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Amnesty International: Il mondo tra odio e speranza

Rapporto 2017-2018

 
 
«L’amore può vincere sull’odio». E’ la scritta che chiude la presentazione del Rapporto 2017-2018 di Amnesty International. Parole di speranza in netta contrapposizione con l’immagine di un pianeta assetato di violenza, alle soglie di una delle epoche più buie della storia. Il documento esamina la situazione di 159 paesi, tra cui anche l’Italia e dalle oltre 500 pagine, emerge una realtà in cui la vita, i diritti umani, sono costantemente violentati. Genocidi, repressioni, soprusi, discriminazione, conflitti che hanno messo in ginocchio intere popolazioni, molti dei quali affrontati in modo inadeguato, quando non dimenticati dalle politiche globali, così come dai mezzi di informazione.
 

Lo sterminio dei Rohingya

Il Rapporto apre ricordando quanto accade in Myanmar, paese fino all’88 conosciuto come Birmania, in cui la persecuzione che va avanti da anni nei confronti dei Rohingya, minoranza etnica di fede musulmana, è sfociata in una vera e propria pulizia etnica che ha costretto alla fuga in Bangladesh oltre 650mila persone, di cui più del 50% sono bambini. Centinaia di morti per un esodo che sta mettendo sempre più a dura prova il sistema dei campi d’accoglienza. L’acqua ed il cibo scarseggiano, l’igiene viene meno e migliaia di famiglie sono obbligate a dormire all’aperto per assenza di tende; costruite in plastica e bambù per una totale assenza di sicurezza e secondo le stime, in questi stessi campi nel nuovo anno nasceranno circa 50mila bambini e solo pochi di loro potranno avvalersi di strutture sanitarie, la maggior parte sarà esposta a malnutrizione, malattie come morbillo, colera, difterite e la loro vita sarà a rischio fin dal primo giorno.

Genocidio del quale oggi è ritenuta responsabile persino Aung San Suu Kyi, l’attuale ministra degli affari esteri birmano che da sempre si è battuta a difesa dei diritti umani, subendo in prima persona le angherie messe in atto dal regime militare, tanto che nel 1991 le fu riconosciuto il Nobel per la Pace. Già ampiamente criticata dagli attivisti, ad accusarla ulteriormente di un silenzio che avrebbe permesso l’offensiva militare, sono l’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, l’attivista britannica Mairead Maguire e la giornalista yemenita Tawakkol Karman, anche loro insignite dello stesso premio. Dopo essersi recate in un campo profughi ed aver ascoltato i racconti dei rifugiati, le donne hanno fatto appello perché Aung San Suu Kyi venga giudicata dalla Corte internazionale, un macigno che arriva a pochi mesi dal discorso che la ministra ha tenuto a Naypyitaw, in cui affermava che il governo era pronto a riportare stabilità e garantire il rientro dei fuggitivi.

Nel Rapporto di Amnesty International, quella dei Rohingya è monito e simbolo di una violenza scaturita da una discriminazione perpetrata nel tempo e se è vero che si è inasprita lo scorso agosto, il documento fa notare che «la tendenza di leader e politici a demonizzare interi gruppi sulla base della loro identità ha attraversato tutto il pianeta. Il 2017 ci ha mostrato ancora una volta cosa accade quando le politiche di demonizzazione diventano la tendenza dominante, con pessime conseguenze per i diritti umani».
 

Amnesty International su Americhe e Africa

In questo senso la relazione non manca di criticare Donald Trump tanto per l’uso delle parole, quanto per i fatti ed espressamente citati sono il Muslim Ban, decreto poi rielaborato e ribattezzato Enemy Ban, con il quale si vieta l’ingresso a cittadini provenienti da Ciad, Corea del Nord, Iran, Libia, Siria, Somalia, Venezuela e Yemen ed altrettanto, è biasimata la volontà di costruire lungo il confine meridionale quel muro «impenetrabile, alto, imponente e bello», come lo definì il Presidente, separando Stati Uniti dal Messico in un’America dove disuguaglianza, discriminazione e violenza dilagano da nord a sud, anche coadiuvate da politiche e leggi concentrate a reprimere critica e dissenso, piuttosto che favorire il progresso nei diritti, provocando divisione, lasciando campo alla corruzione e sottacendo su episodi di maltrattamenti e tortura.

Solo in Messico nel 2017 sono stati quasi 30mila gli omicidi e nel 98% dei casi sono rimasti impuniti. Lo stesso accade in Venezuela, El Salvador, Honduras, Guatemala, Paesi dove non si contano le ondate di attacchi contro giornalisti ed attivisti, sparizioni ed uccisioni sono una piaga decennale, ma dove non sono mancate e non mancano neppure persecuzioni, abusi e violenze nei confronti delle popolazioni indigene ed il Rapporto, ricorda come l’ex presidente peruviano Alberto Fujimori, mandante di omicidi, rapimenti, torture e sterilizzazioni, abbia potuto avvalersi della grazia concessa da Pedro Pablo Kuczynski nel dicembre 2017, sintomo che anche in Perù non vi sia una reale volontà di riconoscere, tutelare e rispettare i diritti umani.

Repressione e libertà negata è quanto vive anche l’Africa, continente da sempre afflitto da guerre e non meno angosciato da carestie e povertà, disastri per i quali la politica internazionale si è mostrata fallimentare quando non indifferente, nonostante le responsabilità si estendano da Est a Ovest. In Nazioni come in Angola, Cameroon, Ciad, Etiopia, Sudan, Uganda, Zambia sono state fatte leggi usando come pretesto l’ordine pubblico per colpire la libertà di espressione, le autorità hanno impedito l’organizzazione di riunioni, associazioni, manifestazioni pacifiche e dove queste si sono invece svolte, la polizia si è resa protagonista di abusi, brutalità ed in alcuni casi, benché i cortei fossero non violenti, ha fatto ricorso alle armi aprendo il fuoco sulla gente pur di sedare le proteste.

Conoscenza e dissenso sono da sempre ciò che politici e governi autoritari temono e combattono con ogni mezzo e come nel resto del mondo, anche in Africa vengono arbitrariamente arrestati giornalisti, difensori dei diritti, blogger, sindacalisti, insegnanti che nelle migliore delle ipotesi finiscono coll’essere processati davanti a tribunali militari per poi essere trattenuti in carcere senza alcuna motivazione plausibile se non quella di mettere a tacere critiche e verità scomode.

Anche in Egitto le cose non cambiano e a proposito Amnesty International non dimentica di rimarcare la propria insoddisfazione circa quanto fatto sino ad oggi per conoscere un’altra verità, quella cioè sulla tragica fine di Giulio Regeni. La collaborazione con le autorità, dopo più di due anni e «a circa sei mesi dalla decisione di rimandare il nostro ambasciatore al Cairo – sottolinea l’organizzazione – è ancora del tutto insufficiente».

Non mancano piccoli e grandi segnali di miglioramento, sia per quanto riguarda la riduzione della povertà, sia per i progressi fatti a tutela dei diritti umani, in alcuni Paesi africani e tra questi, sono menzionati il Gambia, con la sua decisione di far un passo indietro e non uscire dalla Corte Penale Internazionale. In particolare viene ricordata la sentenza dell’Alta Corte del Kenya, che ha annullato lo smantellamento del gigantesco campo profughi di Dadaab, all’interno del quale sono ospitati circa 350mila persone fuggite da carestie e guerre.
 

Medio Oriente, commercio di armi e rifugiati

Non poteva mancare l’analisi di Amnesty International sul Medio Oriente, dove allo sfruttamento dei lavoratori, alla pena di morte, alla persecuzione dei bahai’i, sciiti, yazidi e cristiani si uniscono l’espansione israeliana nei territori palestinesi ed i vari conflitti, «alimentati dal commercio internazionale di armi, continuano ad avere effetti devastanti sui civili, spesso secondo un piano prestabilito». Iraq, Libia, Siria, guerre in cui hanno perso la vita migliaia di civili e dove forze di governo ed alleati hanno commesso violazioni del diritto internazionale, anche facendo uso di armi chimiche e munizioni a grappolo e lo stesso è accaduto in Yemen, dove in questo momento, si sta consumando la più grave crisi umanitaria dell’intero pianeta. Un paese completamente devastato, raid arei della coalizione a guida saudita hanno colpito scuole, mercati, addirittura cortei funebri, distrutto servizi idrici e sanitari, mettendo la vita di milioni di persone esclusivamente nelle mani degli aiuti umanitari, resi ancor più difficoltosi dal blocco delle merci: cibo, carburante e farmaci, mentre è in atto «la più grave epidemia di colera mai registrata in epoca moderna».
 

Europa ed Italia

Intere popolazioni sono costrette a lasciare i propri territori per sopravvivere a fame e guerre, una crisi definita globale e che secondo Amnesty International, «i leader dei paesi ricchi hanno continuato ad affrontare con una miscela di elusione e totale insensibilità, riferendosi ai rifugiati non come a esseri umani ma come a problemi da evitare».
Dal già citato Muslim Ban, considerato come un decreto prettamente dettato dall’odio, il libro prende di mira anche le politiche adottate dalla maggior parte dei governi europei «riluttante ad affrontare la grande sfida di disciplinare la migrazione in modo sicuro e legale e ha deciso che, in pratica, niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani dalle coste del continente. Le conseguenze inevitabili di questo approccio sono state evidenti negli scioccanti abusi subiti dai rifugiati in Libia, con la piena consapevolezza dei leader europei».

E’ chiaro quindi il riferimento a quanto fatto anche dall’Italia, ovvero l’aver avviato una collaborazione con il governo libico ed al contempo, con protagonisti non statali, allo scopo di limitare l’afflusso irregolare, di fatto, facendo sì che rifugiati e migranti siano trattenuti in centri di detenzione dove continuano a verificarsi episodi di abusi e violenze.

In verità, è un’intesa aspramente criticata anche dalle Nazioni Unite, in particolare dall’Alto Commissario per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che lo scorso novembre definì i rimpatri nel Paese Nordafricano, il cui «sistema di detenzione dei migranti è irrecuperabile», un «oltraggio alla coscienza umana», aggiungendo come la comunità internazionale non possa «continuare a chiudere gli occhi di fronte agli orrori inimmaginabili che subiscono i migranti in Libia, fingendo che la situazione possa essere rimediata attraverso il miglioramento delle condizioni della loro detenzione».

Italia, che nel Rapporto torna ad essere incalzata anche sul reato di tortura, facendo anche riferimento al caso di Stefano Cucchi, il giovane deceduto il 22 ottobre nel 2009, mentre si trovava in custodia cautelare a Regina Coeli. La storia è ormai tristemente nota. Durante una perquisizione il giovane viene trovato in possesso di stupefacenti, tradotto in carcere è processato per direttissima. Il giorno dopo raggiunge l’aula del tribunale mostrando evidenti ematomi, la voce è debole e ha difficoltà a rispondere alle domande del pm. Viene fissata una seconda udienza e confermata la custodia, ma le condizioni di salute di Cucchi peggiorano rapidamente. Sottoposto a visita medica, sono state refertate fratture, ecchimosi ed un’emorragia. Si spense a 31 anni, dopo appena sei giorni dal fermo.

Dopo circa quattro anni di rinvii, dibattiti e variazioni, il reato di tortura è stato finalmente introdotto nel codice penale il 5 luglio 2017, ma il testo della legge è lontano dall’essere considerato soddisfacente, tanto che ancora l’ONU ha lo ha espressamente criticato, definendolo incompleto e soprattutto strutturato in modo da lasciar «spazi reali o potenziali per l’impunità», invitando quindi a modificarlo portandolo in linea all’art.1 della Convenzione «eliminando tutti gli elementi superflui e identificando l’autore e i fattori motivanti o le ragioni per l’uso della tortura».

Amnesty InternationalE’ pressoché impossibile riassumere adeguatamente il Rapporto di Amnesty International, il libro esplora ed approfondisce, facendo nomi e cognomi, ogni tematica del nostro tempo: i diritti delle donne, il terrorismo, il controllo dell’informazione e la conseguente manipolazione dell’opinione pubblica, l’impatto delle politiche di austerità e come queste abbiano intaccato i diritti sociali, economici, limitando la possibilità di accedere al servizio sanitario anch’esso indebolito.
 
Quello che ne esce è un mondo avido, meschino, accecato dal pregiudizio e intriso d’odio. Non c’è pagina che non contenga e non ripeta all’infinito termini quali violenza, razzismo, emarginazione, repressione, che non racconti una realtà tanto insopportabile quanto inconcepibile per chi è distante dal viverla. Gli occhi si abituano a tutto e poco alla volta più niente tocca lo stomaco. Immersi nell’egoismo, nell’indifferenza e lontani da quell’empatia e speranza che nonostante tutto, quelle stesse pagine custodiscono con forza e che continuano a spingere Amnesty International, così come altre organizzazioni e una moltitudine di persone, a credere fermamente nell’essere umano e nel cambiamento, muovendosi perché questo avvenga.

«Sotto i nostri occhi si fa la storia: numeri sempre maggiori di persone si attivano per chiedere giustizia. Se i leader non riconosceranno i motivi che spingono le loro popolazioni a protestare, sarà la loro rovina. Le persone hanno reso abbondantemente chiaro che vogliono i diritti umani: sta ai governi mostrare di saperle ascoltare.»
Salil Shetty

 
 
 
 

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