Alice Ball: la prima scienziata a curare il morbo di Hansen
Avanguardista ricercatrice chimica, Alice Augusta Ball fu colei grazie alla quale si deve la scoperta d’un estratto iniettabile in antagonismo al logorante effetto della lebbra sul corpo umano, in corso d’epoca soggetto a triste ed impietosa emarginazione nei confronti di coloro che ne furono affetti.
La sensibilità verso la sofferenza, unita al rispetto per la libertà e la dignità della persona, è ciò senza cui qualunque progetto di riumanizzazione della medicina è destinato al fallimento.
Angelo Guido Sabatini, Medicina e morale, 1983
Quella che alternativamente viene definita Malattia di Hansen, ovvero il raro morbo cronico ed infettivo comunemente conosciuto come lebbra, radica nominativo nel termine greco Λέπρα, il cui significato, «squamoso», ben rende l’immagine epidermica di quanto avviene per opera del Mycobacterium lepromatosis e del Mycobacterium leprae, o Bacillo di Hansen, quest’ultimo dal nome del medico e dermatologo norvegese Gerhard Henrik Armauer Hansen (1841-1912), colui il quale, nel 1873, identificò il suddetto batterio come agente eziologico della devastante patologia, il cui contagio s’accanisce, oltre che sulla pelle, sui nervi periferici, nei casi più gravi provocandone la totale invalidità.
Non v’è inconfutabile evidenza sulle originarie manifestazioni di tale affezione, tuttavia ipotizzando la stessa possa aver avuto principio in territori indiani ed africani, specialmente egiziani, con reperti fossili databili al secondo millennio a.C.
Comparsa in Cina avvenne attorno al 400 a.C. e massima diffusione, a livello endemico, violò europei territori nel tredicesimo secolo, in America Latina diffondendosi tre secoli più avanti, per effetto di colonizzazioni e seguente tratta di schiavi.
Primi accenni letterari si svilupparono fare le pagine di remoti testi orientali e susseguenti descrizioni, in epoca romana, fuoriuscirono sia dagli steli del medico ed enciclopedista Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 45 d.C.), che dello scrittore, filosofo, naturalista comandante militare, nonché governatore provinciale di Roma, Plinio il Vecchio (23-79), inoltre argomentandone il medico bizantino, anello collegante la medicina greco-romana alla medievale, Paolo di Egina (625 circa – 690 circa), in ᾿Επιτομῆς ἰατρικῆς βιβλία ἑπτά, «Compendio medico in sette volumi», redatto in lingua greca e per otto secoli ritenuto il trattato più esauriente al quale riferirsi, una dozzina di secoli più avanti, precisamente nel 1846, ripreso e prodotto dal medico scozzese, traduttore di testi medici dal greco antico, arabo e latino, Francis Adams (1726-1861), che ebbe ad integrarne personali valutazioni riguardo ad esperienze conoscitive sul malanno lebbroso ed eventuali terapie fino ad allora sperimentate.
Grande Illustrazione del Lombardo Veneto, 1859
Negli anni a seguire variegata ed approfondita fu la letteratura scientifica proposta da più autori, mantenendosi per l’intero Ottocento ben salda l’erronea convinzione che ereditarietà fosse caratteristica della lebbra, al passar dei decenni arrivando maggiormente a conoscerne eziologia, epidemiologia, modalità di trasmissione, patogenesi e clinica, pertanto avvantaggiandosi su diagnosi, prognosi e terapia.
Durante il primo quindicennio del Novecento si deve ciò nonostante al risoluto acume d’una meravigliosa anima femminile la scoperta d’un trattamento che protrasse i suoi benefici fino agli anni Quaranta, lasciando a sua memoria il benessere raggiunto dai pazienti ch’ebbero il privilegio di poterne giovare.
Le origini e la figura di James Presley Ball Sr
Fu l’amore fra James Presley Ball Jr (1851-1923) e Laura Louise Howard Ball (1868-1945), originaria del West Virginia, ad esplodere in palpito nel cuore della piccola Alice Augusta Ball, al suo primo respiro, come terzogenita, a Seattle, contea di King in Washington, il ventiquattresimo giorno di luglio del 1892, all’interno del connubio di coppia che diede alla luce altri tre figli, Robert Presley (1885-?), William Thomas Carrol (1890-?) e Adelaide Grace (1895-1918).
Il di lei padre, James, fu natio dell’Ohio ed a sua volta figlio di Virginia L. Burns, nata in Mississippi, nel 1850 circa, e di James Presley Ball Sr (1825-1904), natali in Frederick County, Virginia, quest’ultimo celebre fotografo e abolizionista, nonché uno fra i primi afroamericani ad assimilare esperienza di dagherrotipia, l’antica tecnica fotografica, su iniziazione dell’inventore francese Louis-Jacques-Mandé Daguerre (1787-1851), che utilizzava lastre di rame argentato, rivestite di ioduro d’argento, con il risultato d’offrire il suddetto supporto un unica copia positiva, non riproducibile, ma in essa contenete anche la copia negativa, ambedue visionabili a seconda dell’angolazione della luminosità sull’immagine, con incantevole effetto tridimensionale della stessa, processo tramite cui il paterno avo di Alice ebbe a trasfigurare in peculiari ritratti numerose personalità dell’epoca, esponendo in una prima galleria — Ball’s Great Daguerrean Gallery of the West — aperta in collaborazione con il fratello, di professione falegname, Thomas C. Ball (1828-1874) e in seguito una seconda — Ball and Thomas Gallery — in cooperazione con il cognato Alexander Thomas, indi nel 1887 concretizzando avviamento d’un primo personale studio a Minneapolis, Minnesota, al nome J.P. Ball & Son, Artistic Photographers e nel medesimo anno onorato d’elezione eletto a delegato d’una convenzione sui diritti civili, a cui seguì ruolo di presidenza dell’Afro-American Club del Montana, con verosimile trasferimento a Seattle dove, nel 1900, si realizzò debutto del Globe Photo Studio, di quattro anni antecedente la sua dipartita.
Nonni materni di Alice risposero invece al nome di Charles Howard e Virginia Mumford Howard, entrambi nati intorno al 1843.
James Presley Jr cucì in sposalizio il proprio cuore a quello della sua Laura Louise, il 23 febbraio 1890, ad Helena, dove si pregiò dell’esser direttore di The Colored Citizen, rivista settimanale afroamericana attiva per un paio di mesi in Montana e fra le cui pagine, in prima pubblicazione il 3 settembre del 1894, in piena campagna elettorale, si diede voce al patteggiar per la cittadina al divenir capitale permanente del suddetto stato, nella competizione con Anaconda, in virtù del fatto che Helena, fra il 1880 ed il 1890, s’era ampiamente popolata d’afroamericani sulla scia della sua tolleranza razziale, in aspra contrapposizione al loro sfruttamento nelle miniere d’Anaconda, poi risultando gloriosamente vittoriosa su quest’ultima, con gran merito del giornale nel farsi sprone del proprio popolo lettore al voto, contemporaneamente bramando il riconoscimento d’una sacrosanta e legittima dignità etnica, in ardente ed aperto contrasto ad ogni tipologia di cieco pregiudizio e bieca sopraffazione.
In passaggio di secolo conducendo impiego d’avvocato nella contea di King e nel 1920 ancor ivi risultando occupato come procuratore, tre anni più tardi l’appassionato, ardito, libertario e munifico animo insito a James Presley Jr varcò ultimo traguardo della sua motivata ed infaticabile maratona sul mondo, esalandone il corpo l’ultimo sospiro in California, intersecandone il settantaduesimo anno d’età.
Potenza d’estro e sagacia geneticamente balzanti nelle sue vene, essendo stati anche i genitori, oltre al nonno paterno, dediti alla passione fotografica, l’esistenzial sentiero d’Alice si delineò all’interno d’un nucleo familiare discretamente abbiente, condizione economica che le permise d’accedere al mondo accademico, frangente peraltro assolutamente non scontato in un’epoca in cui l’ammissione agli studi della frangia femminile ancor era suscettibile d’ottuse riottosità, alle quali aggiungere la discriminazione destinata alle sue origini afroamericane, probabilmente attenuatasi dal risultare ella stessa e l’intera sua famiglia descritte, a livello certificativo, come persone appartenenti alla società “bianca”, essendo che James Presley Ball Sr, nel 1856, aveva scritto di suo pugno richiesta al fin d’ottenere passaporto statunitense a Cincinnati, asserendo d’esser, lui medesimo, consorte e prole, cittadini dello Stato dell’Ohio, annettendone descrizione di tutti i componenti familiari in base a fattezze fisiche, inoltre riportando carnagione della pelle da chiara a scura a seconda dei soggetti descritti.
Problematiche artritiche del nonno paterno, la condussero in trasferimento familiare, da Seattle ad Honolulu, nel 1903, allo scopo di favorire la riabilitazione di James Presley Sr il quale, purtroppo, venne a mancare l’anno successivo, dunque l’intera famiglia rientrando nella nativa città portuale a soli due anni dalla precedente partenza, dove la giovanissima Ball intraprese frequenza all’esemplare istituto Broadway High Schools in Seattle, come riportato nell’annuario scolastico del 1909, nell’immediato eccellendo nelle discipline scientifiche ed ella stessa diplomandosi, in quello stesso anno, e perpetrando approfondimento in ambito chimico all’University of Washington, uno dei più remoti atenei della costa sul Pacifico, istituito al centro di Seattle su proposta, in data 1854, dell’ufficiale e politico dell’esercito americano, primo governatore di territorio, in carica dal 1853 al 1857, Isaac Ingalls Stevens (1818-1862), nell’ottica d’un maggior pregio della metropoli, con susseguenti vantaggi a favore d’un generale sviluppo economico, dunque la prima posa di pietra nell’anno 1861, sotto le direttive dell’architetto John Henry Pike (1814-1903), a circa mezzo secolo di distanza da due importanti mete raggiunte fra le sue mura da Alice la quale, nel 1912 acquisì meritata laurea in chimica, doppiando due anni più avanti con titolo di dottorato in scienze farmacologiche, conseguendo ben più significativo traguardo, umanamente e civilmente discorrendo, nell’esser la prima donna, e, soprattutto, la prima afroamericana, a raggiunger tale obiettivo in quell’accademia, frattanto guadagnando, a buon diritto, ulteriore riconoscimento, che preziosa, inconsueta, commovente e straordinaria conquista in periodo di segregazioni razziali fu, nella stesura, e divulgazione a mezzo stampa, d’un articolo scientifico di dieci pagine, al titolo Benzoylations in Ether Solution, pubblicato come coautrice in accoppiata al suo consulente di farmaci, Williams M. Dehn, sul prestigioso Journal of the American Chemical Society, statunitense periodico accademico-scientifico, ad uscita settimanale, creato nel 1879 ed il cui editore fu l’American Chemical Society (ACS), società e corporazione professionale, fondata nel 1876, operante nell’ambito della ricerca chimica, propagante una ventina di riviste scientifiche fra le quali, per l’appunto, il giornale suo omonimo di cui sopra.
Immensa gratificazione personale, meritatamente conseguita, fu far capolino fra le sue pagine, da allora schiudendosi alla perspicace, dedita, tenace e delicata Ball una rosea opportunità carrieristica all’orizzonte, frutto del suo esclusivo zelo e simultanea gemma di future scoperte mediche che l’avrebbero resa leggendaria ai postumi nel contenuto del suo operare e nell’esser stata in grado unire alla professione la giusta dose di sapere, miscelandolo a meticolosa metodologia e leale coscienza, nella complessità d’una disciplina che ancor prima d’essere un mestiere si manifesta in devota inclinazione nei confronti del prossimo.
La medicina è un miscuglio di scienza, saggezza e tecnologia.
Robert Platt
Alice Ball, l’inganno e la memoria
A conclusion delle sue due lauree, ad Alice vennero proposte numerose borse di studio, potendo ella stessa scegliere se accedere in frequenza alla University of California, Berkeley o se invece dirigersi, come poi effettivamente fece, al College, attualmente University of Hawaii, ove decise d’iscriversi al fin di conseguire Master in Chimica e frattanto iniziando a familiarizzare con la composizione dell’olio estratto dalla Chaulmoogra — famiglia Achariaceae, nomenclatura binomiale Hydnocarpus wightianus — di cui prime somministrazioni, saggiate come terapia alla malattia di Hansen, s’erano rivelate alquanto discrepanti, oltretutto estenuanti, dal punto di vista degli effetti indesiderati, in conseguenza all’assunzione orale del fluido, in aggiunta al pessimo sapore, sebben il tal olio fosse utilizzato a livello medicamentoso fin dal quattordicesimo secolo, ciò nondimeno la sua estrema vischiosità tanto contrastandone l’efficacia sia dal punto di vista delle applicazioni topiche, quanto rendendolo gravemente doloroso allo sperimentarne un trattamento secondo inoculazione, originandosi in seguito diffuse e fastidiose vescicole sotto pelle.
In quel periodo la Ball era impegnata nelle stesura della tesi, improntata allo studio del principio attivo del Piper methysticum, la Kava, arbustivo della famiglia Piperaceae, dalle cui radici si ricavano essenze ad affetto ansiolitico ed antidolorifico e titolata The Chemical Constituents of Piper Methystucum; or the Chemical Constituents of the Active Principle of the Ava Root. Fu proprio durante lo sviluppo delle sue argomentazioni che la donna venne contattata come coadiutrice dal dottor Harry T. Hollmann (ca. 1878-1942), all’epoca dei fatti assistente chirurgo al Kalihi Hospital, Honolulu, edificio adibito all’osservazione ed alla cura di degenti affetti dalla lebbra, graziati dalla capacità di Alice d’isolare i principi attivi dell’anzidetto olio e rendere la soluzione iniettabile, dopo aver intuito e dimostrato la sua capacità solubile in acqua, al pari nel flusso sanguigno, tramite separazione degli esteri — composti organici prodotti dalla reazione di un alcol o un fenolo, con un acido carbossilico o un suo derivato — etilici dagli acidi grassi dello stesso, in tal maniera sovvenendo alla pregressa criticità collaterale ed aprendo benefico varco alla possibilità d’attutire la sofferenza provocata dal morbo, parallelamente, il primo giugno del 1915, concludendo Master e segnando prima e storica tappa raggiunta in qualità d’afroamericana, inoltre rendendosi imperitura alla memoria come prima donna insegnante di chimica al College of Hawaii, fra affermazione accademica, maestria professionale ed innovativo apporto terapico, disgraziatamente falciandosi in pieno corso d’opera la sua deviata pratica medica, improvvisamente sotto la sua, di pelle, germinandosi gravosa e meschina infermità, consumante la sua mirabile vigoria, celermente appassendone ogni disperato tentativo di resistenza.
Non è dato sapere quale fu esattamente la causa della malattia che della caritatevole Ball s’impossessò, gradatamente germinando durante il completamento della summenzionata tesi, variando le ipotesi dall’aggravarsi d’una forma d’esaurimento fino alle conseguenze dovute all’inalazione di cloro, in forma gassosa, nel corso di dimostrazioni pratiche di laboratorio sul corretto utilizzo della maschera antigas, in preventiva difesa al primo conflitto mondiale che infiammava la totalità dei cieli e qualunque possa esser stata la ragione, a debilitazione fisica sopraggiunta subentrò impossibilità di seguitare esistenza, cedendo il suo cuore all’ingrata crudeltà della sorte che ne volle bruscamente interrompere cammino sul pianeta il 31 dicembre del 1916, dopo un trimestre in cui rientro a Seattle allo scopo di curarsi, non sortì l’effetto sperato, calando definitivamente palpebre sul suo amorevole sguardo ed immobilizzando per sempre il suo filantropico moto interiore a soli ventiquattro anni, troppo pochi per andarsene, allo stesso incredibilmente brevi in rapporto a quanto lasciato in dono, nell’esiguo tempo concessole in dote.
Nel 1917, dalle pagine del Honolulu Pacific Commercial Advertiser, quotidiano statunitense pubblicato in Honolulu, attivo dal 1856 al 2010, sostenne la tesi dell’avvelenamento da cloro come motivo di decesso della ricercatrice, ipotesi non del tutto inconfutabile essendo che in quegli anni non erano previsti sistemi di ventilazione all’interno dei laboratori; aggiuntivo alone di mistero ebbe a posarsi sul di lei trapasso quando, in modifica all’originale certificato di morte, tubercolotico evento fu posto a cagion del suo ultimo esalar magnanimo fiato in codesta dimensione.
A maledettamente precoce, smisuratamente triste ed iniquamente sopraggiunta scomparsa, quel soave olio che in precedenza s’era potuto gloriar d’aver in capo il suo dolce nominativo nell’esser definito Ball Method, venne solertemente accolto fra le mani del chimico, nonché presidente dell’Hawaii University, Arthur L. Dean, il quale si fece staffetta fra la munifica Alice ed i suoi pazienti perpetrando l’opera da ella intrapresa, ciò nonostante tradendone nel profondo la purezza d’animo allorquando, all’atto della pubblicazione dei sorprendenti risultati ottenuti, oltre al non degnar minimamente la donna d’alcuna menzione di merito, innata sgarbatezza, turpe assenza di galanteria ed incomprensibile egoismo lo indussero a sostituir il proprio nome al miracoloso fluido, fissando nella denominazione Dean Method il massimo grado d’irriconoscenza possibile e immaginabile.
Merito primo della dovuta ed opportuna restituzione alla Ball ciò che le appartenne per indiscussa e lodevole dote, fu del dottor Hollmann, tramite articolo pubblicato nel 1922, nell’aver aperto alla possibilità, sebben sia stato tragitto ad ostacoli, di riconoscere ad Alice paternità di scoperta, ricercata fra archivi negli anni settanta da Kathryn Takara e Stanley Ali, professori dell’University of Hawaii e ad oggi immortalata attraverso una targa commemorativa apposta, il 29 febbraio del 2000 sull’unica pianta Chaulmoogra presente nell’area esterna dell’ateneo e nel medesimo giorno, l’allora vicegovernatore delle Hawaii, Mazie Keiko Hirono proclamò tale data Alice Ball Day, anticipando vari riconoscimenti e tributi a suo favore, susseguitisi negli anni successivi, fra i quali l’esser designata come una delle personalità femminili maggiormente influenti della Grande Isola.
Il Metodo Ball, rimase in vigore per oltre un abbondante ventennio, fino all’avvento dei farmaci sulfonamidici, vale a dire categoria di chemioterapici batterici, ad ampio spettro ed azione inibitoria sulla cresciuta batterica, sintetizzati chimicamente, a differenza dei comuni antibiotici, dalle origini naturali, ossia sostanze con attività antibatterica di derivazione vegetale, fungina, batteriologica o animale.
Pregevole prodigalità d’Alice Augusta Ball si trasfuse al servizio dell’altro a partir dal suo prediligere, per meglio dissetar la sua infinita sete di sapere scientifico, il territorio hawaiano al californiano, essendo infatti le Hawaii, in quel preciso momento storico, ampiamente pressate dagli effetti del logorante e deturpante morbo, ecco dunque che la ventiduenne dallo sguardo malinconico ed i morbidi riccioli neri ad incorniciarne un viso dall’innocente e cortese aspetto, due lauree in tasca, bontà appesa alle pareti cardiache ed un’immane dose d’impavida fermezza, alle isole giunse e fece d’un semplice e denso estratto vegetale il seme che avrebbe attuato una sorta di rivoluzione nell’interiorità d’ogni paziente, scorrendogli nelle vene e con sé raccogliendo le più recondite speranze di guarigione.
Una convalescenza di spirito, oltre che fisica, data la spietata, umiliante e disumana stigmatizzazione alla quale furono soggetti i contagiati, relegati in appositi territori ad essi preposti, straziati nella carne da uno sconosciuto batterio divorante le corporeità, violati nelle emozioni dalla feroce barbarie dell’emarginazione e amputati degli affetti nell’esser atrocemente separati dai familiari.
I primissimi risultati conseguenti al trattamento iniettabile dalla scienziata ideato, tese una corda nel baratro in cui i malati erano scivolati soffocando in una disincantata rassegnazione, lor concedendo la possibilità di ritornare a sperare non soltanto di poter guarire, ma comunque di migliorare la loro condizione e ritrovare il calore degli abbracci familiari, fra rassicuranti mura domestiche.
Una generosa elargizione di vita ed un contrastar ghettizzazione che per la ricercatrice, ben conscia di quanto anche una fisiologica differenza di tonalità epidermica dovuta a differente etnia, potesse trasformarsi in cappio al collo invece che divenir arcobaleno delle differenti umanità, sarebbe stato un doppio compiacimento, se i suoi occhi avessero potuto vedere i risultati terapeutici ed il rinfrancarsi della sfera psico-emozionale, non fosse stato che misero fato glieli abbia chiusi troppo presto, tuttavia nulla potendo sull’eco della sua amabile memoria, in ossequio al suo operare come medico e come gentildonna, su corpi ed anime.
Il più grande errore nel trattamento delle malattie è che ci sono medici per il corpo e medici per l’anima, anche se le due cose non dovrebbero essere separate.
Platone
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