Doris Lessing, ritratto di una donna
«Cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa»
Era il 2007 quando con la suddetta motivazione, veniva assegnato il Nobel per la Letteratura a Doris Lessing, l’indomita e inesauribile autrice di oltre cinquanta libri e poi saggi, testi per teatro e racconti dalle cui pagine sgorga lo spirito libero ed emancipato, di una donna che si è raccontata e mostrata senza compromessi, rifiutando etichette, ribellandosi alle ipocrisie della società e abbracciando cause civili contro ogni forma di discriminazione.
La notizia del premio arrivò alla sua agenzia in tarda mattinata, mentre lei, prossima agli 89 anni, si trovava a far la spesa. Ad informarla fu la folla di giornalisti che l’attendeva davanti casa e foto e video di quei momenti, fecero il giro del mondo.
«Cristo! – esclamò – Erano trent’anni che l’aspettavo. Ho vinto tutti i dannati premi che ci sono. Mi mancava solo quello». Ed era vero, l’aspettava perché inspiegabilmente tardava ad arrivare, l’aspettava ben sapendo che l’aver dedicato l’intera vita alla letteratura, raccontando l’essere umano attraverso la “sua” Africa, l’adorazione per i gatti, spaziando tra generi simili e distanti, dall’autobiografia alla fantascienza e di questa servirsi per presentare scenari apocalittici, come monito per indurre a un maggior rispetto per l’ambiente, era frutto di una vocazione per la scrittura il cui valore va al di sopra di ogni premio e riconoscimento.
In un’epoca dove la donna sta ancora cercando di scrollarsi di dosso millenni di polvere, che ne hanno soffocato l’essenza con claustrofobiche menzogne ed ipocrisie, l’importanza di Doris Lessing non sta solo nell’aver affrontato problematiche urgenti, temi centrali e controversi mostrando un’attenta osservazione del mondo, spingendosi a scrutare il domani come solo i grandi scrittori ne hanno da sempre dimostrato le capacità, ma è nell’aver fatto tutto quanto, dal un punto di vista della donne senza da questo lasciarsi imbrigliare.
“Sono nata per scrivere, geneticamente. Voglio raccontar storie. Tutti, quando sogniamo, ci diciamo storie. E non c’ è alcun messaggio: è il lettore che cerca un messaggio, e quindi lo trova”
Doris May Tayler, questo il suo vero nome, nasce il 22 ottobre 1919 a Kermanshah, in Persia, dove il padre, Alfred Cook Tayler, Capitano dell’esercito britannico, decide di trasferirsi con la moglie Emily Maude al termine della prima guerra mondiale. L’uomo trova lavoro come impiegato in banca, ma la permanenza in quello ch’è oggi l’Iran Occidentale è però breve, e con la famiglia si stabilisce nella colonia britannica della Rhodesia del Sud, l’attuale Repubblica dello Zimbabwe, ottenendo la concessione di un terreno che, con scarso profitto, userà per coltivare mais.
Doris ha 5 anni e assieme al fratello Harry, trascorre le sue giornate a contatto con quella natura africana tanto odiata dalla madre, che invano tenterà d’imborghesire la figlia imponendole dapprima l’educazione presso un collegio cattolico – benché la famiglia fosse protestante – e compiuti i quattordici anni, iscrivendola in una scuola femminile.
Esperienze che si rivelano soffocanti, forse persino propulsive per una ragazza già scevra d’ogni barriera e dopo una prima fuga tentata già durante gli anni del collegio, a 15 anni se ne va di casa e lascia la scuola per costruirsi una cultura come autodidatta.
Un conflitto quello con la madre, che più volte ritornerà come tema centrale di molte sue opere.
Trasferitasi a Salisbury (oggi Harare), trova lavoro come bambinaia, poi come segretaria e centralinista, ma continuando a mangiare libri d’ogni genere, dalla letteratura alla politica, sfamando così la sua infinita curiosità.
Verso la fine degli anni ’30, si sposa con Frank Charles Wisdom, al quale darà John e Jeane, ma l’unione è destinata a concludersi in fretta, Doris è irrequieta, insofferente e nel 1943, pone fine al matrimonio lasciando figli e marito.
Sono gli anni del fervore politico ed è al Left Book Club, un circolo di comunisti, che conosce l’attivista tedesco Gottfried Lessing, un incontro culminato in una unione matrimoniale che vedrà Doris diventare madre per la terza volta e adottare quel cognome con cui diverrà celebre.
Seconde nozze che avranno anch’esse vita breve, come del resto il suo legame con il Partito Comunista al quale si era unita «perché per la prima volta – scriverà nell’autobiografia “Sotto la mia pelle“ – nella mia vita incontrai un gruppo di persone e non individui isolati, che leggevano di tutto, non pensavano che leggere fosse una cosa straordinaria, e per le quali alcune mie riflessioni sulla questione indigena, che a stento avevo osato esprimere ad alta voce, erano semplici luoghi comuni. Diventai comunista a causa dello spirito dei tempi, a causa dello Zeitgeist».
Ideologia che infatti abbandonerà «perché ogni libro sull’Unione Sovietica – afferma in “Camminando nell’ombra” – od ogni conversazione con qualcuno che ci aveva vissuto, indeboliva quella convinzione. Piano piano. La perdita di fiducia nel comunismo ha il suo esatto parallelo negli innamorati che non sanno rinunciare al loro sogno d’amore. Ora capivo che ciò in cui continuavo ad aggrapparmi erano delle assurdità».
Tema che sarà introdotto ne “Il giorno che morì Stalin” edito in Italia da ETS, e poi ripreso in quello che sarà il suo primo vero successo, “Il taccuino d’oro”, dove se è vero che il tema centrale è l’emancipazione femminile, la storia della protagonista Anna Wulf (chiaro riferimento a Virginia Woolf) trova collocazione all’indomani del discorso di Kruščëv, rivelazioni alle quali seguì la caduta di un credo, nonostante molti continuassero a convincersi che non si trattasse di null’altro se non di un “traditore”.
Libro che fu accolto dalla critica come una bibbia del movimento femminista, ma come detto, le etichette non sono qualcosa che appartenevano alla scrittrice e quanto da lei rilasciato a proposito in un’intervista al New York Times nel 1982, è ormai noto anche a chi non ha mai aperto un suo libro: «Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione. Vogliono che sia loro testimone. Quello che veramente vorrebbero che io dicessi è “Sorelle, starò al vostro fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più”. Veramente vogliono che si facciano affermazioni tanto semplificate sugli uomini e sulle donne? In effetti, lo vogliono davvero. Sono arrivata con grande rammarico a questa conclusione».
Non che Doris Lessing non sostenesse la libertà e l’individualità della donna, tutt’altro, quella fu in fondo la sua battaglia, ma il punto era che certezze, appartenenze o movimenti non potevano confarsi ad una idea di libertà, capace di accogliere per esaminare ogni sfumatura e concetto da qualunque parte esso provenga, che non significa abbandonare quella partecipazione che è perno del processo democratico, quanto piuttosto ma rimanere aperti al dubbio per meglio capire come poter essere di contributo allo sviluppo della società.
Il suo primo romanzo però, fu “L’erba che canta” con il cui manoscritto sottobraccio e tenendo per mano il figlio Peter, lasciò la Rhodesia per stabilirsi in Inghilterra, dove rimarrà fino alla fine dei suoi giorni, il 17 novembre del 2013. Una feroce denuncia contro la segregazione razziale a cui aveva assistito per anni già dall’infanzia. Considerato tra i migliori inglesi del dopoguerra, il libro che narra del fallimento di una coppia di bianchi impegnati ad opporsi al sistema del colonialismo, fu pubblicato nel 1950 e sei anni più tardi, per questo fu bandita dai governi della Rhodesia e del Sudafrica.
Tra l’83 e l’84, con la pubblicazione de “Il diario di Jane Somers” e “Se gioventù sapesse” si fece beffa di quella critica ipocrita e distratta, entrambi scelse infatti di firmarli con lo pseudonimo di Jane Somers ed osservando come questi fossero stati ignorati dai recensori, ne rivendicò la maternità durante un’intervista, provocando un ridicolo quanto inutile tentativo di ripensamento e facendo sì che i libri riscuotessero un’immediato successo.
Una scrittura istintiva e come nel caso de “Il diario di Jane Somers”, dove Doris Lessing affronta in modo unico l’invecchiare della donna, con una narrativa avvincente, dettagliata ed assolutamente realista; come del resto lo è tutta la sua sconfinata opera letteraria.
Doris Lessing che non amava le religioni «perché educano al rancore», che temeva per la vita di Obama prima che fosse eletto, che condanna il regime di Mugabe e che definisce Tony Blair «attore affascinante, ma poco intelligente».
Doris Lessing che rifiuta il femminismo perché era per lei normale essere voce delle donne, che invitava a non disperdere energie nel colpevolizzare l’uomo, per «i crimini commessi dal loro sesso», quanto piuttosto capire che il problema, oltre alle leggi da cambiare, è legato alla crescita dei figli, concentrandosi quindi sull’educazione perché le nuove generazioni possano approdare ad uno stato di coscienza, in grado di avviare davvero un processo di trasformazione sociale, che alla luce di quanto continua ad accadere, si fa sempre più urgente.
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.