Blog dei Lettori: “Buona Scuola e Arte Dimenticata”
di Giammaria Naldini
Un tempo gli artisti morivano di fame, miseria, morivano delle costrizioni che non lasciavano loro libera l’anima per creare ciò che davvero sentivano.
E nel silenzio se ne andavano.
Pochi sono stati realmente apprezzati in vita per le loro visioni, per il contributo donato ad ognuno di noi e solo poi, riconosciuto.
Quell’arte “scolastica” che celebra Caravaggio e Botticelli, Quasimodo e Dante, per dimenticare Basquiat e Pollock, quella che studia Leopardi e ne tralascia lo spirito, l’uomo con i suoi difetti, vizi e dolori.
Troppo difficile guardare e spiegare “ombre”.
Oggi Come un Tempo, l’Arte Muore di Fame
Difficile forse, guardare l’arte nella sua interezza, andare oltre.
Per l’istruzione è ancora troppo considerare la poesia di De André, il genio di Gaber, è troppo pensar di andare oltreoceano e spiegare Hurricane di Dylan, dare in pasto agli studenti Redemption Song di Marley.
Troppo impegnativo spiegare quanta Francia è nelle opere di Mozart, magari accostando alle parole, un pianoforte.
La musica è fuori da ogni insegnamento; Beethoven, Verdi, Chopin praticamente dimenticati dalle cattedre.
E la poesia…
Svestita dalla lotta, dalla politica, dalla cronaca, questa è stata ed è la poesia fuori dalle aule, aule dove persino Neruda è narrato per quel che non è poeticamente stato.
Stessa sorte per la letteratura nel suo complesso, per la pittura, le arti grafiche…
Triste vedere come persone dal talento cristallino, capacità espressive e artistiche straordinarie, siano lasciati soli commettendo ancora lo stesso errore.
Oggi Van Gogh, morirebbe nelle stesse identiche condizioni.
Ho letto qui, sul vostro sito, un articolo dove chi scrive riflette sulla nostra capacità di imparare dal passato, sulla capacità di scrivere una storia nuova.
Bene, a riguardo sento di potermi definire pessimista.
La Buona Scuola è Sempre la Stessa Scuola
Nel 2015, arrivarono dal governo parole che avrebbero potuto far sperare per quella manifestata volontà di “potenziare” l’arte e la musica nella riforma della Buona Scuola.
Speranze, appunto, perché nella legge 107 del luglio dello stesso anno, si specifica che la realizzazione di quanto promesso sarà «nei limiti delle risorse disponibili».
Un modo gentile per far capire che non sarebbe cambiato nulla.
Parole, le solite parole che lasceranno anche migliaia d’insegnanti di musica nel precariato, nell’attesa di una chiamata e nell’eterna speranza di poter insegnare, anzi, condividere seriamente una passione, una disciplina che ha troppo da donare, perché sia lasciata nelle onde “migratorie” alle quali gli insegnanti dovranno continuare a sottostare.
Il trattamento riservato all’arte si riflette nella società comune.
Alla domanda, «che lavoro fai?», se la risposta è musicista, pittore, scultore, poeta (per gli scrittori questo non vale, nessuno legge, ma tutti scrivono), l’esclamazione sarà «bello!…ma di lavoro poi cosa fai?».
“L’arte non dà cibo”, questo è il pensiero che abbiamo in mente, tramandato di padre in figlio. Bambini che metteranno da parte intuito e predisposizione, cercando di portare a casa la buona laurea in medicina o giurisprudenza.
Peccato che oggi, a livello lavorativo valgano come i nostri anni passati al conservatorio, nelle accademie…per gettarsi nelle piazze, nei locali, nei teatri. Ormai pochi anche quelli.
Tanti, come detto, ritrovandosi poi precari o sbattuti chissà dietro a quale, di quelle cattedre che di musica e di arte non devono occuparsene troppo.
Sono un musicista e quanto è vero che non mi arricchisco con la musica, è certo che vivo di lei, così come della poesia, della matita, dello scalpello con i quali altri “soli” mi nutrono.
Non sono un artista e ne son sicuro; altrimenti mi sentirei abbandonato, anziché semplicemente solo.
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