George Perkins Marsh, il profeta dell’ambientalismo
Intellettuale, visionario ed eclettico, George Perkins Marsh, fu una delle personalità più significative negli Stati Uniti del diciannovesimo secolo, fervidamente dibattendosi tra problematiche socio-politiche ed ambientali, preconizzando, con spirito naturalista e sguardo indagatore, l’impatto sul Pianeta delle attività umane, quindi il pericolo incombente sul patrimonio forestale, i cambiamenti climatici, tanto da assurgere a profeta dell’ecologismo nel proprio Paese e nell’Italia dell’Ottocento.
La vista è una facoltà: vedere è un’arte.
George Perkins Marsh
L’uomo e lo statista
Il 15 marzo 1801, nella cittadina di Woodstock, contea di Windsor del Vermont, il piccolo George Perkins Marsh ebbe i natali, dall’unione tra il politico Charles Marsh (1765-1849) e Susan Arnold Perkins (1776-1853), i quali avevano scambiato promesse matrimoniali il 3 giugno 1798, a sei anni di distanza dalla di lui perdita della consorte, sposata nel 1789, Anna Collins, drammaticamente scomparsa appena venticinquenne, nel 1793, dopo avergli fatto dono dei figli Charles (1790-1817) ed Anna (1793-1855), a cui seconde nozze, oltre a George, concesse i fratelli Lyndon Arnold (1799-1872), Joseph (1807-1841), Sara Burril (1809-1841) e Charles Jr. (1821-1873).
Politicamente Marsh, affine al partito federalista, seguì le orme del padre Joseph (1726-1811) nel ricoprire la carica di membro della Camera dei rappresentanti del Vermont, nel quale Stato i genitori, provenienti dal New Hampshire, si erano trasferiti, stabilendosi ad Hartford, nel 1775 e dov’egli, ottenuto diploma presso il privato Dartmouth College di Hannover — divenendone poi fiduciario dal 1809 al 1849 — dando seguito alla formazione trascorrendo un biennio alla Litchfield Law School, fondata nel 1784 dal giudice Tapping Reeve (1744-1823), dal 1788 s’avviò a professione forense esercitandola circa mezzo secolo sullo sfondo di una notevole carriera giuridico-diplomatica — per di più onorata in veste di Procuratore degli Stati Uniti per il tribunale distrettuale del Vermont, su diretta nomina del presidente George Washington (1732-1799) — nonché d’un’esistenza spesa mai mancando d’adoperarsi a favore del prossimo, privatamente e da presidente della Vermont Bible Society, vicepresidente dell’American Bible Society e da socio della pionieristica organizzazione missionaria cristiana, Board of Foreign Missions.
George respirò quindi sin dalla fanciullezza, l’atmosfera culturalmente trascinante d’una famiglia di rilievo e benestante, già a merito del nonno Joseph che oltre ad incidere il proprio nome nella storia americana in qualità di primo Luogotenente Governatore del Vermont, da proprietario terriero si distinse come considerevole produttore agricolo e uomo d’affari — prestigio ed agiatezza gli furono dunque preziose risorse per concentrarsi nello studio e ricevuta educazione all’elitaria Phillips Academy, fra le più antiche scuole superiori statunitensi, dal 1816 al 1820 emulò percorso paterno lasciando con lode il College, uno dei nove istituiti nelle Tredici colonie antecedentemente Rivoluzione e Guerra d’Indipendenza, tramite cui gli Stati Uniti, avendo la meglio sugli occupanti inglesi, sarebbero diventati nazione sovrana definitivamente affrancandosi dal dominio della corona britannica.
Detti eventi videro tra le figure di spicco, ancora Joseph Marsh, non solo perché coi gradi di tenente colonnello a guida d’un reggimento, ma anche in virtù della partecipazione al Congresso Provinciale di New York, temporaneo governo rivoluzionario attivo dal maggio 1775 all’aprile 1777, in progressista alternanza all’Assemblea Generale, supremo organo legislativo di stampo decisamente conservatore ad amministrazione della metropoli dal 17 ottobre 1683 al 3 aprile 1775 ed appunto scioltosi sull’orlo della succitata Guerra.
Una lauta dose d’ardimento, sagacia e liberalismo, attraversò generazioni giungendo in dote a George Marsh, il quale intraprese strada giuridica a Burlington, novanta miglia scarse da Woodstock, superando, dopo un quinquennio, esame di abilitazione all’avvocatura ed incamminandovisi, contemporaneamente dissetando sapere filologico e gradualmente, a contraltare della scarsa propensione in ambito economico, votandosi alla politica, viaggiando, ascoltando incessante curiosità e brama d’apprendere, ovviamente senza trascurare i moti del cuore e il 10 aprile 1928, portò all’altare la ventiduenne Harriet Buell, donna colta, radiosa e dinamica, la quale gli offrì gioia facendosi madre, nel ’29 di Charles e nel ’32 di George Ozias (1832-1865), sciaguratamente incontrando infausto destino il 16 agosto dell’anno successivo e a Marsh, sorte non concesse tempo di piangere, similmente al padre, la precoce dipartita dell’amata, strappandogli, undici giorni dopo, il primogenito, gettandolo in comprensibile stato di lacerante sofferenza, inconsapevole che fato gli avrebbe imposto sopravvivere anche a secondo erede, deceduto, trentaduenne, a nell’inverno del 1865. Nondimeno, dolore non ne sopì sentimenti e nel 1839, conquistò mano di Caroline Crane (1816-1901), colei che, nel 1888, ad un sessennio dalla sua morte, lo avrebbe ricordato in, Life and Letters of George Perkins Marsh.
Sfera politica, che già al suo trentaquattresimo anno d’età gli aveva riconosciuto nomina nel Consiglio esecutivo del Vermont, lo vide a rappresentanza tra il 1843 e il 1849, del Whig, partito attivo fra il 1833 e il 1854 e protagonista, al pari del Partito Democratico, del panorama istituzionale dell’epoca, i due in antitesi fra loro.
Al Whig apparteneva anche il dodicesimo presidente degli Stati Uniti, Zachary Taylor (1784-1850), in carica dal 1849, anno in cui George Marsh venne dallo stesso nominato Ministro degli Stati Uniti nell’Impero Ottomano (1299-1922) ed inviato in Turchia, vi restò un quadriennio, mostrandosi impeccabilmente e lodevolmente istruito, soprattutto dimostrando stupefacenti competenze nel trattare, in Grecia, la vicenda dello statunitense, appartenente alla confessione protestante congregazionalista sorta in Inghilterra nel XVI secolo a sostegno della separazione tra Stato e Chiesa, Jonas King (1792-1869), il quale, durante la sua attività missionaria in suolo ellenico, fu soggetto a persecuzione religiosa e imprigionato, poi assistito dallo stesso George nelle complicatissime trattative diplomatiche fra i governi dei due stati, dalle quali conseguirono il suo rilascio e l’annullamento delle pene a lui assegnate, nel complesso la trattativa aprendo di fatto la strada alla causa delle libertà libertà di culto nella nazione greca.
Coerentemente a posizione, Marsh fu quindi pellegrino del mondo, scoprendo cogliendo opportunità di pregiarsi delle altrui culture e di scoprire nuovi paesaggi, nel 1854 rientrando nel suo stato natio con un bagaglio d’esperienza ben più attrezzato e poco dopo sovrintendendo ufficialmente il settore della pesca e delle ferrovie fino al 1957, anno in cui divenne governatore del Vermont, mentre nel 1861, il presidente Abraham Lincoln (1809-1865), gli conferì mandato di Ambasciatore degli Stati Uniti nell’appena proclamato Regno d’Italia, ch’egli esemplarmente svelse rispettivamente a Torino, Firenze e Roma, rimanendo nel Belpaese per il resto dei suoi giorni e trascorrendo le vacanze estive a Vallombrosa, frazione del comune toscano di Reggello situata sul versante del Pratomagno, ove d’improvviso, il 23 luglio 1882, nell’Abbazia in cui aveva sede il Regio Istituto forestale, si spense e le spoglie, salutate da un reggimento di lancieri al cospetto dell’allora Ministro degli Esteri Pasquale Stanislao Mancini, (1817-1888) e dei corpi diplomatici, vennero sepolte nel cimitero acattolico della Capitale, ove riposa Percy Bysshe Shelley (1792-1822), John Keats (1795-1821), Malwida von Meysenbug (1816-1903), Sarah Parker Remond (1826-1894), Carlo Emilio Gadda (1893-1973), Amelia Rosselli (1930-1996) e molte altre luminose anime.
In permanenza sulla Penisola ebbe modo di manifestare sincera stima nei confronti di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) e solidarietà alla causa d’indipendenza italiana, fermo nel propugnare l’uguaglianza dei diritti civili, l’emancipazione femminile, in benevola e saggia indole riconoscendo nella corretta relazione fra individui, il valore primo di un progresso che possa erigersi sulla base dei rapporti umani, per evolversi in condivisi orizzonti ricolmi di giustizia sociale ed eguali opportunità.
Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti.
Eleanor Roosevelt
George Marsh: L’opera e l’eredità
Nel corso della sua lunga ed articolata parabola, George Marsh dedicò anima e corpo al sapere, alla storia del Paese natio, prestandosi nell’editoria a vantaggio di Ancient Monuments of the Mississippi Valley: comprising the Results of Extensive Original Surveys and Explorations, pietra miliare sull’analisi della remota realtà degli indigeni abitanti la Valle del Mississippi e la ricerca archeologica con approccio puramente scientifico, recante 207 incisioni lignee, una cinquantina di mappe e litografie, a risultato delle esplorazioni avvenute per mano del medico Edwin Hamilton Davis (1811-1888) e del redattore, storico e pittore, Ephraim George Squier (1821-1888).
Filantropo e devoto a Madre Natura, il 30 settembre 1847, davanti all’Agricultural Society of Rutland County, Vermont, espose personali considerazioni sullo stato dell’agricoltura nel New England, avanguardista nello smuovere le coscienze orientandole alla riflessione su quanto l’attività dell’uomo potesse costituire una potenziale e deleteria interferenza sull’ambiente e sulle condizioni climatiche, spronando ad una maggiore consapevolezza nei confronti del proprio agire sul Pianeta, agendo anche in adesione ad organizzazioni esterne alla mera politica: nel 1849 all’American Philosophical Society, associazione universitaria sorta a Philadelphia nel 1743, con l’intento di promulgare ricerca e conoscenza delle discipline umanistiche, tramite incontri di professionisti, pubblicazioni, spunti bibliotecari e coinvolgimento sociale; nel 1851 all’American Antiquarian Society, società storico-scientifica fondata nel 1812 — della quale Jonas King fu membro dal 1865 — la cui struttura fisica ospita una biblioteca nazionale deputata all’approfondimento culturale e storico dei secoli antecedenti il ventesimo.
In costante sete di nuove nozioni, George Marsh assecondò attrazione linguistica, apprendendo numerosi idiomi differenti, altresì destreggiandosi nell’acquisizione d’altre svariate materie ed elargendo conoscenza mediante le pagine del settimanale progressista The Nation e dell’Universal Cyclopaedia, volumi enciclopedici ritenuti fra i più autorevoli dell’epoca, minuziosamente curati dal redattore capo, educatore e storico, Charles Kendal Adams (1835-1902).
Padronanza filologica gli permise di tenere corsi universitari e conferenze, cooperando come conduttore dei lavori per la creazione dell’Oxford English Dictionary, il più importante dizionario storico di lingua inglese, poi pubblicato dalla Oxford University Press (OUP), la casa editrice universitaria dell’omonimo ateneo.
Delle tre decadi intercorse fra il 1838 e il 1868, sapere riversò su cinque eterogenee opere: Grammatica dell’Antica Lingua Settentrionale o Islandese, 1838; Il Cammello, la sua Organizzazione, Abitudini e Usi, con Riferimento alla sua Introduzione negli Stati Uniti, 1856; Lezioni sulla Lingua Inglese, 1860; L’origine e la Storia della Lingua Inglese, 1862; Uomo e Natura: O, Geografia Fisica come Modificata dall’Azione Umana, 1864.
Quest’ultimo, in titolo originale Man and Nature: Or, Physical Geography as Modified by Human Action, fu il principale manoscritto a firma di Marsh, recandone personale visione ecologica, quasi due decadi veprecedendo vent’anni prima della pubblicazione già abbozzato nel suo sermone pubblico, e una delle prime documentazioni indaganti gli effetti delle azioni umane sugli ecosistemi, in una sorta di prima pietra sulla quale si sarebbero posati i futuri movimenti per la conservazione della natura, teorie delineatesi attraverso anni di analisi portate avanti sia in terra natale, con esperimenti diretti nella sua tenuta in Vermont, che in paesi oltre confine, valutando l’impoverimento del suolo dovuto alle attività agricole, le dannose conseguenze delle deforestazioni e degli eccessivi ed irresponsabili prelevamenti di risorse naturali a proprio vantaggio, asserzioni degnamente argomentate in sei capitoli a vario contenuto:
• Introduzione storico-geografica;
• Trasferimento, modifica ed estirpazione di specie vegetali e animali;
• Foreste e opere di disboscamento in zone europee e statunitensi;
• Acque nella loro interconnessione con le selve, nelle problematiche degli argini fluviali e nelle ripercussioni del loro essere canalizzate;
• Sabbie nello spianamento delle dune costiere e nelle fasce desertiche egiziane;
• Cambiamenti geografici susseguenti all’operare umano, ad esempio tratteggiando gli impatti negativi delle miniere sul territorio, esponendo progetti d’ampia portata, quali il taglio dell’istmo di Panama e di Suez oppure pronunciandosi sulle opere di bonifica delle paludi italiane e olandesi.
L’eco del suddetto tomo, con i molteplici esempi rilevati personalmente ed esposti nel testo, s’ampliò sul generale sfondo del pensiero occidentale atto a valutare il rapporto fra l’uomo, la società e la natura secondo tre variabili:
• affrontando la questione a livello teologico, quindi chiedendosi se la sfera terrestre sia stata originata da Dio espressamente al servizio dell’umanità;
• ponendo il quesito se la conformazione terrestre possa aver influito sulla natura degli esseri umani;
• valutando se gli stessi abbiano modificato la terra rispetto alla sua conformazione precedente.
Nella relazione fra i suddetti temi l’evoluzione di George Marsh, in chiave illuminista, consistette nel fornire risposte che, grazie a dimostrazioni scientifiche, permisero d’affrancarsi da una concezione religiosa degli eventi terrestri, a loro attribuendo una causa e un contraccolpo ben precisi, assolutamente estranei alla gestione divina che per secoli venne ritenuta il moto primo d’ogni accadimento, in un certo senso preannunciando gli odierni concetti di sviluppo ecosostenibile, indicando a ragione dell’opera «indicare la natura e, approssimativamente, l’estensione dei cambiamenti indotti dall’azione dell’uomo nelle condizioni fisiche del globo che abitiamo, mostrare i pericoli che può produrre l’imprudenza, e la necessità di precauzione in tutte quelle opere che, in grandi proporzioni s’interpongono nelle disposizioni spontanee del mondo organico e inorganico; suggerire la possibilità e l’importanza del ristabilimento delle armonie perturbate, e il miglioramento materiale di regioni rovinate ed esaurite; e illustrare incidentalmente il principio che l’uomo è, tanto nel genere, quanto nel grado, una potenza di un ordine più elevato che non sia qualunque altra forma di vita animata che al pari di lui si nutre alla mensa della generosa natura».
George Perkins Marsh, l’uomo che nella rappresentazione della sua vita interpretò ruolo di avvocato, politico, geografo, filologo, linguista, dialettologo, insegnante, acceso appassionato d’archeologia, storia e d’arte — collezionando più d’un migliaio di pregevoli stampe e incisioni riguardanti un arco temporale esteso dal XV al XIX secolo — mise mente e cuore a disposizione del creato, quasi fosse stato, in estrema fiducia, da fauna e flora prescelto messaggero profetandogli le ferite che da antropici egoismi e distrazioni avrebbero subito, nel tentativo di scovarvi voce in grado di urlare quanto il pianeta necessiti reverente amore ed invito, oneroso seppur gratificante, Marsh accolse, rimbombando grido oltre secolo.
Insegnate ai vostri figli tutto ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la Terra è la madre di tutti. Tutto ciò che capita alla Terra capita anche ai suoi figli. Sputare a Terra è sputare su sé stessi. La Terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla Terra. Tutto è collegato, come il sangue che unisce una famiglia. Ciò che capita alla Terra, capita anche ai figli della Terra.
David Servan-Schreiber
Il valore crescente del legname e del combustibile, dovrebbe insegnarci che gli alberi non sono più quello che erano al tempo dei nostri padri, un onere. Senza dubbio abbiamo già una porzione di terra del Vermont, disboscata più del necessario, un’opera adeguata al sostegno di una popolazione molto più ingente di quella attuale, e ogni acro in più, riduce la possibilità di un’agricoltura accurata, estendendo in modo spropositato la sua superficie, e priva le future generazioni di ciò che, sebbene relativamente inutile per noi, sarebbe di grande valore per loro.
Il ruolo della foresta, oltre a fornire legname e combustibile, è molteplice e variegato. La conducibilità degli alberi li rende particolarmente utili a ristabilire l’equilibrio alterato del fluido elettrico; sono di grande valore nel riparare e proteggere i vegetali più deboli contro gli effetti distruttivi delle temperature fredde o aride, e il deposito annuale di fogliame degli alberi decidui, nonché la decomposizione dei tronchi, costituiscono un accumulo di muffa vegetale, che fornisce fertilità ai terreni spesso originariamente asciutti su cui crescono, favorendo inoltre il dilavamento delle piogge e delle nevi.
Gli inconvenienti derivanti da una mancanza di lungimiranza nell’economia della foresta sono già gravemente sentiti in molte zone del New England, e anche in alcune delle città più antiche del Vermont.
I ripidi versanti delle colline e le sporgenze rocciose, ben si prestano alla crescita permanente di legname, ma quando nella furia di approvvigionamento vengono spogliati impropriamente di tale protezione, l’azione del sole, del vento e della pioggia, li priva presto del loro sottile rivestimento, e questo, una volta esaurito, non può essere ripristinato dalla normale manutenzione.
Rimangono quindi sterili e sgradevoli aree, che non producono cerali, erba, né alcun raccolto se non una messe di erbacce infestanti, che con i loro semi nuocciono i più ricchi terreni coltivabili circostanti.
Ma questo non è affatto l’unico male derivante dalla distruzione ingiustificata dei boschi. Le foreste servono come serbatoi ed equilibratori di umidità. Nelle stagioni umide, le foglie decomposte e il terreno spugnoso dei boschi trattengono una gran parte delle piogge che cadono, e restituiscono l’umidità in tempo di siccità, per evaporazione o attraverso le sorgenti. In questo modo controllano l’improvviso deflusso di acqua dalla superficie, nei ruscelli e nei latifondi, impedendo che l’aridità estiva paralizzi i nostri pascoli e prosciughi i rivoli che li irrigano.
D’altronde, dove una parte troppo estesa della superficie è privata di legno, l’azione del sole estivo e del vento, brucia le colline, non più ombreggiate o riparate dagli alberi, le sorgenti e i rii che trovano il loro approvvigionamento nel bibulo terreno della foresta, scompaiono, e il contadino è costretto a cedere i prati al bestiame, il quale tuttavia non trova più cibo nel pascolo, e a volte deve essere quindi guidato per miglia al fine di scovare acqua.
Ancora, le piogge primaverili e autunnali, le nevi che d’inverno si sciolgono, non più intercettate e assorbite dalle foglie o dal terreno aperto dei boschi, ma cadendo ovunque su una superficie relativamente dura e uniforme, scorrono rapidamente, lavando via il terriccio mentre cercano i loro sbocchi naturali, così colmando ogni burrone e trasformando fiumi in oceani.
La repentinità e la violenza delle inondazioni aumentano in proporzione al disboscamento del suolo; i ponti vengono spazzati via, con essi i prati, raccolti e recinti, investiti d’inutile rena, o abrasi dalla furia della corrente e c’è motivo di temere che le valli di molti dei nostri torrenti saranno presto trasformate da prati sorridenti in ampie distese di ghiaia e ciottoli, deserti in estate e mari in autunno e primavera. I cambiamenti che queste cause hanno prodotto nella geografia fisica del Vermont, in una sola generazione,, sono troppo evidenti per sfuggire all’attenzione di qualunque osservatore, di ciascun uomo di mezza età, che ritorna al luogo di nascita dopo alcuni anni di assenza, ritrovando un paesaggio cambiato da quello che è stato il teatro di fatiche e piaceri giovanili. I segnali del progresso artificiale si mescolano ai sintomi dello spreco indiscriminato, e le colline spoglie e aride, i letti asciutti dei torrenti secondari, i burroni solcati dai rivi di primavera, i rimaneggiati argini dei fiumi, appaiono tristi sostituti dei piacevoli boschetti e dei ruscelli e degli ampi prati del suo antico dominio paterno.
Se il valore attuale del legname e della terra non giustificano il rimboschimento dei terreni ingiustamente smantellati, dovremmo almeno permettere alla natura di ricostituirli mediante una crescita spontanea, e nella nostra futura agricoltura, dovremmo compiere un più accorto utilizzo dei terreni per un durevole sviluppo.
In molte parti d’Europa, così come nei nostri vecchi insediamenti, è da tempo praticato un abbattimento delle foreste riservate al legname, al combustibile, a intervalli stabiliti. È giunto il momento di introdurre questa pratica.
Dopo il primo, originario, disboscamento infatti, passa molto tempo prima che riesca a rigenerarsi, poiché le radici degli alberi vecchi e maturi, raramente germogliano, ma quando la secondogenitura è avvenuta, può essere sfoltita, con grande vantaggio, a periodi di circa venticinque anni, producendo materiale, sotto ogni aspetto, di gran lunga superiore al legno dell’albero primitivo. In molti paesi europei, l’economia della foresta è regolata dalla legge; ma qui, dove l’opinione pubblica determina, o in pratica costituisce la legge, possiamo solo fare appello ad un illuminato interesse personale per introdurre le riforme, controllare gli abusi, e preservarci da un aumento dei problemi appena menzionati.
Discorso tenuto all’Agricultural Society of Rutland County, 1847
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