Elizabeth Siddal, sublime e inquieta poeta, pittrice e musa
Le foglie d’autunno cadono
Sulla tomba recente di lei
Dove l’erba alta s’inchina ad ascoltare
Il mormorio dell’onda.
Elizabeth Siddal
Soprannominata “Lizzie” o “Lizzy”, Elizabeth Eleanor Siddal venne alla luce — nel londinese quartiere di Holborn — il venticinque luglio 1829, dall’unione di Charles Crooke (1800-1850 circa) con Eleanor Elizabeth Evans (1802-1850 circa), Charles originario di Sheffield e coltellinaio — sebben fonti alternative sostengano fosse orologiaio — in una ferramenta da lui gestita in Old Kent Road, importante arteria del fiorente quartiere di Southwark, situato a sud del Tamigi e una delle zone più antiche di Londra, dove la famiglia s’era trasferita.
Terzogenita di otto figli — oltre a lei Charles Robert Jr. (1827-1852), James (1838-?), Henry, Lydia, Mary e Clara — divenuta ragazza Elizabeth — s’impiegò professionalmente, insieme alle tre sorelle, come sarta e modista a Cranbourne Alley, all’epoca rinomato vicolo — appunto famoso per le botteghe di modisteria — situato all’angolo nord-est della celebre isola pedonale Leicester Square e da cui fine ed elegante avvenenza della Siddal la condusse come modella prediletta all’interno degli studi dei più insigni pittori appartenenti alla Confraternita dei Preraffaelliti, associazione artistica originatasi nel 1848 in territorio britannico come traslazione pittorica di tardo-Romanticismo e Decadentismo, con spiccate similitudini ad Art Nouveau e Simbolismo, su quest’ultimo la corrente esercitando notevole influenza, in particolare modo modificando l’abbigliamento delle signore inglesi le quali — plausibilmente attratte da un rinnovo del guardaroba — presero spunto dalle donne raffigurate nelle tele dipinte dai membri della suddetta confederazione, ricavandone sacrosanta libertà, difatti rivoluzionario pensiero — proposto attraverso luminose ed eloquenti pennellate —s’espresse nella visione di corpi svincolati da opprimenti corsetti e piacevolmente sciolti nell’autenticità del movimento non costretto.
Intento preraffaellita — in appassionato e nostalgico riaggancio all’arte preesistente l’innovativo accademismo di Raffaello Sanzio (1483-1520) — fu quello di sostituire ai correnti modelli artistici vittoriani quelli del passato, le tematiche principali spaziando dal letterario, al biblico, allo storico e al fiabesco, non di rado immortalando a setola questioni sociali e nazionaliste, in uno stile d’ispirazione medioevale, rinascimentale e purista, nella fattispecie aderente ai Nazareni, schiera di pittori tedeschi — praticanti a Roma fin dal diciannovesimo secolo — altamente invisi al classicismo accademico e imprescindibilmente legati a temi religiosi e patriottici, nel complesso il Preraffaellismo tratteggiando figure neo-romantiche, rievocative, accurate, spesso allegoriche e di sovente i soggetti dipinti essendo donne d’aggraziata sensualità, nella capitale italica subendo fascino del movimento il pittore Cesare Saccaggi da Tortona (1868-1934) e — volendo citarne un’opera di palese stampo Liberty e simbolista — artefice de La vetta, altresì detta La regina dei ghiacci, dipinto attualmente custodito nella Pinacoteca Fondazione Cassa di risparmio di Tortona e riproducente una donna avvolta da sfarzosi abiti, con in mano un piccolo mazzo di stelle alpine e manifestamente emancipata ed autoritaria — quindi completamente affrancata dall’immagine tipica della donna angelica o peccatrice delle antecedenti raffigurazioni — e al suo fianco un giovane spossato, nell’atto di attaccarsi alle vesti ed a verosimilmente metaforizzare l’umano desiderio di mirare a mete sempre più elevate, talvolta irraggiungibili.
Due sono le teorie secondo cui Elizabeth — all’incirca ventenne — iniziò a ricoprire femmineo ruolo di musa, dacché si narra che un primo contatto con il mondo preraffaellita sia avvenuto grazie al pittore Walter Howell Deverell (1827-1854) che parrebbe, in base alla versione più accreditata, averla conosciuta nel 1849, accompagnando la madre nel negozio della signora Tozer, dov’ella lavorava, viceversa alternativa ipotesi riportandone proposta d’impiego sartoriale presso la famiglia e il padre di Walter — ai tempi rettore del londinese ateneo Government School of Design (dal 1896 ribattezzato The Royal College of Art) — presentandola al figlio il quale, a sua volta, la introdusse nella schiera artistica d’appartenenza, egli perdutamente innamorandosene e la Siddal posando come per l’immagine di Viola, soggetto del dipinto Twelfth Night e per il quale il pittore era impegnato in assidua ricerca di una modella che ne appagasse la vista, in lei folgorandosi sguardo e del colpo di fulmine l’amico William Hobman ‘Holman’ Hunt (1827-1910) — per cui nel 1851 Elizabeth donò volto a ‘Sylvia’ in Valentine Rescuing Sylvia from Proteus — raccontando: «All’epoca, Rossetti era solito raggiungermi presentarsi munito di fogli e nel mentre dipingevo, in un angolo poco distante nella stanza, disegnava […] pace che Deverell interruppe. Con noi da pochi minuti e con fare assente, d’improvviso balzò in piedi cominciando a camminare, o meglio, a saltellare avanti e indietro, finché pervaso d’entusiasmo, si bloccò e disse: «Voi non potete immaginar qual meravigliosa creatura abbia incontrato. Per Giove! Sembra una regina, magnificamente alta, aitante, dotata di un collo maestoso e un viso dai lineamenti più delicati e raffinati: il profilo, dalla fronte agli zigomi, è il ritratto di una dea fidiana […] Ho esortato mia madre perché persuadesse tale miracolosa creatura a far da modella per la mia Viola in ‘Twelfth Night’, proprio oggi provando a dipingerla; ma ho compiuto un disastro e domani tornerà; dovreste venire e vederla; è davvero una meraviglia; anche perché a differenza delle amiche, non ha modi umili, si comporta come una vera signora, per chiaro buon senso, senza alcuna affettazione e sapendo alla perfezione come tener rispettosamente le distanze».
Cuore della Siddal venne tuttavia trafitto d’infatuazione per il di lui amico e collaboratore Dante Gabriel Rossetti, alla nascita Gabriel Charles Dante Rossetti (1828-1882), uno tra i fondatori del Preraffaellismo insieme a John Everett Millais (1829-1896), Ford Madox Brown (1821-1893) e il succitato Hunt — anche se Brown non ufficialmente associato all’organizzazione, ma fondamentale nell’averne determinato lo stile attraverso un corposo apporto conoscitivo sull’arte purista e nazarena — Elizabeth divenendo modella permanente di Rossetti — a partire dal dipinto The Return of Tibullus to Delia — e saltuaria per Hunt e Millais, per quest’ultimo trovandosi in un determinato frangente a reggere una situazione alquanto fastidiosa e insalutare, ossia durante la posa per il noto quadro Ophelia — olio su tela conservato al Tate Britain ed eseguito, fra il 1851 e il 1852, in riaggancio al shakesperiano personaggio dell’Amleto disgraziatamente annegato in un ruscello — per realizzare il quale John Everett trascorse un intero semestre immerso nella natura, allo scopo di riprodurne la vegetazione in maniera certosina e fedele alla realtà, poi per un altro quadrimestre dedicandosi alla protagonista della tragica vicenda e in variopinte pennellate adagiandola nello stretto rivolo, al fine d’ottenere il massimo risultato possibile la Siddal restando per lungo tempo immersa nell’acqua di una vasca da bagno posta nell’abitazione del pittore, così da permettergli di raffigurare gli ultimi istanti di vita d’Ophelia, Elizabeth Siddal stoicamente resistendo anche durante una giornata in cui l’accidentale spegnimento delle lampade a candela — preventivamente accese per riscaldare l’acqua — ne provocò celere raffreddamento, controproducente zelo lavorativo d’entrambi e probabile causa della seria patologia bronchiale acuta che ne conseguì, il padre intentando richiesta di risarcimento per cinquanta sterline a Millais e intimandolo d’agire legalmente in caso di mancata accettazione, ciò nonostante — al di là di quanto accaduto — è l’eufonico splendore del grazioso volto ad impreziosire un capolavoro in cui l’ambiente di fondo incantevolmente esplode in tutta la sua beltà vegetale e secondo i dettami della filosofia preraffaellita, dunque scevro da qualsivoglia artifizio e — fra il simbolico significato di salice piangente, rose, papaveri e margherite — elevandosi a interpretazione della sofferenza, tristemente smorzata nell’esalazione dell’ultimo respiro di una figlia pazza di dolore per la perdita del padre, privato della vita dallo stesso Amleto da lei amato ed ironia della sorte anche la modella sperimentando l’afflizione della perdita, poiché nella medesima annata perendo il fratello maggiore Charles.
C’è un salice che cresce storto sul ruscello e specchia le sue foglie canute nella vitrea corrente; laggiù lei intrecciava ghirlande fantastiche di ranuncoli, di ortiche, di margherite, e lunghi fiori color porpora cui i pastore sboccati danno un nome più indecente, ma che le nostre illibate fanciulle chiamano dita di morto. Lì, sui rami pendenti mentre s’arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello. Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell’elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa.
William Shakespeare, Amleto, Atto IV, scena VII
Oltre che sentimentale, la relazione fra Rossetti e la Siddal fu professionale, la donna non limitandosi solamente a posare unicamente per lui dal 1852, ma — forse in virtù di tale esclusività — ricevendo lezioni di pittura che le permisero di esternare la propria passione artistica, parallelamente Elizabeth intersecando varie amicizie, fra le quali la scrittrice e militante femminista Bessie Rayner Parkes (1829-1925), la pittrice, disegnatrice e attivista per i diritti della donna, Anna Mary Howitt (1824-1884), infine una tra le principali femministe del diciannovesimo secolo, nella persona dell’educatrice Barbara Leigh Smith Bodichon (1827-1891), trio che nel 1858 avrebbe fondato, insieme ad altri, l’English Woman’s Journal, periodico occupantesi di uguaglianza, occupazione femminile e relativa legislatura, aggiuntive frequentazioni la Siddal intraprendendo con Madox Brown e sua moglie Emma Matilda (1835 circa – 1890), nel mentre seguitando a dipingere bozzetti primariamente incentrati sulle leggendarie narrazioni del ciclo arturiano e nel 1855 gli stessi — fra cui un dipinto — captando l’interesse e il gusto dello scrittore, critico d’arte, pittore e poeta britannico John Ruskin (1819-1900) che, oltre all’acquistarli dietro lauto compenso e divenirne patrocinatore tramite centocinquanta sterline di rendita annuale, in confidenziale missiva esortò Dante ad ammogliarsi al più presto con la donna per garantirle stabilità, dal canto suo il Rossetti temendo che tale decisione potesse non incontrare — date le modeste origini della Elizabeth — il sereno benestare del padre Gabriele Pasquale Giuseppe (1783-1854), poeta, critico letterario e patriota e della madre Frances Mary Lavinia Polidori (1800-1886), educatrice e scrittrice con la quale presentazione si concretizzò quello stesso anno senza mai le due donne rincontrarsi, peraltro timori dell’uomo essendo fondati e sorti in quanto sia la sorella maggiore Maria Francesca (1827-1876), educatrice e critica letteraria, che la minore Christina Georgina (1830-1894) — poetessa a cui Dante aveva già accennato di Elizabeth Siddal in veste d’apprendista un triennio avanti e fugace incontro essendo avvenuto nel 1854 — non prive di remore nel parlare della potenziale cognata con decisa e insensibile asprezza.
Sincero e premuroso affetto di Ruskin oltrepassarono l’esserne fautore, infatti egli riuscendo nel non affatto semplice proposito di convincere la refrattaria Elizabeth a concedersi una visita presso l’insigne medico Henry Wentworth Acland (1815-1900), ella raggiungendolo ad Oxford, accompagnata dalla sorella Lydia, presso il Radcliffe Infitmary, dove l’illustre Baronetto prestava servizio, diagnosticandole «energia mentale a lungo repressa e ultimamente troppo provata», pertanto la Siddal dapprima trovando ristoro a Clevedon, nel North Somerset, in seguito partendo per un semestre in Francia — in compagnia di una parente del Rossetti da lui raggiunta per una decina di giorni a Parigi, in concomitanza dell’Esposizione universale in cui sarebbe stata esposta l’’Ophelia di Millais — nell’auspicio di rientrare dal rilassante viaggio, cortesemente sostenuto dal generoso John, con maggior tempra e serenità, al contrario ritorno in patria angustiandola nel constatare trasporto di Dante nei confronti della famosa modella dei preraffaelliti Annie Miller (1835-1925), quindi Elizabeth trasferendosi per circa un trimestre nella città termale di Bath, ma all’agognato benessere psicofisico disilluso da un cagionevole stato di salute, oltretutto aggravato da totale mancanza d’appetito, eppure la resiliente Siddal mantenendosi attivamente all’ascolto della propria indole nel prendere partecipazione — unica presenza femminile — alla mostra preraffaellita, tenutasi a Russel Place, fortuita occasione d’esposizione e vendita di alcune sue opere, fra cui gli acquerelli, The Haunted Tree, We are Seven e Clerk Saunders, acquistato dall’insigne critico letterario e d’arte, docente e collezionista statunitense, Charles Eliot Norton (1827-1908).
Trovata dimora estiva a Sheffield — di nuovo insieme a Lydia — presso un ospitale parente, Elizabeth riprese studi artistici e sul finir della stagione calda tentò di giovarsi di benefici idroterapici a Matlock, capoluogo della Contea di Derbyshire nel quale trascorse mesi di convivenza con Rossetti, idillio d’amore spezzandosi ad inizio primavera e relazione provvisoriamente sciogliendosi, frattanto nella Siddal accadimenti esistenziali — quali la dipartita del padre e la seria instabilità mentale della sorella Clara — perforante cupezza gettandole in un petto già alquanto afflitto da parte di Dante — nel 1859 legato all’amante Fanny Cornforth (1835-1909) — nello snervante fissare e rimandare il giorno delle nozze nel corso del quinquennio, perlomeno fino a quando marcia non li condusse all’altare — nel borough di Hastings — il 23 maggio 1860, unione coniugale rapidamente organizzata dal Rossetti dopo essere venuto a conoscenza delle preoccupanti e sempre più severe condizioni di salute di Elizabeth, nell’animo della Siddal, inizialmente addolcito da una luna di miele nella romantica Parigi morbo depressivo — in lei galoppante e per tentar d’assopire il quale assumeva costantemente un composto a base di alcol e oppio chiamato laudano — acutizzandosi, sana beatitudine venendole sporadicamente donata dalle piacevoli e nuove frequentazioni intraprese a Londra con il pittore Sir Edward Coley Burne-Jones (1833-1898), l’artista, romanziere, ambientalista architettonico, traduttore, designer tessile, poeta e attivista socialista, William Morris (1834-1896) e le rispettive spose, Georgiana MacDonald (1840-1920), modelle preraffaellita, e Jane Burden (1839-1914), incisore e pittrice, intensa amicizia inoltre nascendo con il drammaturgo e poeta Algernon Charles Swinburne (1837-1909).
Emozionanti e ovattate percezioni di maternità saturarono il ventre di Elizabeth nell’instaurasi di una gravidanza nella medesima estate, sciaguratamente colpo di grazia venendole inferto l’anno susseguente con la nascita senza vita della sua prima figlia, luttuoso e scongiurabile evento debilitandola irreparabilmente, recandosi a farle visita i coniugi Burne Jones trovandola confusamente assopita e in balìa del proprio supplizio accanto alla culla che avrebbe dovuto accogliere la piccola creatura cresciuta nel suo grembo e lieve sollievo la Siddal assaporando qualche tempo dopo nel soggiornare come ospite a Red House, rilevante palazzo di arti e mestieri — sito a Bexleyheat e progettato dall’architetto e designer Philip Speakman Webb (1831-1915) e dal collega sopraelencato Morris, William e Jane abitandolo con la famiglia — alla cui decorazione Elizabeth prese parte collaborando con altri artisti preraffaelliti, all’epoca ancora inconsapevole di quanto stesse giungendo al capolinea della tormentata esistenza in quanto — a conclusione di una tranquilla cena in compagnia di Rossetti e Algeron, una volta rincasata ultimo respiro nella trentaduenne esalandosi l’undici febbraio 1862, infelice giorno in cui il marito ne trovò l’esanime corpo nel letto.
A resoconto medico che imputò il decesso a cause accidentali riferibili ad erronea stima delle quantità di tintura d’oppio da assumere che ne avrebbe causato lo stato di overdose e coma, Dante Rossetti comprese nell’immediato come la moglie si fosse suicidata, probabilmente in preda ad insopportabile e logorante mal di vivere, a confermarlo meste parole d’addio lasciate per iscritto in una lettera incenerita dall’amico Brown, dopo i due essersi confrontati sul da farsi, dacché il gesto all’epoca essendo illegittimo — nonché risolutamente condannato dalla Chiesa — e il renderlo pubblico sarebbe stato motivo di scandaloso clamore per l’intera famiglia, oltre al diniego di una degna sepoltura in luogo benedetto per la Siddal, all’ultimo saluto — l’addolorato Rossetti lasciando — tra la folta e rossa chioma della sua sposa — un poetico quaderno in cui egli nel tempo aveva annotato elegiaci versi a lei dedicati, Elizabeth stessa, durante la breve esistenza a lei concessa, affidando ad inchiostro intime e malinconiche poesie.
Nel quadriennio successivo alla dipartita della dolce consorte, Dante visse in preda agli effetti di alcolismo e sostanze stupefacenti, tormenti interiori venendo aggravati dal timore di perdere la vista e da ripetute allucinazioni nelle quali lo spettro della Siddal gli appariva costantemente, al punto da egli ricercarne somiglianti fattezze in qualsiasi donna frequentasse e gradatamente nascendo in lui lo smanioso desiderio di una divulgazione che comprendesse i componimenti di entrambi, ma dato le rime lasciate fra i capelli di Elizabeth essendo l’unica copia a disposizione, nella mente di Rossetti balenò la bizzarra idea di riesumarla dalla tomba di famiglia — posta nel londinese cimitero di Highgate — e recuperare il manoscritto, delicata e inusuale operazione macabramente portata a termine nell’oscurità della notte del 10 ottobre 1869, grazie all’amichevole complicità del mercante portoghese Charles Augustus Howell (1840-1890) e del drammaturgo inglese Algernon Charles Swinburne (1837-1909), una volta recuperato il tutto Dante Rossetti realizzando sogno di pubblicazione e inaspettatamente ricevendo dissenso di critica, provocato dal contenuto erotico di alcuni versetti.
Nel 1872 l’affranto e sfibrato uomo cercò la morte tramite per mezzo del laudano, ma ad sottratto dall’intervento di accorsi amici, sopravvisse ancora un decennio, non abbastanza per assistere alla prima antologia postuma di Siddal, datata al 1906, un secolo prima che Conny Stockhausen — autore del romanzo Elizabeth Siddal. La musa ispiratrice dei Preraffaelliti — ne operasse traduzione delle poesie, negli anni a seguire vedendo la luce alcuni inediti pazientemente scovati fra gli scaffali dell’Ashmolean Museum of Art and Archaeology di Oxford dell’esperta di letteratura vittoriana — nonché redattrice, nel 2010, di una tesi su Cristina Rossetti, presentata alla Facoltà di Filosofia della Birmingham City University ed autrice, nel 2015, di Christina Rossetti’s Gothic — Serena Trowbridge, la cui sentita e dichiarata convinzione è che la capacità scrittoria di Siddal sia stata offuscata dal maggior accento all’epoca posto sulle doti pittoriche, alla poetessa la Trowbridge riconoscendo indubbio talento poetico e la cui struttura metrica surclassa l’imperfezione ortografica derivante dalle umili origini, lacune d’apprendimento nondimeno che nulla possono sulla potenza di contenuto, Elizabeth Siddal trionfando nell’impeto urlante in ogni parola scritta sull’amore, sulle donne del suo tempo, sulla vita tutta e — brillando di luce propria — la malinconica musa donandosi al mondo nell’intima veemenza dei suoi raggi interiori.
Accendere una lampada e sparire. Questo fanno i poeti. Ma le scintille che hanno ravvivato, se vivida è la luce, durano come il Sole.
Emily Dickinson
Elizabeth Siddal: poesie, disegni e dipinti
A Year and a Day
Slow days have passed that make a year,
Slow hours that make a day,
Since I could take my first dear love
And kiss him the old way;
Yet the green leaves touch me on the cheek,
Dear Christ, this month of May.
I lie among the tall green grass
That bends above my head
And covers up my wasted face
And folds me in its bed
Tenderly and lovingly
Like grass above the dead.
Dim phantoms of an unknown ill
Float through my tired brain;
The unformed visions of my life
Pass by in ghostly train;
Some pause to touch me on the cheek,
Some scatter tears like rain.
A shadow falls along the grass
And lingers at my feet;
A new face lies between my hands –
Dear Christ, if I could weep
Tears to shut out the summer leaves
When this new face I greet.
True Love
Farewell, Earl Richard,
Tender and brave;
Kneeling I kiss
The dust from thy grave.
Pray for me, Richard,
Lying alone,
With hands pleading earnestly,
All in white stone.
Soon must I leave thee
This sweet summer tide;
That other is waiting
To claim his pale bride.
Soon I’ll return to thee
Hopeful and brave,
When the dead leaves
Blow over thy grave.
Then shall they find me
Close at thy head,
Watching or fainting,
Sleeping or dead.
Dead Love
Oh never weep for love that’s dead,
Since love is seldom true,
But changes his fashion from blue to red,
From brightest red to blue,
And love was born to an early death
And is so seldom true.
Then harbour no smile on your bonny face
To win the deepest sigh;
The fairest words on truest lips
Pass on and surely die;
And you will stand alone, my dear,
When wintry winds draw nigh.
Sweet, never weep for what cannot be,
For this God has not given.
If the merest dream of love were true,
Then, sweet, we should be in heaven;
And this is only earth, my dear,
Where true love is not given.
Shepherd Turned Sailor
Now Christ ye save yon bonny shepherd
Sailing on the sea;
Ten thousand souls are sailing there
But they belong to Thee.
If he is lost then all is lost
And all is dead to me.
My love should have a grey head-stone
And green moss at his feet,
And clinging grass above his breast
Whereon his lambs could bleat,
And I should know the span of earth
Where some day I might sleep.
Gone
To touch the glove upon her tender hand,
To watch the jewel sparkle in her ring,
Lifted my heart into a sudden song
As when the wild birds sing.
To touch her shadow on the sunny grass,
To break her pathway through the darkened wood,
Filled all my life with trembling and tears
And silence where I stood.
I watch the shadows gather round my heart,
I live to know that she is gone,
Gone, gone for ever, like the tender dove
That left the Ark alone.
Fragment of a Ballad
(Sleepless, incompleta)
Many a mile over land and sea
Unsummoned my love returned to me;
I remember not the words he said
But only the trees moaning overhead.
And he came ready to take and bear
The cross I had carried for many a year:
But words came slowly one by one
From frozen lips shut still and dumb.
How sounded my words so still and slow
To the great strong heart that loved me so,
Who came to save [me] from pain and wrong
And comfort me with his love so strong?
Ah I remember, my God, so well
How my brain lay dumb in a frozen spell;
And I leaned away from my lover’s face
To watch the dead leaves that were running a race.
I felt the wind strike chill and cold
And vapours rise from the red-brown mould;
I felt the spell that held my breath
Bending me down to a living death.
As if hope lay buried when he had come,
Who knew my sorrows one by one.
[…]
The Lust of the Eyes
I care not for my Lady’s soul
Though I worship before her smile;
I care not where be my Lady’s goal
When her beauty shall lose its wile.
Low sit I down at my Lady’s feet
Gazing through her wild eyes
Smiling to think how my love will fleet
When their starlike beauty dies.
I care not if my Lady pray
To our Father which is in Heaven
But for joy my heart’s quick pulses play
For to me her love is given.
Then who shall close my Lady’s eyes
And who shall fold her hands?
Will any hearken if she cries
Up to the unknown lands?
Worn Out
Thy strong arms are around me, love
My head is on thy breast;
Low words of comfort come from thee
Yet my soul has no rest.
For I am but a startled thing
Nor can I ever be
Aught save a bird whose broken wing
Must fly away from thee.
I cannot give to thee the love
I gave so long ago,
The love that turned and struck me down
Amid the blinding snow.
I can but give a tired heart
And weary eyes of pain,
A faded mouth that cannot smile
And may not laugh again.
Yet keep thine arms around me, love,
Until I fall to sleep;
Then leave me, saying no goodbye,
Lest I might wake and weep.
At Last
O mother, open the window wide
And let the daylight in;
The hills grow darker to my sight
And thoughts begin to swim.
And mother dear, take my young son,
(Since I was born of thee)
And care for all little ways
And nurse it on thy knee.
And mother, wash my pale pale hands
And then bind up my feet;
My body may no longer rest
Out of its winding sheet.
And mother dear, take a sapling twig
And green grass newly mown,
And lay it on my empty bed
That my sorrow be not known.
And mother, find three berries red
And pluck them from the stalk,
And burn them at the first cockcrow
That my spirit may not walk.
A Silent Wood
O silent wood, I enter thee
With a heart so full of misery
For all the voices from the trees
And the ferns that cling about my knees.
In thy darkest shadow let me sit
When the grey owls about thee flit;
There will I ask of thee a boon,
That I may not faint or die or swoon.
Gazing through the gloom like one
Whose life and hopes are also done,
Frozen like a thing of stone
I sit in thy shadow but not alone.
Can God bring back the day when we two stood
Beneath the clinging trees in that dark wood?
Early Death
Oh grieve not with thy bitter tears
My life that passes fast;
The gates of heaven will open wide
And take me in at last.
Then sit down meekly at my side
And watch my young life flee;
Then solemn peace of holy death
Come quickly unto thee.
But, true love, seek me in the throng
Of spirits floating past,
And I will take thee by the hands,
And know thee mine at last.
He and She and Angels Three
Ruthless hands have torn her
From one that loved her well;
Angels have upborn her,
Christ her grief to tell.
She shall stand to listen,
She shall stand and sing,
Till three winged angels
Her lover’s soul shall bring.
He and she and the angels three
Before God’s face shall stand;
There they shall pray among themselves
And sing at His right hand.
Love and Hate
Ope not thy lips, thou foolish one,
Nor turn to me thy face;
The blasts of heaven shall strike thee down
Ere I will give thee grace.
Take thou thy shadow from my path,
Nor turn to me and pray;
The wild wild winds thy dirge may sing
Ere I will bid thee stay.
Lift up thy false brow from the dust,
Nor wild thine hands entwine
Among the golden summer leaves
To mock the gay sunshine.
And turn away thy false dark eyes,
Nor gaze into my face;
Great love I bore thee: now great hate
Sits grimly in its place.
All changes pass me like a dream,
I neither sing nor pray;
And thou art like the poisonous tree
That stole my life away.
The Passing of Love
O God, forgive me that I ranged
My life into a dream of love!
Will tears of anguish never wash
The poison from my blood?
Love kept my heart in a song of joy,
My pulses quivered to the tune;
The coldest blasts of winter blew
Upon me like sweet airs in June.
Love floated on the mists of morn
And rested on the sunset’s rays;
He calmed the thunder of the storm
And lighted all my ways.
Love held me joyful through the day
And dreaming ever through the night;
No evil thing could come to me,
My spirit was so light.
O Heaven help my foolish heart
Which heeded not the passing time
That dragged my idol from its place
And shattered all its shrine.
Lord May I Come?
Life and night are falling from me,
Death [and day] are opening on me,
Wherever my footsteps come and go,
Life is a stony way of woe.
Lord, have I long to go?
Hollow hearts are ever near me,
Soulless eyes have ceased to cheer me:
Lord may I come to thee?
Life and youth and summer weather
To my heart no joy can gather.
Lord, lift me from life’s stony way!
Loved eyes long closed in death watch for me:
Holy death is waiting for me
Lord, may I come today?
My outward life feels sad and still
Like lilies in a frozen rill;
I am gazing upwards to the sun,
Lord, Lord, remembering my lost one.
O Lord, remember me!
How is it in the unknown land?
Do the dead wander hand in hand?
Do we clasp dead hands and quiver
With an endless joy for ever?
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