(L’inutile) Giornata contro la violenza sulle donne
Ogni anno, gran parte del mondo saluta il 25 novembre celebrando la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, indetta dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 17 dicembre del 1999, una data, scelta per commemorare Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva e Antonia Maria Teresa, ovvero, quelle sorelle Mirabal che seppero opporsi al regime di Rafael Leonidas Trujillo Molina, tra i più sanguinari della storia contemporanea dell’America Latina.
Con Bélgica Adela detta ‘Dedé’, l’altra sorella che nella vicenda avrà un ruolo marginale, nacquero a Ojo de Agua, un piccolo paese della Repubblica Dominicana, situato in quella che fino al 2007 era la circoscrizione di Salcedo, da allora declassato a solo comune, per identificare l’intera provincia con il nome di Hermanas Mirabal, Sorelle Mirabal, come ulteriore tributo, alla lotta da loro intrapresa e che le vedrà brutalmente assassinate in quel 25 novembre del 1960.
Figlie di Mercedes Reyes Camilo e Enrique Fernandez, la loro era una famiglia benestante, il padre era un capace uomo d’affari con svariati possedimenti, ma la serenità, venne sempre meno dopo che Minerva, nel 1949, invitata con i genitori a prendere parte alla festa in onore di Trujillo, non esitò a sostenere apertamente le proprie idee politiche, idee in netto contrasto con quelle del dittatore dominicano.
Le condizioni della popolazione erano oltremodo precarie, le proteste dei lavoratori erano represse con la prigionia, quando non con la persecuzione e la morte. Ritorsioni e vendette cominciarono quindi ad abbattersi anche sulla famiglia Mirabal ed il padre Enrique, vivrà periodi più o meno lunghi di carcere oltre a vedersi confiscare i beni di proprietà.
I genitori erano a conoscenza del fervore che animava le tre giovani figlie, temevano e tentavano di proteggerle, anche cercando di impedire a Minerva, carismatica trascinatrice della maggiore Patria e della più piccola Maria Teresa, di appagare quel sogno che coltivava fin da bambina, studiare Diritto; un desiderio che riuscirà comunque a realizzare laureandosi presso l’Università Autonoma di Santo Domingo, diventando così, una delle prime donne ad ottenere il titolo di dottore in legge, sotto una dittatura, che mai le concederà di esercitare la professione.
A fine anni ’50, il governo di Trujillo, salito al potere nel 1930 con il sostegno del famigerato gruppo armato “La 42“, si era ormai inimicato molti paesi del Sud America, dal Venezuela al Guatemala, da Cuba ad Haiti e la situazione cominciò a precipitare a seguito di quanto accadde allo spagnolo Jesús de Galíndez Suárez.
Arrivato nella Repubblica Dominicana come esule per la sconfitta della Spagna repubblicana, dopo una prima collaborazione, Galíndez si fa sempre più critico nei confronti di un Trujillo, che senza scrupoli risponderà facendolo catturare, torturare e poi uccidere.
Pochi anni più tardi, il 9 gennaio del 1960, Minerva ed il marito Manolo Tamarez Justo, con l’appoggio di un manipolo di uomini, danno vita al Movimento “14 giugno“, il nome è un chiaro riferimento all’insurrezione avvenuta l’anno precedente per mano del Movimento di Liberazione Democratica, capeggiato da Enrique Jiménez Moya.
La partecipazione di Maria Teresa, Patria e dei rispettivi mariti, è immediata e l’organizzazione clandestina anche nota con la sigla 1J4, riesce ben presto ad espandersi e consolidarsi in tutto il paese, tanto da poter fare affidamento su di un esercito di circa 300 soldati.
Il movimento si faceva sempre più pressante e in pochi mesi Minerva e Maria Teresa furono imprigionate, torturate e violentate più volte, per poi venir condannate a 3 anni di lavori forzati. Carcere e torture che si abbatterono anche sui rispettivi mariti, ma la reputazione di Trujillo Molina in ambito internazionale, dopo il fallito attentato del 24 giugno del ’60, ai danni dell’allora Presidente venezuelano Rómulo Betancourt, aveva ormai raggiunto i minimi storici.
Per placare le acque e mostrarsi al mondo sotto un’altra veste, concede gli arresti domiciliari alle due donne, compiendo un gesto tanto inaspettato quanto calcolato e dettato da tutt’altro che da un impeto di generosità. Le sorelle Mirabal dovevano morire, perché oltre ad essere un pericolo per la sicurezza nazionale, in passato Minerva si era addirittura permessa di sottrarsi alle improbabili lusinghe del tiranno.
Tutto doveva sembrare un’incidente e il 25 novembre del 1960, lungo il tragitto che le portava al carcere per far visita ai propri compagni, Minerva, Patria e Maria Teresa, sono catturate dagli agenti della polizia segreta dominicana, condotte in una casa di campagna e barbaramente assassinate.
I loro corpi verranno trovati all’interno di un auto fatta precipitare in un dirupo.
La notizia colpisce l’intero paese e il 30 maggio del 1961, Rafael Leónidas Trujillo Molina è ucciso a colpi d’arma da fuoco.
Le sorelle Mirabal, passate alla storia anche come Las Mariposas, Le Farfalle, dal nome con cui si faceva identificare Minerva, diventano simbolo di un cambiamento del quale non vi è traccia.
La violenza sulle donne in Italia
Con la conversione in legge del decreto n.93 del 14 agosto 2013, sono stati adottati una serie di provvedimenti atti a rendere più incisivi gli strumenti per reprimere fenomeni di violenza di genere.
Essenzialmente basate sull’inasprimento delle pene e delle misure cautelari, con le nuove norme è stato introdotto l’arresto obbligatorio in caso di flagranza per i reati di maltrattamenti in famiglia e stalking, è stato disposto l’allontanamento di urgenza dalla casa familiare e l’aggressore potrà essere controllato tramite braccialetto elettronico.
La legge, apparsa sulla Gazzetta Ufficiale il 15 ottobre del 2013, prevede altresì l’aggravarsi della pena qualora la violenza sia commessa in presenza di minori e ai danni di una persona con la quale si ha una relazione, quindi non solo se in caso di convivenza o matrimonio ed inoltre, permette alla vittima di sporgere denuncia senza la presenza del compagno, un querela, che per gli atti più gravi, non sarà più revocabile.
Queste ed altre sono state le novità apportate, disposizioni che alla resa dei conti si stanno dimostrando del tutto inefficaci e darne conferma, è l’analisi dell’ISTAT e del Ministero della Giustizia, numeri che ben evidenziano come il fenomeno non abbia subìto battute di arresto, tanto che solo nel 2016 i femminicidi sono stati 12o, cifra che rispecchia la media degli ultimi 12 anni, mentre per quanto riguarda gli omicidi, se ne sono verificati 145 e a scanso di equivoci, nel 74% dei casi il carnefice è di nazionalità italiana, così come lo è il 77,6% delle vittime.
Femminicidio che la maggior parte delle volte di consuma in ambito familiare, quindi protagonista è il coniuge, il convivente il compagno ed ovvio, che alla base vi siano ragioni sentimentali legate ad eccessi di gelosia, timori dovuti ad adulterio, ossessioni divampate come conseguenza della fine di una relazione, così come spesso, anche motivi economici possono essere la causa scatenante.
Più che mai abominevoli sono le modalità con cui sono compiuti gli omicidi, in quanto oltre all’arma da fuoco, siamo di fronte a «veri e propri ammazzamenti – si legge nell’indagine – a seguito di colluttazioni corpo-a-corpo in cui l’uomo sfoga una rabbia inaudita». Raramente gli uomini assalgono la donne a mani nude, solo un 9% dove uccide con calci e pugni per poi strangolarle, mentre nel 15% dei casi utilizzano oggetti di uso comune e tra questi, è il coltello a fare da padrone ed i colpi, sono spesso inferti ripetutamente, quasi mai trafiggendo la vittima solo una o due volte.
Sono quasi 7 milioni, le donne che in Italia hanno subìto una qualche forma di violenza durante la loro vita e se possibile, a rendere la situazione ancor più allarme sono i dati circa l’età, sia per le vittime che per gli assassini infatti, questa si sta sempre più allargando. Ad essere uccise sono per lo più donne tra i 18 e i 30 anni, ma in aumento sono le morti nella fascia di età compresa tra i 70 e gli 80 anni, mentre per i boia è l’inverso, se prima l’età oscillava fra i 31 e i 40 anni, sempre più sono i casi in cui il soggetto ha 18, 20 anni, 25 anni.
Il femminicidio continua ad esser considerato come un aggravante di reato, dimostrando come si è ancora distanti dal comprendere che la vittima è invece tale in quanto donna, dimenticando quindi come anche il fattore culturale giochi un ruolo fondamentale e testimonianza ne sono i fatti recenti, che sono sempre recenti qualunque sia il momento preso in considerazione.
In Italia una donna violentata ha soli 6 mesi di tempo per fare denuncia, un arco di tempo da paese incivile che sotto la lente d’ingrandimento mette spesso la vittima prima del carnefice, cercando ragioni e cause scatenanti di azioni che ragioni non ne hanno e che rendono quanto mai necessarie leggi adeguate, così come concentrare le energie sull’educazione.
Fonte dei grafici: “Inchiesta sul femminicidio” a cura di Fabio Bartolomeo, Ministero della Giustizia – Direzione generale di statistica e analisi organizzativa
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