici ed appaganti letizie di vissuti, inconfutabile prova dell’imprevedibile mutevolezza della vita.
Fra cielo e terra ed a guerra conclusa, fu con maggior padronanza del proprio sapere che, nel 1920, svolse mansioni lavorative all’Osservatorio Astronomico del Collegio romano (monumentale complesso attualmente sede centrale del Ministero per i beni e le attività culturali), indi rientrando in bolognesi confini alla morte del matematico ed astronomo Michele Rajna (1854-1920) al fin di sostituirlo nel ruolo di direttore dell’istituto, oltre che tastandosi come insegnante ed ottenendo la cattedra dopo quattro anni, nel 1925.
L’anno seguente, grazie alla considerevole somma lui messa a disposizione dal Ministero della Pubblica Istruzione, pianificò e prese parte lui stesso, insieme ad eminenti professionisti tra fotografi, astronomi e geofisici, ad una missione a Chisimajo nell’attual Somalia, ai tempi Oltregiuba, scopo della quale fu la visione della corona e dei raggi solari durante l’eclisse, operazione portata a termine con grande successo e le cui conclusioni scientifiche raggiunte ebbero positivo e gratificante risvolto sull’internazionale panorama astronomico, consacrando a nomea degna di riconoscimento sia lo stesso Horn che l’italica nazione.
Raggiunta la stabilità professionale nel 1928, nel 1931 fondò la rivista Coelum e sentitamente donandosi “anema e core” al tenace intento di rinnovamento dell’Osservatorio di Bologna, cospicuamente sostenuto anche dalla donazione delle vedova del dotto matematico e gentiluomo bolognese Adolfo Merlani (1856-1924), tramite cui fu possibile l’acquisto d’un potente telescopio riflettore a cui seguì, nel 1936, inaugurazione di moderna stazione osservativa in quel di Loiano, impostandone innovativa conduzione, parallela a costante propagazione scientifica ad ampio raggio per un’intera decade, ovvero fino a quando persecuzione razziale non ne smorzò ogni possibilità lavorativa.
Istruzione universitaria e primi passi professionali di Horn erano fortunatamente avvenuti nel periodo in cui Trieste era all’apice della liberalità, situazione di serenità sulla quale impietoso colpo di spugna cancellò ogni evoluzione e conquista del passato tramite l’emanazione delle leggi razziali, miseramente riecheggianti dal discorso che l’Ex Duce tenne, nel 1938, proprio nella triestina piazza Unità, precipitando in nuova nuova discesa al baratro i cittadini di provenienza ebrea.
Nei sette anni successivi, sfregiati dal secondo conflitto mondiale durante il quale l’umanità consegnò alla storia il perenne ricordo delle peggiori sopraffazioni e discriminazioni, Guido visse nascondendosi fra Bologna e Faenza, riuscendo nell’intento di riaver cattedra e direzione dell’Osservatorio solamente nel 1945 e perseverando per altri nove anni nella conduzione dello stesso, terminando attività d’impiego nel 1954 e tuttavia mantenendo costante frequentazione dell’istituto, infine ricevendo onor della nomina a professore emerito della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, nel 1955, a commendatore al merito della Repubblica nel 1957, ed il “diploma di I classe con medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte” nel 1958.
Ma per un uomo di siffatto e raro sentire, la medaglia maggiormente penetrante il suo animo dev’esser stata quella lui donata a ricordo, dai propri allievi, nel corso della IX assemblea della Società Astronomica Italiana nel 1965, ovvero due anni prima che l’astronomo nato al 20 Shevat 5639 del calendario ebraico, soavemente calasse palpebre sul suo sguardo, a sé raccogliendo ogni bagaglio di sapere, ogni frammento di storia, ogni briciola d’affetto ed al tanto scrutato celeste ritornasse, riassorbendosi nella fascinosa, munifica ed incantevole magnificenza dello spazio, in solenne e reciproca danza fra ombre e luci, l’una indispensabile all’altra, per vicendevolmente comprendersi nelle profondità più recondite.
L’astronomia, direi che è la scienza in cui il minor numero di scoperte si deve al caso, in cui la comprensione umana appare nella sua totalità e attraverso la quale l’uomo può imparare meglio la sua piccolezza.
Georg Christoph Lichtenberg
Guido Horn D’Arturo e lo specchio a tasselli
Guido Horn d’Arturo fu perspicace intelletto ch’ebbe la mirabile capacità di destinar se stesso alla scienza, senza mai smarrir per strada la sua immensa magnanimità, a contrario trovando il giusto compromesso fra l’ereditata spiritualità ed una razionalità di pensiero garbatamente postale affianco, seppur mai aderendo a nessun culto religioso, dimostrando in tal modo un’invidiabile ampiezza mentale anticonformistica e meravigliosamente camaleontica nel suo manifestarsi.
Le sue ricerche furono ampio e ricettivo abbraccio a più livelli, indirizzando il proprio interesse all’astronomia statistica e posizionale, alla cosmologia, all’astrofisica, principalmente concentrandosi sugli arcani movimenti degli astri all’interno della nostra Galassia, così come sulle nebulose, sia galattiche che extragalattiche, ed ancora generosamente adoperandosi al fine di riuscire a realizzare nuovi strumenti ottici che permettessero alla branca in questione di raggiunger migliorie inimmaginabili.
Brevemente accennando a solamente due delle questioni che maggiormente lo coinvolsero e fra la moltitudine di riconoscimenti che l’onorarono come uomo e scienziato, alcune delle quali attestate nell’Archivio Storico del Dipartimento di Astronomia, particolar attrattiva venne in lui suscitata dalle ombre, o bande, volanti, ossia un fenomeno ottico, visibile ad occhio nudo, che si verifica per pochi istanti appena prima od appena dopo la fase piena dell’eclissi solare ed il cui manifestarsi prende corpo in affusolate e longilinee ombre, incurvate e parallele, le quali, come in arcana danza fra oscurità e luminosità, fluttuano rapidissime sul suolo terrestre, a cui Horn fornì spiegazione in riferimento a «variazione della rifrazione della luce solare prodotte dalla turbolenza dell’atmosfera terrestre», teoria avvalorata anche da ricerche effettuate un trentennio più tardi nello statunitense Perkins Observatory e che a Guido valse la vincita del Premio Stambucchi, nel biennio 1921-1922.
Memore invenzione concepita dal sagace brillante ingegno di Horn e dallo stesso costruita, fu lo Specchio a tasselli (di cui si narra nel libro Guido Horn d’arturo e lo specchio a tasselli, pubblicato nel 1999, a cura di Fabrizio Bònoli e Marina Zuccoli), sgorgato nell’operosa ed alacre mente dell’astronomo nel tentativo di sovvenire all’enormi difficoltà, sia dal punto di vista operativo che economico dell’epoca, di realizzare blocchi unitari di vetro della dimensione di vari metri.
Al geniale studioso s’accese neuronale lampadina nel concepir una struttura delle dimensioni richieste che non fosse unitaria, bensì composta da più specchietti esagonali tassellati fra loro e sottoposti a lavorazione sferica in maniera da far confluire sul medesimo piano focale i raggi riflessi dai singoli, al fin d’originarne un’unica immagine per ogni stella, invenzione a tutt’oggi utilizzata su tutti i telescopi più all’avanguardia.
Due furono i prototipi, che si possono osservare al Museo della Specola dell’Università di Bologna, da Guido realizzati con maniacale precisione e bravura: il primo del diametro d’un metro, costruito nel 1935, il secondo con diametro di 180 cm e 61 tasselli, portato a compimento nel 1953; entrambi concessero all’astronomo ed ai suoi collaboratori di raggiungere sorprendenti risultati d’indagine e scoperte di nuove stelle che, altrimenti fosse stato, con ogni probabilità sarebbero ancor sconosciute.
Ingiusta, indecorosa, ingrata ed incomprensibile cappa d’amnesia ha tuttavia annebbiato il ricordo del resiliente astronomo, ragion per cui, a rispolverarne memoria ha pensato l’Istituto Nazionale di Astrofisica lui intitolando l’evoluto telescopio A.S.T.R.I. (Astrofisica con Specchi a Tecnologia Replicante Italiana), 18 tasselli per un diametro di 430 cm, prototipo ad altissime potenzialità destinato all’Italia nell’ambito del progetto internazionale CTA, Cherenkov Telescope Array.
Atto doveroso, il rimembrarne l’opere e la storia, in virtù di quell’obbligata, etica e civile riconoscenza ch’è dovuta a tutti coloro che siano prodigati allo scopo di lasciar in eredità al mondo eccezionali scoperte frutto di fatica, caparbia e resistenza e tale fu Guido Horn d’Arturo, tenero fanciullo apertosi alla vita inconsapevole di quanto la sorte gli avrebbe riservato, nel bene e nel male, uomo ed astronomo i cui ruoli han saputo convivere nella sua interiorità senza mai prevaricarsi l’un l’altro, garantendogli purezza d’essere.
Terso animo fattosi custode, a metà strada fra spazio e crosta terrestre, or di gaiezza, or di frustrazione, comunque mai cedendo alla minaccia del disincanto, ma sopportando la frusta dei soprusi sulla pelle dando modo alle ferite di cicatrizzare e rimanendo impenetrabile all’odio, al contrario animosamente deciso a far della propria sapienza il sapere di tutti, in fidente riferirsi alla magica bellezza della condivisione fra gli uomini.
Un giovane come tanti altri, forse, emozionato al suo fotografar quattro comete in quel di Catania quasi quanto lo fu il pellegrino della Divina Commedia al visionar le quattro stelle sulla battigia del Purgatorio, simbolicamente stagliate nel cielo a metaforizzar le quattro virtù cardinali, qualità che all’animo del buon Guido furono innate e ch’egli seppe coltivare durante il suo intero percorso esistenziale rimanendo prudente, giusto, forte e temperante.
Sta sospeso un asteroide, nel cielo, ed il suo nome è quello di Horn, dedicato ad un anziano uomo arrivato alla fine del proprio percorso certo d’aver vissuto in fede alla propria indole ed in perenne ascolto del proprio battito in ogni suo trasalimento, in sé scrivendo la storia di tutti gli uomini sopraffatti dai loro simili e di tutti quelli a cui la vita ha nonostante tutto concesso una seconda possibilità di risalire la china.
E chissà mai che Guido possa ora aver raggiunto le vette più elevate, cavalcando la sua 3744 Horn-d’Arturo e direzionandola verso l’Arcturus nella speranza di trovarvi il proprio amato babbo e finalmente poterne riconoscere gli adorati contorni, a lui ricongiungendosi.
I nostri antenati sono andati a caccia d’immenso. Così ingrandivano la vita. Perciò l’astronomia è stata la prima scienza delle civiltà. La notte fu esplorata più del giorno perché era tanto più vasta. Il pensiero ha forzato i segreti, scippato conoscenze per allargare il campo della poca vita. Sbirciare l’infinito fa aumentare lo spazio, il respiro, la testa, di chi lo sta a osservare.
Erri De Luca
* Progrom è vocabolo russo atto ad indicare persecuzioni ai danni di minoranze etniche o religiose, nello specifico riferendosi alle furiose ed irrefrenabili insurrezioni popolari in feroce opposizione alle comunità ebraiche che ebbero luogo principalmente nella Russia zarista in seguito ai disordini venutisi a creare in seguito all’assassinio, per mano del rivoluzionario russo Ignatij Ioachimovič Grinevickij (1856-1881), poi catturato e giustiziato, dello zar Alessandro II Romanov (1818-1881), oltre che nei territori orientali europei. I numerosi ferimenti e massacri che ne seguirono, furono la molla dalla quale scaturì l’ondata migratoria degli ebrei verso territori palestinesi o americani.
* Boote, fa parte del gruppo delle 48 costellazioni catalogate dall’antico astrologo e geografo greco Claudio Tolomeo (100 circa -175 circa) ed ai cui confini è situata la stella Arcturus, la quarta stella più brillante del cielo, nonché gigante rossa con luminosità di ben 113 volte superiore a quella solare.
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