Usain Bolt, triste addio, ma nessuno come lui
Un giorno qualcuno batterà ogni record fatto da Usain Bolt, qualcuno farà meglio di quel 9″58 nei 100 metri, sarà più veloce nei 200 e persino nella staffetta.
Vincerà ori e mondiali come mai nella storia, ma nessuno lo farà con la stessa generosità.
Nasce il 21 agosto del 1986 a Sherwood Content, un piccolo villaggio nella contea di Cornwall, Giamaica.
Giocatore e appassionato di cricket, è il suo allenatore a notare la naturale predisposizione per le discipline di velocità e un giovanissimo Usain, partecipa così alle sue prime gare di atletica.
Quindicenne, diventa il più giovane campione della storia dei Mondiali Juniores, centrando la medaglia d’oro nei 200 metri con un tempo di 20″61, ma è quattro anni più tardi che il mondo si accorgerà del suo talento.
Dopo una serie di infortuni, uno dei quali lo farà anche rinunciare ai Mondiali Juniores svoltisi a Grosseto, nel 2006 prende parte all’annuale meeting svizzero Athletissima e nei 200 metri, con un 19″88 si piazza terzo dietro a Carter e Tyson Gay.
Passato nella categoria seniores conquista un argento, firma il record nazionale nella staffetta ai Mondiali di Osaka e vola alle Olimpiadi di Pechino del 2008, dove scriverà la prima pagina di una parabola irripetibile.
Il 16 agosto nella finale dei 100 metri piani, Usain Bolt strappa l’oro fermando il cronometro a 9″69, è primato assoluto.
Come accadrà altre volte, a pochi metri dal traguardo il giamaicano rallenta notevolmente la corsa, regalando centesimi alla storia, ma la felicità ogni volta esplode più forte di lui e il suo divertimento inizia a oltrepassare schermi, tribune e le macchine fotografiche cominciano ad immortalare quel gesto dell’arciere e quel giro di pista senza scarpe, che negli anni a venire forse, tutti attenderanno più della gara stessa.
Quattro giorni dopo, il 20 agosto, Bolt non si limita a stabilire il primato anche nei 200 metri piani tagliando in traguardo in 19″30, ma si ripete anche nella 4×100 con un tempo di 37″10, registrando un nuovo record.
Il libro dei Guinness è però ancora tutto aggiornare, perché appena un anno più tardi, ai Mondiali di Berlino il velocista ricalca le vittorie ottenute in Cina e sulle due discipline di velocità, abbassa ulteriormente i tempi: 100 metri in 9″,58 e 19″19 nei 200.
Arriveranno altre vittorie, ori e primati nel 2010, a Londra nel 2012, praticamente ogni volta che il giamaicano prende parte a Giochi, Mondiali fino alle Olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro.
Negli anni sono arrivate anche illazioni sull’utilizzo di sostanze dopanti, ma Usain Bolt corre oltre ogni “limite umano” e persino oltre i suoi meriti sportivi.
Ha sorriso, ha danzato e ha pianto proprio come pochi mesi fa, quando Il 20 aprile Germaine Mason, oro olimpico nel salto in alto, anch’egli nato nell’isola caraibica e poi naturalizzato britannico, si schianta in moto nelle strade di Kingston, perdendo la vita a soli 34 anni.
L’atleta era amico fraterno di Bolt, che si precipita nel luogo dell’incidente e le lacrime sono incontrollabili e lo saranno durante i funerali e ancora per settimane, tanto che il quotidiano giamaicano The Gleaner lo descriverà «visibilmente devastato».
La finale di Londra non cancella neppure un istante della sua storia. Ha saputo cambiare il volto di un’ atletica, che se davvero non lo rivedrà correre non ne perde il solo talento, ma ne smarrisce il magnetismo, la dilagante gioia di un ragazzo che ha divertito ed esaltato il mondo intero, che lo ha amato e per la prima volta non diviso fra rivali, perché l’altro merito di Bolt, è stato quello di far dimenticare quanto lo sport, troppe volte sia lontano da stesso.
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