Navajo e Siuox, ancora a difesa della propria terra

Il Navajo Nation è un territorio che si estende tra l’Arizona, Utah e Nuovo Messico, occupando un’area di poco inferiore a 28mila mq, con una popolazione di circa 250mila persone che nel tempo, si è vista colpita da disturbi renali e tumori, causati delle contaminazioni nucleari delle miniere di uranio abbandonate.

L’uranio è un elemento naturale utilizzato per produrre energia (fornisce l’11% dell’elettricità mondiale), ma anche armi e bombe.
Durante gli anni della guerra fredda, la domanda aumentò significativamente, si calcola infatti che tra il 1944 e il 1986, nella Navajo Nation furono estratti qualcosa come 30 milioni di tonnellate di uranio, poi acquistato dal governo per la costruzione di ordigni nucleari.
Nel 1970 le riserve erano già pienamente sufficienti, cosicché nel 1980 le estrazioni cessarono del tutto, anche in virtù di leggi federali e concorrenza straniera.

Molti nativi impiegati nelle miniere si ammalarono già allora per la mancanza di ventilazione interna, altrettanto, varie forme di tumore e insufficienza renale colpirono anche persone che vivevano semplicemente nelle vicinanze.

Nel silenzio della stampa americana, il Centers for Disease Control ha riscontrato come a contrarre il cancro siano già i bambini e attraverso uno studio condotto da Maria Welch, ricercatrice presso il Southwest Information Information Center, su un campione di 599 persone risulta che il 27% ha livelli elevati di uranio nelle urine, contro il 5% della popolazione totale degli Stati Uniti.

Dal 2008 l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente ha estratto migliaia di metri cubi di rifiuti e nel 2014 il ricavato di 1 miliardo di dollari, conseguito da un contenzioso contro le aziende del gruppo Anadarko Petroleum Corp, l’ha utilizzato per la pulizia di 50 siti, mentre adesso i tagli al bilancio dell’amministrazione Trump, rischiano di mettere in difficoltà il lavoro di decontaminazione.

Sono ancora 471 le miniere abbandonate (160mila in tutti gli Stati Uniti occidentali) che continuano a emettere pericolosi livelli di radiazione, inquinando inevitabilmente terreni e falde acquifere, con effetti devastanti sulla salute di migliaia di persone.

Una situazione quella della Navajo Nation, che non ha avuto risonanza neppure per mezzo di petizioni e che adesso, Chip Thomas cerca di portare attenzione sul problema attraverso l’arte, un’opera di sensibilizzazione che possa aumentare la consapevolezza nelle persone, in modo che anche dall’opinione pubblica possano giungere le dovute pressioni perché il governo affronti adeguatamente la questione.

E’ un medico afro-americano ChipJetsonoramaThomas.
Nato nel Nord Carolina, dopo un’esperienza di due anni nelle squadre di primo soccorso in Liberia, nel 1987 ha firmato un contratto di lavoro nella Navajo Nation dove tutt’ora risiede, dividendo il suo tempo tra pazienti e talento artistico.

Inizia nel 2009 a creare istallazioni montante anche lungo il deserto e a realizzando murales d’impegno sociale.
In poco tempo il suo nome fa il giro del mondo e nel 2012, le sue opere diventano il Painted Desert Project, colorando e parlando alla Navajo Nation con un ritmo anche di tre o quattro nuove tele al mese.
Avvalendosi anche della collaborazione di street-artist locali e altri di fama internazionale, ha messo il suo progetto al servizio della piaga che sta affliggendo quella terra che lo adottò ormai trent’anni fa.

Navajo

Navajo

Navajo
Se da una parte i Navajo lottano contro l’uranio, i Sioux devono ancora vedersela con la DAPL, che già in aprile per un guasto ad una pompa ha registrato una fuoriuscita di 84 galloni di petrolio, circa 314 litri.

Negli ultimi due anni gli sversamenti di petrolio dagli oleodotti statunitensi sono stati quasi trecento, duecento solo nel 2016, ma il progetto del Dakota Access Pipeline rilanciato da Trump non si è fermato e così leggendari popoli come Sioux e Meskwaki sono chiamati a difendere la propria terra ancora una volta.

Lungo 1900 chilometri per una produzione prevista di circa 500 barili al giorno, la DAPL trasporterà oro nero dal Dakota all’Illinois e della sua costruzione si occupa la Energy Transfer Partners, compagnia energetica che ad oggi copre circa 115mila chilometri con gasdotti e oleodotti attraversando 36 Stati.

Il disegno originale prevedeva il passaggio sotto al fiume Missouri, ma il timore d’incidenti che avrebbero valso un disastro ambientale, ha reso necessaria una modifica del percorso, deviando quindi verso il lago Oahe, quarto serbatoio più grande degli Stati Uniti e situato nei pressi di Standing Rock, la riserva di nativi americani tra le più estese.

Un luogo dove si ipotizza vi siano almeno due possibili siti di sepoltura di Toro Seduto, ma che evidentemente per il governo americano e per la Energy Transfer Partners, è un territorio che ben si adatta ad ospitare eventuali tragedie, di poco valore e testimonianza ne è anche il fatto che la ETP non abbia neanche avvertito le autorità preposte, quando manufatti indiani sono stati rinvenuti durante gli scavi ad agosto scorso.

E’ stata tolta loro la terra, ne sono state ridicolizzate le tradizioni, è stata prima distorta e poi corrotta la coscienza storica a popoli, che in cambio di nulla hanno persino smarrito un idioma che ormai in pochi parlano e conoscono.

A finanziare il progetto molte holding di Wall Street, società energetiche e neanche a dirlo, una cordata di banche che vanno dai colossi americani come JPMorgan e Wells Fargo, fino a numerosi istituti europei tra cui l’olandese ING, la tedesca Deutsche Bank, le inglesi Barclays Compass e non manca una rappresentanza italiana con l’Intesa San Paolo.

Nonostante l’alto rischio di contaminazione delle acque potabili – motivo che spinse Obama a sospendere i lavori – è la Energy Transfer Partners a chiedere il risarcimento di almeno 300 milioni di dollari alle associazioni ambientaliste, ree secondo loro di aver provocato «danni a persone e proprietà lungo il percorso della pipeline».

Nella querela la ETP denuncia Greenpeace per frode e incitamento al terrorismo, respingendo le accuse di violenza contro i manifestanti e di danneggiamento dei luoghi sacri senza prima aver chiesto alla comunità Sioux, classificandole come «affermazioni false, allarmiste e sensazionalistiche».

Oltre al danno dunque, una beffa che se si concretizzasse come sperano quelli della compagnia, sarebbe il trionfo di una politica che i colossi industriali mettono in atto con sempre maggior frequenza, quella cioè di criminalizzare attivisti e associazioni ambientaliste, per far fronte ad un’opinione pubblica sempre più consapevole e sempre meno incline a sostenerli.

Una beffa che sovente, oltre a poter contare su ingenti quantità di denaro, gode anche del sostegno dei governi e forse anche stavolta, non è un caso che l’a.d. della Energy Transfer Partners, Kelcy Warren, abbia finanziato con 100mila dollari la campagna elettorale di Trump e neppure che a rappresentarla nella causa legale, sia lo studio Kasowitz Benson Torres fondato da Marc E. Kasowitz, avvocato personale del Presidente.

 

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