“La morte ti fa bella”, le armi Made in Italy
L’articolo 11 della Costituzione, dichiara che l’Italia «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Evidentemente non ripudia affatto il beneficio economico che le guerre generano attraverso la produzione e l’esportazione di armi.
Il business delle armi, gode infatti di ottima salute e ad annunciarlo è la relazione del Ministero degli Affari Esteri, trasmessa alla Presidenza del Consiglio il 18 aprile del 2017.
Il rapporto presentato dalla Sottosegretaria di Stato Maria Elena Boschi, dichiara non senza comprensibile baldanza, che «L’Italia e’ riuscita ad uscire dalla crisi del settore, iniziata dopo il picco del 2011» piazzandosi «terza per numero di Paesi di destinazione delle vendite» e «fra i primi 10 per valore delle esportazioni».
Qualcosa di cui andar fieri, soprattutto osservando i paesi acquirenti.
Secondo la legge n.185 del 1990 «l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento» sono vietati quando sono in contrasto «con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo» e altrettanto quando sono «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite» e ancora verso paesi «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani».
Nella tabella integrata nel rapporto del Ministero degli Affari Esteri, ben si nota che l’Italia invia le proprie armi a paesi dove è presente la pena di morte, dove la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno, paesi sui i quali incombono forti dubbi circa approvvigionamenti e sostegno all’Isis.
Non solo Trump quindi a coprire di armi l’Arabia Saudita per un affare da 110 miliardi di dollari.
I 7,7 miliardi del primo in classifica Kuwait, sono costituiti quasi esclusivamente da 28 caccia multiruolo, gli Eurofighter Typhoon prodotti dall’Alenia di Torino, mentre un carico di quasi 20mila bombe prodotte dalla bresciana RWM, pare sia stato recapitato all’Arabia Saudita, solo sesta in classifica.
Kuwait e sauditi, fino a pochi giorni fa insieme al Qatar, altro nostro acquirente, fanno parte della coalizione che dal 2015 è impegnata nel conflitto in Yemen e sebbene in guerra i numeri non valgano mai nulla, solo tra i civili le morti sono più di 4000 e secondo le stime, oltre 19 milioni gli yemeniti in condizione di assoluta necessità, un intero popolo la cui sopravvivenza è ormai nelle mani dell’assistenza umanitaria.
Una guerra che ha visto arrivare anche la condanna dell’ONU, per la continua violazione dei diritti umani.
Ma come fermare un flusso di armi che il Governo informa orgogliosamente essere raddoppiato rispetto al 2015?
Un giro d’affari che coinvolge ovviamente anche le banche, istituti che non hanno più l’obbligo di richiedere autorizzazione per trasferimenti inerenti agli armamenti, ma che devono darne “segnalazione” al Ministero dell’Economia.
Registrando un continuo aumento, nel 2016 sono state 14.134 le segnalazioni, delle quali non viene più fornito il dettaglio, che fino al 2007 permetteva di visionare l’intera operazione bancaria.
La guerra si conferma essere la grande bugia dove il sangue porta denaro, dove pace, democrazia, religione, sono parole gettate come dadi nel tavolo dove per solo interesse economico, si gioca con la testa di donne, uomini e di quei bambini, oggi sbattuti in fotografia e domani dimenticati nell’ipocrisia politica.
Comunque sia, con un po’ di impegno e fortuna, l’Italia potrebbe riuscire a far ancora meglio negli anni a venire, magari tornando a vivere un nuovo e grande…boom economico.
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