Africa: Il giogo francese e una emigrazione da fermare
L’immigrazione è ormai da tempo un tema centrale del dibattito politico e a parte rare iniziative di singoli, i governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno saputo trovare soluzioni concrete, sia a livello umano, sia organizzativo. Il fenomeno è andato trasformandosi in motivo di scontro ideologico e culturale, inasprendo un clima già di per sé teso a causa di una crisi che, nonostante la crescita occupazionale, nei passati 12 mesi ha fatto registrare un aumento della povertà assoluta e relativa, colpendo tanto le famiglie italiane, quanto quelle straniere.
E’ andato esacerbandosi anche l’impalpabile dialogo fra i governi europei, recentemente l’Italia è stata criticata più volte e le osservazioni più dure sono giunte da Palais de l’Élysée, quando a seguito della vicenda Acquarius, Gabriel Attal, portavoce del partito di maggioranza La République En Marche, ha definito la linea condotta sui migranti «vomitevole» e a fargli eco il Presidente Macron in persona, parlando di «cinismo e irresponsabilità». La risposta non si è fatta attendere. Insulti e polemiche già viste e poi tornate, ma nel frattempo, il risultato è un mero e continuo tergiversare sulla sorte di esseri umani.
A fine settembre però, proprio Parigi sembra che sarà oggetto di una manifestazione che avrà Roma come teatro, quando in segno di protesta, un corteo di africani sfilerà davanti all’ambasciata francese. A guidarli, Mohamed Konaré, attivista ivoriano e leader del nascente Movimento Panafricanista, che ha come obiettivo, quello di mostrare come la Francia stia esercitando una forma di controllo su molte Nazioni africane, ex colonie, che a quanto pare hanno raggiunto l’indipendenza solo in linea teorica.Indubbiamente, finché la situazione non sarà affrontata analizzando il problema alla radice, questo non potrà mai essere risolto, per cui, il primo passo dovrebbe essere quello di intendere l’immigrazione, anzitutto come un fatto strutturale e planetario, dopodiché, guardare all’Africa, capire cosa accade e cosa spinge migliaia di giovani donne e uomini a lasciare il proprio Paese per avventurarsi in un viaggio mortificante, nel corpo e nella mente, senza prospettiva alcuna, nemmeno quella di giungere a destinazione.
Konaré divulga le sua verità già da tempo, aiutandosi anche per mezzo della rete e in modo particolare, ha suscitato attenzione la lunga intervista rilasciata in esclusiva a Byoblu. Un video in cui racconta la sua terra, espone le ragioni che lo hanno indotto a fondare un movimento e non ultimo, illustra e offre risposte su quanto succede nel Mediterraneo, esortando l’Italia ad impedire gli sbarchi dei migranti.
La denuncia è diretta. L’Africa, da sempre afflitta da guerre e carestie, è altrettanto saccheggiata delle tante materie di cui abbonda. Ricchezze quali caffè, cacao, arachidi, banane, fino ad arrivare a oro, gas, uranio, petrolio, cobalto. Utilizzato da colossi dell’elettronica e dell’informatica per le batterie di computer, smartphone e tablet, insieme ad altri metalli come il litio, in virtù del definitivo sopravvento dell’auto elettrica, per il cobalto la domanda è cresciuta a dismisura e i costi, sono più che triplicati nell’arco di un paio d’anni, dando il via ad una corsa per l’approvvigionamento.
L’ombra dell’occidente
Nel corso della storia i governi occidentali hanno sostenuto e intrattenuto affari con tirannie locali, hanno agito anche tramite i servizi segreti affinché salissero al potere determinati (e comodi) personaggi. Ai danni di Patrice Lumumba, Nel 1960, Mobutu Sese Seko, divenne spietato dittatore della Repubblica Democratica del Congo, anche grazie all’intervento di Belgio e dell’agenzia di spionaggio civile del governo federale degli Stati Uniti d’America. Sulla morte di Thomas Sankara, ex presidente del Burkina Faso e figura tra le più significative della realtà africana, c’è ancora la mano di U.S.A. e Francia, contro la quale egli si era scagliò più volte.
“Le masse popolari in Europa, non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa, sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune.”
Thomas Sankara
Nell’ultimo mezzo secolo in tutto il continente si sono verificati quasi 70 colpi di Stato, la maggior parte dei quali avvenuti nelle ex colonie francesi. Ovviamente questo non implica che vi siano state interferenze o che il problema dell’Africa sia la Francia, ma Konaré, non è l’unico a sostenere che Parigi continui a mantenere la sua egemonia su molti di quelli un tempo erano possedimenti; 14 Paesi con una popolazione complessiva di circa 150 milioni di persone e che in comune fra loro, hanno la moneta circolante, il famigerato franco CFA (FCFA), il cui acronimo originariamente significava ‘Colonie Francesi d’Africa’, trasformato nel ’58 in ‘Comunità Finanziaria Africana’.
La zona franco è divisa in due sottogruppi: ‘Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale’ (UEMOA), composta da Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. A questa si aggiunge la ‘Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale’ (CEMAC) formata da Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo.
Le aree vanno inoltre a distinguersi in ulteriori due istituti di emissione: la ‘Banque centrale des États de l’Afrique de l’Ouest’ (BCEAO) per l’Africa occidentale e la ‘Banque des États de l’Afrique centrale’ (BEAC) per l’Africa centrale. Nonostante abbiano lo stesso tasso di cambio con l’euro (1€ = 655.957 XOF = 655.957 XAF), le rispettive monete non sono fra loro interscambiabili.
Il giogo del franco CFA
E’ una vicenda nota e controversa.
Il franco CFA fu introdotto il 26 dicembre del 1945, a seguito degli accordi stabiliti durante la Conferenza di Bretton Woods, nel New Hampshire, convegno a cui presero parte i delegati di tutte le Nazioni alleate contro il Patto tripartito, inclusa l’Unione Sovietica, per creare un nuovo sistema monetario internazionale.
L’esigenza era di evitare il ripetersi di una guerra valutaria, quindi facilitare la cooperazione fra le economie dei diversi Paesi ed il compito era perciò quello di creare le condizioni per una stabilizzazione dei tassi di cambio, a un valore fisso rispetto al dollaro americano, designato valuta di riferimento e unica convertibile in oro, eliminando al contempo gli squilibri nelle singole bilance dei pagamenti. Questo portò alla fondazione di due istituzioni tutt’oggi esistenti, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca internazionale di ricostruzione e sviluppo.
Tale sistema, entrò in vigore il 27 dicembre del 1945 e rimase fino al 1971, ma quando la Francia ratificò gli accordi di Bretton Woods, allo scopo di applicare un tasso di cambio fisso con il dollaro, subì una svalutazione. Motivando l’iniziativa come un modo per non far pesare eccessivamente la nuova situazione alle colonie e rendere più agevoli le importazioni dall’Hexagone, fu coniato il franco CFA e per i territori d’oltremare il CFP, ‘Colonie francesi del Pacifico’ e poi ‘Comunità finanziaria del Pacifico’.
L’allora ministro delle finanze, René Pleven, sottolineò la magnanimità del gesto con le seguenti parole: «In una dimostrazione della sua generosità e del suo altruismo, la Francia metropolitana non desiderò imporre alle sue lontane figlie le conseguenze delle sue mancanze, quindi decise di porre fin da subito cambi diversi per la loro moneta.»
Creazione del FCFA | 26 dicembre 1945 | 1 FCFA = 1,70 FF |
Svalutazione del franco francese (FF) | 17 ottobre 1948 | 1 FCFA = 2,00 FF |
Istituzione del nuovo franco francese | 1 gennaio 1960 | 1 FCFA = 0,02 FF |
Svalutazione del FCFA | 12 gennaio 1994 | 1 FCFA = 0,01 FF |
Fissaggio del FCFA all’euro | 1 gennaio 1999 | 655.957 FCFA = 1 euro |
Fin dal primo momento il franco CFA è stato ampiamente criticato e considerato come una delle principali cause di una mancata ripresa e sviluppo dei territori, quando non di un’epopea coloniale mai terminata.
La gestione della moneta spetta tutt’ora alla Francia e si basa sui seguenti fondamenti:
• Il Tesoro francese garantisce la convertibilità illimitata del FCFA in euro e ha il potere di determinare quanti ne devono essere stampati.
• La trasferibilità delle riserve è libera.
• Il franco CFA fu creato con un tasso di parità alla valuta francese, quindi al franco e poi all’euro.
• Per assicurarne la stabilità, le riserve di cambio dei 14 Paesi sono centralizzate nelle due banche BCEAO e BEAC, ma vige l’obbligo di depositarne la metà sul cosiddetto ‘conto d’operazioni’ della Banca di Francia gestito dal Tesoro francese.
In pratica, nel momento in cui il Senegal esporta i suoi prodotti all’estero incassando in euro o dollari (il franco CFA non è riconosciuto fuori dai confini) un valore di 100mila, deve trasferirne 50mila nella Banca centrale francese. Originariamente la quota corrispondeva all’intero guadagno, in seguito scese al 75% e dal 2005, fu abbassata all’attuale 50%.
Un tale meccanismo priva le Nazioni interessate di qualsiasi sovranità sulla moneta, rivelandosi dannoso per la loro economia, mentre allo stesso tempo, permette alle imprese e al governo d’oltralpe d’investire senza rischiare di andare incontro a deprezzamenti, usufruire delle materie prime senza perdere denaro in cambi e importare prodotti e ricavi senza ostacoli. Stando al 2014, sembra che l’ammontare delle riserve depositate sul ‘conto’ fosse di 10 miliardi di euro ed è sempre la Francia a trarre profitto dagli interessi.
Mohamed Konaré, sostiene che l’Eliseo mantenga il controllo anche sul restante capitale, decidendo se e come investirlo per eventuali progetti di sviluppo ed inoltre, ricorda come la Francia, secondo i patti coloniali, abbia il monopolio di tutte risorse naturali delle ex colonie, un diritto di prelazione, e solo dietro manifesto disinteresse, si crea l’eventualità che i governi africani possano trattare con un altro compratore.
C’è da chiedersi quale possa essere il motivo che trattiene questi Paesi dal liberarsi del giogo del franco CFA e l’ivoriano, ammettendo l’ovvia esistenza della corruzione, non ha dubbi: «Qualsiasi capo di Stato africano, ha tentato di far uscire il suo Paese da questo sistema, è stato ammazzato dalla Francia.»
Nel 2011, con a capo Sarkozy, quest’ultima fu motrice dell’improvviso attacco a Gheddafi e tra le ragioni, sembra ci fosse anche il fatto che il colonnello libico, aveva tutte le intenzioni di sostituire il franco CFA con una moneta panafricana. Retroscena trapelato da una delle migliaia di email pubblicate, su ordine di un tribunale, dal Dipartimento di Stato americano il 31 dicembre 2015. Quella in questione è stata inviata il 2 aprile 2011, dal funzionario Sidney Blumenthal alla allora segretaria di stato Hillary Clinton, che in oggetto porta scritto: ‘France’s client & Qaddafi’s gold’
“Il 2 aprile 2011 fonti con accesso a consulenti di Salt al-Islam Gheddafi hanno dichiarato con la massima riservatezza che mentre il congelamento dei conti bancari esteri della Libia presenta gravi problemi a Muammar Gheddafi, la sua capacità di dotare e mantenere le sue forze armate e servizi segreti rimane intatta. Secondo le informazioni sensibili a disposizione di questi individui, il governo di Gheddafi detiene 143 tonnellate di oro e una quantità simile di argento. Durante la fine di marzo 2011 questi stock sono stati spostati in SABHA (sud-ovest in direzione del confine libico con il Niger e il Ciad); prelevati dai caveau della Banca centrale libica a Tripoli.
Questo oro è stato accumulato prima dell’attuale ribellione e doveva essere utilizzato per stabilire una moneta panafricana basata sul Dinaro d’oro libico. Questo piano è stato progettato per fornire ai Paesi africani francofoni un’alternativa al franco francese (CFA).
(Fonte Commento: Secondo persone esperte questa quantità di oro e argento ammonta a più di $ 7 miliardi. Gli agenti dell’intelligence francese hanno scoperto questo piano poco dopo l’inizio della ribellione attuale, e questo è stato uno dei fattori che ha influenzato la decisione del presidente Nicolas Sarkozy di impegnare la Francia nell’attacco contro la Libia: Secondo questi individui i piani di Sarkozy sono dettati dalle seguenti ragioni:
a. Il desiderio di ottenere una maggiore quota della produzione petrolifera della Libia,
b. Aumentare l’influenza francese nel Nord Africa,
c. Rafforzare la sua situazione di politica interna in Francia,
d. Fornire alle forze armate francesi l’opportunità di riaffermare la propria posizione nel mondo,
e. Affrontare la preoccupazione dei suoi consiglieri sui piani a lungo termine di Gheddafi di soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa francofona)”
Africa: Le ragioni di un’emigrazione da fermare
Oltre a sopracitati Sankara e Lumumba, l’attivista ricorda proprio Gheddafi e piani di sviluppo che era in procinto di fare e alla memoria, prevedendo una vicina rivoluzione, riporta quanto accaduto in Costa d’Avorio a Laurent Gbagbo, professore universitario di storia che, divenuto Presidente con le elezioni del 2000, subì un tentato colpo di Stato due anni dopo. La versione francese dei fatti, parlò di soldati ribelli che volevano prendere possesso delle città di Abidjan, Bouaké e Korhogo. Secondo il governo e alcuni giornalisti francesi, a compiere l’attacco furono mercenari al soldo di Parigi con l’obiettivo di sovvertire un potere politico che tra i piani, aveva quello di ottenere una maggiore autonomia ed indipendenza del paese.
Dopo un lungo periodo di violenti scontri, con l’esercito e parte di popolazione da un lato, forze di opposizione e soldati francesi dall’altro, nel 2011 Gbagbo fu arrestato e successivamente consegnato alla Corte penale internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità.
Per Konaré, affinché il problema africano sia risolto, è necessario che il continente si sganci dalla Francia. «Finché gli africani non potranno avere una propria politica non potranno avere una propria economia, rimarremo sempre delle colonie.» E conclude affermando che «gli africani vivono in Paesi di proprietà dei francesi. Mentre agli africani, la Francia di Macron lascia solo le briciole. E spesso neppure quelle: soltanto miseria»
Tale miseria è la ragione fa scappare i giovani altrove e con la scomparsa di Gheddafi, trovano nella Libia guidata dalle tribù, una una porta aperta, «svuotando l’Africa della sua forza viva». Giovani che in Europa «non avranno futuro», ai quali non sarà dato asilo e saranno quindi «buttati per strada, senza nessun mezzo, parlando male l’italiano, senza conoscere la cultura occidentale».
Si commuove riflettendo sulle violenze che donne e uomini subiscono nel cammino, quando giungono nei paesi arabi, dove sono trattati «peggio degli schiavi». La verità dell’ivoriano continua negando fermamente anche la possibilità che gli emigranti paghino migliaia di euro per raggiungere l’Europa: «In Africa, qualcuno che ha 10mila euro che ci viene a fare qui? Non ha senso. Può costruirsi una vita.» Partono perciò per la falsa propaganda di un futuro in Europa, il cui mito ai loro occhi è ancora vivo, trovando invece una terra che non dà lavoro.
Il timore di Konaré, è una guerra tra poveri che in realtà è sotto gli occhi di tutti e già da molto tempo. Il ceto più debole del popolo italiano, «si troverà davanti migliaia di giovani africani affamati. Uno scontro di civiltà. Perciò l’Italia deve tenere chiuse le frontiere.»
Un’opinione condivisa da molti e da molti non gradita, troppo spesso caduta e banalizzata da una diatriba fra “buonisti” e “fascisti”, ma che invece ha in lui un duplice significato, ed è una delle ragioni che lo hanno spinto a creare il Movimento Panafricanista.
Chiudere i porti, trattenere gli africani nei propri paesi, significa far sì che s’impegnino a mettere «fine al colonialismo e alle ruberie francesi, e costruire gli Stati Uniti d’Africa, una federazione di Stati indipendenti e sovrani. Un’utopia che può diventare realtà».
L’attivista mette al centro l’identità dei popoli, le future generazioni africane, devono recuperare il bagaglio storico e culturale dei propri Paesi, conoscenza dimenticata o mai conosciuta e allo stato attuale ostacolata dall’emigrazione fuori controllo.
Perché questo avvenga, serve che un simile desiderio sia compreso ed accettato tanto in Africa, descritta da Konaré come una bomba pronta a deflagrare, quanto in occidente, intraprendendo quindi un cammino di reciproca collaborazione che sarà favorevole per entrambe.
«Noi siamo tutti esseri umani,
abbiamo il diritto di vivere in pace,
in modo equo, in questo mondo»Mohamed Konaré
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