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Migrazioni: La mancanza di cibo è peggiore delle guerre

 
 
Il cibo, la risorsa che ci aiuta a vivere e ci fa stare bene, ciò che ci piace mangiare ed assaporare insieme ai nostri famigliari e ai nostri amici, è per noi quasi scontato, dato che ne abbiamo a disposizione tutti i giorni quanto ne desideriamo. In molti Paesi del mondo è per molte persone ancora un miraggio, qualcosa di prezioso ed irraggiungibile, che si deve conquistare ogni giorno con fatica e tanti sacrifici.

Soprattutto in Africa ed in Asia, la mancanza cronica di cibo affligge ancora un grandissimo numero di persone che, a stento, riescono a sopravvivere e molti ancora sono i bambini che perdono la vita a causa della malnutrizione. Gli elementi essenziali per la sopravvivenza li traiamo proprio da ciò che mangiamo ed è per questo che dovremmo assicurare a tutti una equa distribuzione di cibo ed acqua potabile; solo così potremo garantire a tutti una vita dignitosa.

Per mancanza di cibo ogni giorno migliaia di persone contraggono gravi malattie, muoiono a causa della carenza di sostanze nutritive fondamentali. Nelle zone più remote del pianeta sono in corso conflitti, epidemie, carestie, cercare cibo e acqua si trasforma in un lavoro enorme che nella maggior parte dei casi ricade sulle spalle delle donne, costrette a percorrere chilometri e chilometri di strade insicure, in alcuni casi anche infestate da mine antiuomo, per poter garantire quel minimo necessario utile alla sopravvivenza dei propri familiari.

Ecco che la mancanza cronica di cibo costringe i più poveri a cercare altrove una vita migliore, fatta di sicurezza e di abbondanza, della certezza che tutti i giorni ci sarà sempre qualcosa da mangiare e da bere. La carenza delle sostanze necessarie alla vita è ciò che davvero spinge le masse di poveri ad emigrare, ad andare lontano dalla loro terra natale in cerca di fortuna, traducibile in un pasto caldo e un tetto sulla testa.

Tra le masse che si spostano dal sud al nord del mondo ci sono migliaia di persone che non hanno mai conosciuto una casa in cui viga l’igiene e dotata di quegli oggetti che all’occidente appaiono più banali come frigoriferi e dispense contenenti alimenti freschi. Ognuna di quelle persone cerca disperatamente solo qualcosa da mangiare e sa bene che la propria terra natale non può offrire nessuno sbocco per il futuro, e a questo punto la migrazione diventa quasi una scelta obbligata. Nessuno vorrebbe mai abbandonare il paese in cui è nato e cresciuto, ma la fame, la carestia, l’insicurezza, la povertà sono più forti di ogni volontà, della voglia di restare, di tentare ed è per questo che si arriva a decidere di lasciare tutto rischiando l’ignoto.

Le cifre più recenti riguardanti la povertà e la carenza di cibo nel mondo sono ancora alti, troppo, e devono essere monito per la politica mondiale affinché si rifletta sul futuro delle strategie agricole, dato che da sempre questa la sopravvivenza dei popoli è a queste indissolubilmente legata. Un nuovo approccio all’agricoltura può essere le chiave di volta per migliorare la distribuzione del cibo nel mondo e fare sì che tutti possano avere accesso almeno al minimo necessario per vivere bene e rimanere in salute. Cultura e lotta agli sprechi alimentari sono due temi che dovrebbero essere sempre ai primi posti nell’agenda politica, in quanto combattere gli sprechi e migliorare le tecniche agricole va a vantaggio di tutti, sia dei Paesi ricchi, inquinando meno di quanto non stanno facendo al momento, sia di quelli poveri, i quali potrebbero così andare verso uno sviluppo reale e dare benessere al proprio territorio.

 

Cibo e migrazioni

Cibo e migrazioniL’insicurezza alimentare incide sulle migrazioni più di quanto possano fare guerre e terrorismo, la cronica mancanza di cibo, il non sapere se e quando sarà possibile avere un pasto, a lungo andare è la molla che spinge a lasciare tutto per cercare condizioni di vita più accettabili e dignitose. I responsabili del World Food Programme, il Programma Alimentare Mondiale, hanno spiegato: “La migrazione è un fenomeno dovuto in buona parte all’insicurezza alimentare, più che alle guerre. Contrariamente al sentire comune, infatti, uno Stato con crescenti livelli di insicurezza alimentare e di conflitti sperimenterà una maggiore emigrazione in uscita o movimenti di persone che abbandonano la propria casa.”

Le percentuali di chi lascia la propria terra natale per mancanza di cibo e di chi invece lo fa per guerre e il pericolo di attentati terroristici, parlano da sole ed ancora i responsabili del World Food Programme, affermano che bastano a comprendere tutta l’urgenza di garantire a tutti il cibo almeno nella quantità minima per una vita sana, evitando complicazioni dovute a carenze. Secondo le ultime percentuali note, dati già di per sé significativi, ogni punto percentuale di aumento dell’insicurezza alimentare costringe “l’1,9% della popolazione (per mille abitanti) a migrare, mentre un ulteriore 0,4% (per mille abitanti) fugge per ogni anno di guerra”.

L’emergenza cibo è strettamente collegata ai cambiamenti climatici, dato che i fenomeni meteorologici estremi, le improvvise ondate di caldo o di freddo, riducono la fertilità dei terreni agricoli e anche le loro dimensioni.
Il land grabbing, l’inquinamento della terra e delle falde acquifere sotterranee stanno riducendo la capacità del nostro pianeta di sostenere l’agricoltura così come l’abbiamo conosciuta fino ad ora ed ecco che inizia un circolo vizioso difficile da spezzare: meno terreni agricoli, meno cibo, più persone affamate che scappano in cerca diquella sicurezza alimentare che viene loro negata nella terra d’origine.

L’agricoltura sostenibile, biologica e biodinamica, rispettosa dei tempi della natura e della stagionalità di frutta e verdura potrebbe essere la chiave di volta per mettere fine allo spreco di cibo ed anche a tutte le emissioni nocive che derivano dalle colture e dagli allevamenti intensivi.

Se si puntasse su un’agricoltura sostenibile a livello globale, infatti, si potrebbe avere un’arma efficace per combattere il cambiamento climatico (oggi l’agricoltura produce il 24% dei gas a effetto serra: più dell’industria, che si ferma al 21%, e dei trasporti, 14%). Certamente fa comodo trovare in qualsiasi stagione la nostra frutta e la nostra verdura preferite, ma rispettare la stagionalità vuole dire voler bene al nostro bel pianeta azzurro, evitare emissioni dovute al trasporto da molto lontano dei prodotti e recuperare il giusto rapporto con la natura.

Agricoltura sostenibile e stagionalità potrebbero essere le nostre uniche armi a disposizione per garantire a tutti cibo di qualità, mettendo fine a quel fenomeno terribile che è lo spreco di cibi che potrebbero ancora essere consumati. Il legame tra denutrizione e migrazioni potrà essere così finalmente spezzato, anche se è chiaro che per riequilibrare la situazione, ci vorranno molti anni e tante ancora saranno le vittime di gravi carenze alimentari.
 
 
 
 

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