Traffico di Armi: La strada alternativa

Fotografia di Eric Lafforgue

 
La Seconda Guerra Mondiale si è vista succedere da quasi mezzo secolo, trascorso sull’orlo di un disastro nucleare e da anni segnati da continui conflitti che si sono spinti fino ai giorno nostri, aprendo a un’epoca di pace armata, in cui il commercio bellico è divenuto una tale fonte di profitto che per l’Italia, nel 2016 ha generato un guadagno di 14,6 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto all’anno precedente.

Un business che non si arresta davanti a quanto scritto nella Carta delle Nazioni e tantomeno, può prescindere da una moralità che altrimenti impedirebbe l’export verso paesi come l’Arabia Saudita, che insieme agli stati della coalizione, da anni porta avanti la guerra nello Yemen, un genocidio di cui è però responsabile tutta la comunità internazionale; continuando ad apporre interessi politico-economici ai diritti umani.

A Londra, da meno di un mese si è conclusa la più grande fiera internazionale di armi, con più di 1200 costruttori arrivati da tutto il mondo e che al pari di produttori enogastronomici, sotto i padiglioni hanno presentato la loro merce migliore e dietro agli slogan della “difesa” e della “sicurezza”, hanno così svelato armi e i mezzi bellici più sofisticati, chincaglieria che poi finisce in dote a bambini-soldato, impiegate per compiere scempi sopracitati o utilizzate per contrastare proteste, perseguire attivisti, politici, giornalisti e artisti come accaduto in Bahrein, dove la repressione esercitata dalla monarchia sunnita di Hamad bin Issa al-Khalifa, si è fatta sempre più violenta e soffocante verso la popolazione, cittadini a maggioranza sciita.

Per l’evento londinese, migliaia di dimostranti hanno tentato di osteggiare i preparativi della “Defence and Security Equipment International Exhibition”, unendo gruppi e campagne solitamente non collaboranti, ma che sotto l’organizzazione della rete Stop the Arms Fair, hanno trovato una causa comune nell’opposizione alla manifestazione. Evento simbolo di un commercio che non ha soluzioni e strade alternative, se non fosse per quella indicata e percorsa dalla Svezia.

Industrie come la Saab, sono l’avanguardia in settori come quello marittimo e aeronautico, e l’accordo fra Stoccolma e Riad, solo nel 2014 portò nelle casse svedesi circa 40 milioni di euro. Una partnership nata nel 2005, che dopo dieci anni si è però conclusa, la Svezia ha infatti deciso di interrompere i suoi rapporti commerciali legati alle armi, con lo stato wahabita.

La decisione è stata la diretta conseguenza dell’opportunità negata al ministro degli esteri svedese, Margot Wallstrom, di tenere il suo discorso durante una conferenza tenutasi al Cairo, parole che si sarebbero concentrate sui diritti umani e delle donne; argomenti evidentemente invisi a quella Lega Araba a guida saudita, riunitasi per l’occasione nella capitale egiziana.

Il rifiuto del petroldollaro da parte della Svezia – che non vive un conflitto nel proprio territorio da oltre due secoli – potrebbe essere a tutti gli effetti un primo e significativo passo per un cambiamento, tanto più che adesso, grazie all’accordo raggiunto dal governo di sinistra e i quattro partiti di centrodestra, è in procinto di varare il provvedimento per bloccare o limitare considerevolmente, il traffico di armi verso paesi con forme di governo non democratiche e che violano i diritti umani.

armi
Una strada che per adesso l’Italia preferisce non seguire, rifiutando anche la sola ipotesi di embargo verso l’Arabia Saudita per ciò che sta accadendo in Yemen. Secondo il rapporto annuale, delle migliaia di civili uccisi, 1184 sono bambini, vittime per le quali gli attacchi aerei della coalizione rappresentano «la causa principale», ma governo e Camera dei deputati preferiscono siano altri a farsi carico di tale decisione, così rinunciando al far dell’Italia, paese attivo e costruttivo per un’opposizione a tali politiche, ma anche per il solo far valere quanto scritto nella Costituzione.

Alle mozioni presentate da Sinistra Italiana, MDP e M5S, a fine settembre è passata infatti quella presentata da Lia Quartapelle Procopio (PD), dove – sorvolando sul fatto che altri paesi europei hanno già interrotto i rifornimenti dimostrandosi autonomi e propositivi in tal senso – si dichiara l’immediato adeguamento «alle prescrizioni o ai divieti che fossero adottati nell’ambito delle Nazioni Unite o dell’Unione europea». In sintesi, pur richiamando l’opinione europea, l’Italia attende che le venga imposto un’obbligo, praticamente sottraendosi dal prender una posizione, che rifletta una politica ed un pensiero secondo cui il valore dei diritti umani, va oltre i timori, gli interessi e non affonda nella consueta ipocrisia.
 
 
 
 

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