Elizabeth Eckford e la storia dei Little Rock Nine
Ira Wilmer Counts (1931-2001), Elizabeth Eckford, 1957
Elizabeth Eckford e i Little Rock Nine, i giovani che, ignobilmente lesi dalla malauguratamente umana volgarità e scempiaggine, si resero protagonisti dell’erto cammino oltre l’oppressione delle turpi barriere mentali della discriminazione.
Destatevi, sollevatevi per i vostri diritti.
Destatevi, sollevatevi, non rinunciate a combattere.
Bob Marley
Little Rock Nine fu definizione conferita alla schiera composta dai nove studenti afroamericani, Minnijean Brown-Trickey, Ernest Gideon Green, Terrence James Roberts, Elizabeth Eckford, Melba Joyner Pattillo Beals, Jefferson Allison Thomas, Carlotta Walls LaNier, Gloria Cecelia Ray Karlmark e Thelma Mothershed-Wair, i quali, animosi, si batterono a dovuta pretesa del diritto all’istruzione, manifestato iscrivendosi in una scuola fino ad allora fedele ai principi del segregazionismo e ad Elizabeth Eckford, se possibile, spettò in misura maggiore resistere a dissennata e infame disapprovazione.
La fatuità dell’odio
Venuta alla luce il 4 ottobre 1941 nella cittadina di Little Rock, contea di Pulaski dell’Arkansas, Elizabeth Ann Eckford, a un mese esatto prima del compimento del suo sedicesimo anno d’età, il 4 settembre 1957 si diresse con mirabile coraggio alla scuola pubblica superiore locale Little Rock Central High School (LRCHS), nel sentito desiderio di poterla frequentare appagando la sua sacrosanta sete di cultura, tuttavia le sue speranze immediatamente infrangendosi contro l’intransigenza dell’Arkansas National Guard, organizzazione riservista e costituita da cittadini concilianti la divisa militare con impiego lavorativo civile, che le impedirono di varcarne l’ingresso, avallati nell’operare dall’ordine del politico statunitense, inflessibile segregazionista, all’epoca dei fatti governatore del’Arkansas, Orval Eugene Faubus (1910-1994).
I soldati s’adoperarono coadiuvati da circa quattrocento persone, quel giorno assiepati attorno all’istituto in convinta ostruzione, lasciando che la barbarie accecasse il senso civile del rispetto e nutrisse un’inconcepibile atrocità, esplosa tanto nell’atteggiamento quanto nel verbalizzare all’indifesa ragazza il vacuo odio del pregiudizio razziale, in ferma volontà di precludere agli afroamericani l’accesso alla suddetta sede scolastica.
Elizabeth Eckford, abbigliata in candita veste in vita cinta a formare ampia svasatura di bianco e nero quadrettata, libro sottobraccio attraversò l’inferno umano d’individui di ogni età, tristemente mossi dalla sterilità della discriminazione tronfiata nella codardia della massa, dante l’ardimento altrimenti inesistente.
Oppressa da tale degradante ferocia, Eckford si vide costretta alla fuga raggiungendo, sull’eco urlante insulti e minacce di linciaggio, una fermata dell’autobus dove irruppe in pianto che nemmeno gli scuri occhiali da sole riuscirono a celare, lacrime da morsa dell’ingiustizia subita rese insopportabilmente amare, ma inaspettatamente confortate dalla benevolenza di Benjamin Fine (1905-1975), giornalista del New York Times dal 1938 al 1958, nonché nel 1947 cofondatore e primo presidente dell’Education Writers Assiciation, il quale, nobile d’animo ed empaticamente sospinto dall’essere padre di una creatura di medesima età, le si avvicinò delicatamente persuadendola a stringere intimo orgoglio: «Non lasciare che ti vedano piangere».
Natali nel Massachusetts, ad Attleboro, figlio di immigrati bielorussi di origine ebraica, buon cuore di Benjamin, che sul luogo si trovava per contribuire al cambiamento, non fu l’unico angelo custode a protezione di Elizabeth, difatti ad avvolgerla d’umano affetto e coscienza, altresì Grace Lonergan (1903-1974), insegnante, attivista per i diritti civili e voce antesignana in opposizione al regolamento, dal 1880 vigente nella scuola di Boston ove prestava servizio, che prevedeva il licenziamento delle docenti convolate a nozze, come a lei stessa accadde nonostante ventennale pratica, quando nel 1943 scambiò promessa matrimoniale col militante e matematico Lee Alexander Lorch (1915-2014) e a nulla le valse ricorrere in appello, tuttavia intraprendenza servì ad agevolare pari iniziative suscitando inoltre l’attenzione dell’opinione pubblica, finché nel 1953, firma del legislatore del Massachusetts sancì l’abrogazione della normativa.
L’emancipata e tenace coppia ben conosceva le difficoltà conseguenti dal sostenere parità di condizioni sociali: Lee Lorch, più d’una volta fu licenziato a causa dell’impegno a favore dei lavoratori e degli afroamericani, offrendo vicinanza ed affrancamento dalla mentalità schiavista, anche col semplice esempio, ripetutamente provando, in accordo con la consorte, ad iscrivere la figlia Alice in scuole elementari adibite alle persone di colore, sempre vanamente, compreso il tentativo d’inserirla in un istituto di Little Rock, dove nel 1955 si trasferirono presto integrandosi ed appoggiando la comunità nera, quindi intervenendo, a fianco dei nove studenti nel corso delle contestazioni e se Grace Lonergan, rimanendo accanto ad Elizabeth Eckford altrettanto durante il tragitto in pullman fino alla sua abitazione, venne tormentata dal Sottocomitato Speciale del Senato atto a tutelare la sicurezza interna degli Stati Uniti da elementi sovversivi, a Lorch la partecipazione e l’aderenza alla National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) puntualmente costò l’impiego, subendo la destituzione dal ruolo di presidente del Mathematics Department del Philander Smith College.
Il gesto, l’ennesimo in opposizione a qualsivoglia forma d’emarginazione, anziché dunque essere banalmente e lautamente lodato, cagionò loro una sequela d’ulteriori passioni, dalla persecuzione mediatica ad intimidazioni, incluso il collocamento di un ordigno esplosivo nel garage di casa e vergogna s’abbatté persino su Alice, oggetto di bullismo fra le mura scolastiche; situazione, un anno dopo le proteste, li costrinse ad abbandonare Little Rock trovando dimora ad Alberta, non senza che il procuratore generale dell’Arkansas, Bruce Bennett (1917-1979), si prodigasse a cedere informazioni sulla famiglia alle autorità canadesi.
Radicalmente in antitesi con la visione dei Lorch, fra gli altri fu la studentessa, coetanea di Eckford, Hazel Massery, il cui volto sfigurato dall’immotivata acredine emblematicamente immortalato dall’obiettivo del fotoreporter della Union Press, Johnny Jenkins e del collega Ira Wilmer ‘Will’ Counts Jr. (1931-2001), quest’ultimo ottenendone la pubblicazione il pomeriggio stesso degli incidenti sulle pagine dell’Arkansas Democrat, rapidità probabile ragion per cui lo scatto assurse a icona del frangente, facendogli perdipiù guadagnare nomina al Premio Pulitzer.
Il ricordo di Will della Eckford, da lui cristallizzata in immagine, nel preciso momento dell’assalto, tramite una Nikon S2 a obiettivo grandangolare, fu di una ragazza incredibilmente determinata, non incline a cedere a stati d’ira e meravigliosamente decorosa, nonostante l’ignobile prevaricazione in atto nei suoi confronti.
Cresciuto nel pieno della Grande Depressione da una coppia di mezzadri, la passione di Counts per la fotografia fiorì sugli incoraggiamenti dell’insegnante di giornalismo della Little Rock High School, oggi Central High, il ragazzo chiedendo in dono natalizio alla madre una Speed Graphic, ma ella concedendogli, a colpa di precaria condizione economica aggravata dalla partenza del marito per il fronte, una Kodac Brownie Hawkeye, senza tuttavia affievolire determinazione di Will d’intraprendere carriere appunto appunto esplosa quando ventiseienne, impresse l’ostruzionismo dei manifestanti e della Guardia Nazionale in protesta contro Elizabeth, debordante nel volto di Massery, fissando a imperitura memoria la deturpazione dell’odio vano, strepitato dalla folla in coro «Two, four, six, eight! We don’t want to integrate». Fortunatamente la donna si redense nel giro di un sessennio, nel 1963, telefonicamente cercando e poi incontrando Elizabeth Eckford, così porgendole sincere scuse e proseguendo esistenza come attivista per la pace e in ambito di lavoro sociale.
Ciò nonostante, agli occhi del mondo la sua reputazione non si riabilitò completamente fino al 1997 quando, in occasione del quarantesimo anniversario della desegregazione della Little Rock Central High School, lo stesso Will Counts e la moglie Vivian riuscirono nuovamente a riunirle e da definitiva rappacificazione scaturì solida amicizia, riscuotendo eco, il primo gennaio 1998, sul quotidiano Arkansas Democrat-Gazette: «Tra le storie più affascinanti emerse dalla commemorazione, il perdono porto da Hazel Massery ad Elizabeth Eckford in virtù del terribile momento catturato dalla macchina fotografica. Quell’immagine, vecchia di 40 anni, dell’odio che assale la grazia — per decenni rimorso della signora Massery — può adesso essere cancellata e sostituita da un’istantanea di due amici. Le scuse sono arrivate dalla reale Hazel Massery, la donna onesta, tanti anni rimasta offuscata da un’immagine fugace. E la cortese accettazione di tali scuse, è stato un ulteriore esempio di elevatezza inciso nella vita di Elizabeth Eckford».
Un secondo scatto di Will che, oltre a riscuotere rilevanza mondiale, velocizzò la desegregazione della Little Rock Central High School, fu quello che riprese, a poche settimane da ciò che era accaduto alla Eckford, il pestaggio, davanti al medesimo istituto, del giornalista Lucious Alex Wilson (1909-1960), direttore del Tri-State Defender, settimanale afroamericano distribuito nelle zone di Memphis, Tennessee e Mississippi, massacrato a colpi di mattone in faccia e preso ripetutamente a calci — piegato in due, stringendo il proprio cappello in una mano — davanti a una folla inerme, a tratti partecipe, talmente colma d’astio da non accorgersi neppure della volontaria decisione di non reagire dell’uomo il quale, in un secondo momento interpellato a riguardo da Will, affermò di non aver risposto a vile oltraggio per non rischiare di rovinare il cappello tenuto fra le mani: «era l’unico frammento di dignità».
All’indomani dell’eco planetario di quel fotogramma, il presidente Dwight D. Eisenhower (1890-1969) federò la Guardia Nazionale e s’avvalse delle Screaming Eagles, un migliaio di militari della 101ª Divisione aviotrasportata, dirigendoli alla Little Rock Central High School allo scopo d’assicurarsene l’immediata desegregazione, traguardo per cui si spesero altre anime di gentile fattura, fra le quali l’attivista, editrice e giornalista statunitense Daisy Lee Gatson Bates (1914-1999), in un lasso di tempo in cui patteggiare per i diritti civili corrispondeva a farsi nemici del sistema, con il rischio di un deleterio tornaconto a livello personale e carrieristico.
È difficile da credere adesso, ma all’epoca non esisteva una legislazione sui diritti civili. Le persone perdevano il lavoro senza ricevere una motivazione. In tutta coscienza, come potevamo non occuparcene?
Lee Alexander Lorch
Daisy e Lucious Christopher Bates
La caparbia Daisy, figlia di Hezekiah C. Gatson (1896-1964) e Millie Riley Gatson, fu un perno centrale nell’invertire il movimento dei desueti ingranaggi sociali, in quegli anni roteanti a discapito dei più deboli, la sua esistenza dedicando agli stessi con tutto l’ardore custodito, devota ad un profondo senso della giustizia in quanto indelebilmente ferita dalla scomparsa della madre, brutalmente stuprata, uccisa e gettata in un lago da tre uomini Europoidi; orribile evento a conseguenza del quale la piccola venne data in adozione ad Orlee e Susie Smith, da allora non rivedendo più il suo unico genitore biologico rimastole, in quanto impossibilitato a crescerla per ragioni d’estrema povertà.
Avendole l’adorato padre adottivo confidato che il trio responsabile dell’omicidio non venne mai individuato in ragione di un’immotivato e manchevole interesse d’indagine, in animo di fanciulla radicarono rancore e desiderio di vendetta, negatività che Orlee, al crepuscolo estremo, riuscì a rigenerare in sentimenti protesi a nobili traguardi da mirare in un cammino scevro di rabbia, donandole amorevole saviezza: «Sei carica d’odio ed esso può distruggerti. Non odiare i bianchi in quanto bianchi. Se credi, odia con causa. Odia le umiliazioni che soffriamo al Sud. La ghettizzazione che lo divora. Odia la discriminazione che lacera l’anima di ogni uomo e donna di colore. Odia gli insulti scagliatici dalle fecce bianche e poi tenta di porre rimedio, altrimenti l’odio provato non avrà valore alcuno». Parole fecero breccia in Daisy Bates e pur mantenendo sete di scovare gli assassini della madre, tramutò risentimento in disposizione verso prossimo, significativamente incidendo nella vicenda di Elizabeth Eckford.
Da tredicenne la ragazza aveva conosciuto Lucious Christopher Bates (1904-1980), colui che, dopo aver divorziato nel 1941 dalla prima moglie, nel 1942, a 24 anni di distanza dalla prima stretta di mano, sarebbe divenuto suo marito, in comunità di ideali e progetti, fra i quali, dstabilitisi a Little Rock, poco prima di sposarsi, la fondazione, avvenuta il 9 maggio del precedente anno, dell’Arkansas State Press e ad un quinquennio dai fatti con principale protagonista la Eckford, Daisy pregiandosi delle vesti di presidente della Conferenza della suddetta NAACP dell’Arkansas, fra le prime e più importanti associazioni per i diritti civili negli Stati Uniti, della quale era membro anche il padre.
Divenendo il giornale urlo di soprusi e disuguaglianza, particolare attenzione era rivolta alle scuole segregate e benché fossero state ufficialmente dichiarate incostituzionali attraverso il Brown v. Board of Education, sentenza della Corte suprema statunitense, in pubblicazione il 17 maggio 1954, con seconda ordinanza in data 31 maggio 1955 — provvedimenti giurisdizionali anche noti come Brown I e Brown II — nell’Arkansas molti istituti mantennero attivo il loro rifiuto all’iscrizione di studenti afroamericani, i coniugi Bates patteggiando per l’integrazione a colpi d’inchiostro e attivandosi in prima persona, in stretta collaborazione con il NAACP, nel sensibilizzare l’opinione pubblica e organizzare manifestazioni di rimostranza, in acerrima opposizione al granitico governatore Faubus.
All’Arkansas State Press costò purtroppo carissimo il risoluto schierarsi dalla parte degli afroamericani, il periodico venendo boicottato dagli inserzionisti avversari, fino al punto da non ricevere più i finanziamenti necessari alla propria sussistenza, infatti terminando corsa con l’ultimo numero pubblicato, risalente al 29 ottobre del 1959, con triste bavaglio calato sulla libertà d’espressione e di stampa per insufficienza di risorse, la stessa Bates bersaglio di numerose minacce e atti vessatori per il suo ruolo a rappresentanza della NAACP.
Nel suo spendersi a favore della desegregazione, il disegno d’azione progettato avrebbe dovuto svolgersi in tre fasi, partendo dalle scuole superiori e secondarie, per finire con quelle elementari ma, nel 1956 non registrandosi ancora positivi riscontri, il distretto scolastico di Little Rock venne trascinato in tribunale, dalle cui aule uscendo l’ordine d’integrare mano a mano le scuole a partire dal settembre 1957, data in cui Daisy avrebbe avuto il compito d’affiancare passo passo i nove studenti i cui cuori pulsavano nella smania dell’effettiva e simbolica iscrizione, ma zampino di Faubus e milizie al suo seguito avrebbero quella mattina fatto in modo che al gruppo venisse impedito qualsiasi tentativo d’ingresso.
La sera prima la Bates preferì chiedere cautelativamente ai ragazzi di non presentarsi, ritardando il loro arrivo al solo scopo di meglio organizzarne l’entrata, dunque parlando con tutti i genitori e delineando una scorta parentale che avrebbe protetto ogni studente fra quattro adulti, nell’idea d’avviarsi tutti insieme verso l’ingresso posteriore, ma all’attivista non fu possibile avvertire la dolce Elizabeth, imprevisto che le sarebbe rimasto a lungo greve cruccio, purtroppo la ragazza non avendo il telefono e suo padre rientrando dal lavoro a notte inoltrata, dunque la stessa, all’oscuro del cambio di programma, quel fatidico giorno entrando dalla parte principale, senza familiari a seguito, che non sapevano di doverla accompagnare, e in tutta solitudine affrontando quella marmaglia inferocita il cui dente avvelenato l’avrebbe morsa ferendola impietosamente.
Nella confusione di quelle ore, l’educatore americano Virgil T. Blossom (1906-1965), sovrintendente delle scuole dal 1953 al 1958 e fautore di un piano di graduale integrazione, per disperdere la folla si vide costretto a chiudere la scuola per una giornata.
Dopo la disperata fuga e il salvifico incontro con Benjamin e Grace, la Eckford, come gli altri suoi compagni, nei 18 giorni a seguire si dedicò ad attività di studio presso le rispettive abitazioni, nell’attesa che Eisenhower si decidesse sul da farsi e da quale parte propendere, fino a convocazione di Faubus, richiesta di ritirare le truppe dalla Little Rock Central High School ed inizio della desegregazione — soprattutto per merito del clamore originatosi sulle istantanee succitate del malmenato Wilson — e il 23 settembre i Little Rock Nine finalmente potendo far valere il loro diritto all’istruzione, protetti dai poliziotti nel varcarne l’entrata, tuttavia un migliaio di persone ancora accalcandosi, smosse da estrema e fanatica intolleranza, in piena protesta, pertanto il giorno successivo Eisenhower vedendosi costretto a posizionare soldati in protezione degli afroamericani per tutta la durata del corso scolastico.
L’anno seguente i nove meritevoli e prodi ragazzi ricevettero il riconoscimento Spingarn Medal, premio annuale della NAACP, il cui nome in onore del critico letterario, educatore e indomabile attivista statunitense Joel Elias Spingarn (1875-1939), che lo aveva ideato nel 1914 per omaggiare coloro che si fossero contraddistinti per i diritti degli afroamericani; elogio parimenti dedicato a Daisy Bates, la cui dimora divenne quotidiano punto di riferimento per il Little Rock Nine e inserita nella National Historic Landmark, classificazione statunitense di luoghi particolarmente rilevanti dal punto di vista storico; nel 1984, a un quadriennio dalla scomparsa del compianto consorte, riuscì a far riaprire i battenti all’Arkansas State Press e personali memorie di vissuti raccolse nel libro, vincitore dell’American Book Award nel 1988, The Long Shadow of Little Rock: A Memoir, la donna proseguendo tutta la vita nel suo dedicarsi alla difesa di diritti civili, attivandosi politicamente e chiudendo gli occhi sui suoi dolori e le sue conquiste, arricchita da significativi ed emozionanti esperienze, una settimana esatta prima di festeggiare il suo ottantacinquesimo anno d’età.
Dal canto suo, Elizabeth Eckford si laureò alla facoltà di storia della Central State University di Wilberforce, nell’Ohio, in seguito dedicandosi ad attività lavorativa in svariati ambiti, attualmente come preposta alla sorveglianza di persone soggette a libertà vigilata in Little Rock e testimonianza vivente di come i diritti d’ogni uomo, quando calpestati, possano divenire minuscole e pazienti gocce di lava che nella forza della cooperazione fra animi, temprati dal dolore, si uniscono in cocente boato, incenerendo l’oppressione in respiro di libertà, in fede al diritto d’uguaglianza a livello trasversale, a partire da una penna fra le mani e da un libro sottobraccio.
Quando qualcuno ti strappa la penna di mano,
allora capisci davvero quanto sia importante l’istruzione.
Malala Yousafzai
War
(Bob Marley)
Until the philosophy which hold one race superior
And another inferior
Is finally and permanently
Discredited and abandoned
Everywhere is war
Me say war
That until there no longer first class
and second class citizens of any nation
Until the colour of a man’s skin
is of no more significance than
the colour of his eyes
Me say war
That until the basic human rights
are equally guaranteed to all
Without regard to race
Dis a war
That until that day, dream of lasting peace,
world citizenship
Rule of international morality
Will remain in but a fleeting illusion
to be pursued, but never attained
Now everywhere is war
War
And until the ignoble and unhappy regimes
that hold our brothers in Angola
In Mozambique, South Africa
Sub-human bondage have been toppled,
utterly destroyed
Well, everywhere is war
Me say war
War in the east
War in the west
War up north
War down south
War, war
Rumours of war
And until that day the African continent
will not know peace
We Africans will fight,
we find it necessary
And we know we shall win,
as we are confident
In the victory
Of good over evil
Good over evil.
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