Vivian Maier, la misteriosa fotografa che divenne leggenda

Vivian Maier, ©John Maloof

 
 
Vivian Maier non è l’unica e neppure la prima fotografa la cui opera è stata del tutto ignorata per gran parte della sua vita. Basti pensare alla suggestiva favola di Ulisse Bezzi, il contadino di San Pietro in Vincoli, piccolo paese fra Ravenna e Forlì, che a 90 anni ha visto i suoi scatti finire nelle mani di Keith De Lellis, uno dei più noti galleristi di Manhattan, per poi esser esposti a New York accanto a quelli di personaggi come Henri Cartier-Bresson, Man Ray, Cecil Beaton, Robert Doisenau.

A molti è andata peggio. Solomon Butcher non seppe mai di aver realizzato fotografie tutt’oggi considerate di straordinaria rilevanza storica e tardivamente, fu riconosciuta arte quella dei ‘penny portraits’ di Mike Disfamer. Lo stesso accadde a John Ernest Joseph Bellocq, descritto dai contemporanei come sfortunato nel fisico e disturbato mentalmente. Scattati con una Bantam Special, gli unici negativi rimasti ed in cui posano prostitute del quartiere a luci rosse di New Orleans, furono rinvenuti solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1949. A trovarle, il mercante d’arte Larry Borenstein e successivamente stampati su carta aristotipica dal fotografo Lee Friedlander, il quale ne divenne proprietario nel 1966.

Altri ancora sono coloro andati persi, dimenticati, ritrovati, racconti spesso ricchi di fascino che narrano storie di stenti, coraggio, tenacia e non meno di talento ingiustamente privato del dovuto riconoscimento, ma nessuna di queste ha fatto breccia nell’immaginario collettivo come quella di Dorothée Viviane Thérèse Maier. Dal nulla la sua popolarità è esplosa e altrettanto velocemente la sua figura ha raggiunto il mito, eppure, chi sia stata veramente quella donna capace di muovere i sentimenti di mezzo pianeta ed eletta a indiscusso genio dell’obiettivo, con ogni probabilità non si saprà mai. Non solo perché il tempo non lo ha permesso, ma anche in virtù di una riservatezza che forse, non è eccessivo definire maniacale.

Non pochi considerano il caso come un’abile operazione di marketing e promozione, ma quand’anche fosse così, se questo porta profitto a qualcuno senza danneggiare altri, che fiaba sia, in fondo non è neanche troppo a lieto fine.

Vivian Maier
John Maloof
Tutto ebbe inizio nel 2005, quando l’allora ventitreenne John Maloof, era impegnato alla stesura del libro sul quartiere Portage Park a Chicago. Agente immobiliare da tempo interessato alla conservazione della memoria storica della capitale dell’Illinois, giunse a conclusione che una tale iniziativa avrebbe potuto contribuire a far riscoprire il fascino del sobborgo, spesso ignorato e vittima di trascuranza.

Necessitava però di molto materiale iconografico di buona qualità ed insieme al co-autore Daniel Pogorzelski, si misero a cercare ovunque, una caccia al tesoro lunga oltre un anno e che portò Maloof a far visita alla locale casa d’aste RPN Sales. Osservò che insieme a materiale d’ogni genere confiscato a qualcuno che aveva smesso di pagare l’affitto del garage dov’era custodito, c’erano alcune fotografie degli anni ’60 e scatole di negativi, ma non potendo controllare maggiormente, si affidò nella dea bendata e ne acquistò un blocco per circa 400 dollari.

Esaminate le immagini, malauguratamente per loro non trovarono niente che fosse idoneo al progetto e dato che nessuno dei due aveva alcuna competenza per riconoscere l’eventuale valore della raccolta, tutto fu accantonato in un armadio.

 

Alla ricerca di Vivian Maier

Una volta terminato il libro, spinto da curiosità John Maloof recuperò i negativi e prese a svilupparli. Stavolta, le fotografie catturarono la sua attenzione, tanto da convincerlo a toglier la polvere dalla vecchia ‘point and shot’ e scender in strada per immortalare la vita di Chicago, esattamente com’era stato fatto in quelle pellicole. Voleva carpirne i segreti e per farlo si rivolse ad esperti, decise di frequentare un corso accelerato, creò una camera oscura nella soffitta di casa sua, studiò il processo di stampa. In lui stava crescendo un ossessionante desiderio di risalire all’autore e ricostruirne l’archivio.

Tuttavia, niente in suo possesso era in qualche modo di aiuto per l’indagine, sennonché, tra le centinaia di negativi esaminati, all’improvviso, scritto a matita spuntò quel nome: Vivian Maier.

Maloof effettuò così una ricerca su internet, ma tutto ciò che apprese dalla rete, fu lo sconfortante comunicato del Chicago Tribune, datato 23 aprile 2009, con cui si dava notizia che la donna era «serenamente morta».

Il giovane aveva ormai una collezione di oltre 30 mila negativi, più di 3 mila stampe e centinaia di registrazioni audio e video, ma era ancora ben lontano dall’immaginare di aver scovato un pezzo di storia della fotografia del Novecento.

Voleva però ricostruirne la storia, ma non aveva altro se il nome e così, a maggio di quello stesso anno creò un blog postando alcune decine di scatti. Sarebbe stato necessario un traffico degno di nota e una buona dose di fortuna, perché qualcuno con occhio critico le notasse. Per mesi non accadde nulla, finché ad ottobre, Maloof aprì una discussione su Flickr, il famoso contenitore di fotografie dove spesso il talento è sopraffatto da miliardi d’immagini. In poche settimane, centinaia di persone chiedevano informazioni su Vivian Maier. Il fenomeno era appena nato e a breve, avrebbe assunto dimensioni planetarie.

Il necrologio che la descriva come uno «spirito libero e affine che ha magicamente toccato la vita di tutti coloro che l’hanno conosciuta», diceva anche ch’era di origini francesi e che aveva vissuto a Chicago negli ultimi 50 anni, ma soprattutto, che era stata una «seconda madre per John, Lane e Matthew» e da questi tre nomi partirono fruttuosamente le ricerche.

 

La donna dietro la fotografia

Gran parte dell’esistenza di Vivian Maier è ancora oggi sconosciuta e come detto, probabilmente lo rimarrà per sempre a causa della sua severa, se non esasperata, riservatezza. Pare che avesse l’abitudine di aggiungere catenacci alle porte, che riponesse i libri con la costola rivolta verso la parete per nasconderne i titoli da sguardi indiscreti e che in più occasioni, abbia occultato le proprie generalità. Può essere che neanche lei si rendesse conto di quello che le sue fotografie avrebbero scatenato, ma l’assoluto anonimato in netto contrasto con l’epoca moderna, era una precisa volontà.

Nacque a New York, il 1 febbraio del 1926. I suoi genitori erano Charles Maier, americano di origini austriache e Maria Jaussaud Justin, nata in Francia nel 1897. I due si sposarono nel 1919 e prima di Vivian, nel 1920 nacque William Charles. La coppia si separò momentaneamente per ragioni ignote nel 1929. Il ragazzo fu affidato ai nonni paterni, mentre lei crebbe nel Bronx con la madre e la di lei amica Jeanne Bertrand, scultrice e soprattutto fotografa, fu lei a trasmetterle la passione che l’accompagnerà per tutta la vita.

Gli anni dell’infanzia sono caratterizzati anche da un legame con la Francia, dai 6 e ai 12 anni infatti, insieme alle due donne trascorre le sue giornate a Sain Bonnet en Chamsaur, nelle Hautes-Alpes, paese natale della madre. Si ricongiungeranno con il padre ed il fratello maggiore alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e quando il conflitto ebbe termine, Vivian Maier fece ritorno nella regione alpina per vendere la proprietà di famiglia. Approfittò dell’occasione per viaggiare tra le vallate e far visita ai parenti, riportando a casa una lunga serie di fotografie.

Nel 1951 è nuovamente negli Stati Uniti, lavora come bambinaia presso una famiglia di Southampton, mestiere che svolgerà per il resto dei suoi anni. Lo stipendio le permette di acquistare una Rolleiflex – anche se alcune fonti riportano che sia stato grazie al ricavato della vendita – e nel 1956 si trasferisce a Chicago, dove viene assunta da Nancy e Avron Gensburg, i genitori di John, Lane e Matthew, i tre bambini che tanto l’hanno adorata da definirla «seconda madre».

Rimase con loro per quasi due decadi e come farà anche in seguito, ogni giorno libero lo passa nelle strade a fotografare i passanti e fra ombre, tagli di luce e riflessi, nei suoi scatti finiscono persone crollate nel sonno, bambini che giocano, i senzatetto e gli emarginati, poliziotti, cadaveri, operai, volti sorridenti, strani, rubati e ancora bambole gettate nei bidoni, cani con difficoltà motorie, gambe di donne in sovrappeso e molti autoritratti.

Aveva una curiosità quasi infantile, sembrava guardare il mondo con occhi iperattivi per scoprirlo e freneticamente catturarlo.

Senza lasciare il posto di lavoro, ma facendosi temporaneamente sostituire da un’altra badante, tra il 1959 e il 1960 la sete di scoperta spinse Vivian Maier ad andarsene in giro per il pianeta. Probabilmente il denaro necessario riuscì a racimolarlo grazie alla vendita di una fattoria, comunque sia, rigorosamente sola, viaggiò dall’Asia al Nordafrica, passando per l’Europa, dove le tappe furono Italia e la “sua” Francia. Realizzò una montagna di fotografie, molte delle quali particolarmente suggestive ed una volta tornata, non disse mai dov’era stata.

Nel 1973 i tre bambini Gensburg erano ormai diventati adulti, cosicché la Maier lasciò la casa e non tutte le famiglie presso le quali lavorò sono conosciute, certo è, che ogni trasloco lo faceva con al seguito decine e decine di casse di cartone contenenti il suo archivio, nell’87 erano 200 quando fu assunta dai coniugi Usiskin.
Dall’89 al ’93 la Maier offrì le sue premure ad una ragazza adolescente con problemi mentali e le sue scatole furono sistemate nell’ammezzato della casa, mentre finirono in un box quando coll’avanzare dell’età si trovò disoccupata e costretta a fronteggiare ai gravi problemi economici che la gettarono in condizioni precarie.
 
Vivian Maier
 
Vivian Maier
 

I Gensburg, con i quali non aveva mai interrotto l’affettuoso rapporto, sul finire degli anni ’90, vennero a sapere che abitava in un piccolo appartamento a Cicero, sobborgo di Chicago, così, presero per lei un alloggio nel quartiere di Rogers Park, a nord della città. Le furono vicini anche quando a seguito di una caduta sul ghiaccio finì all’ospedale riportando un trauma cranico. Era il 2008, e per assicurasi che fosse accudita nel modo migliore, la fecero ricoverare in una casa di cura ad Highland Park. Tuttavia, Vivian Maier non riuscì a riprendersi e si spense il 21 aprile 2009, senza che John Maloof, in cerca di lei da ormai due anni, riuscisse ad incontrarla.

I resoconti sulla sua personalità forniti dalle famiglie rintracciate sono molteplici. Alcune delle persone di cui si è presa cura quando erano creature, come i Gensburg, ricordano il tempo trascorso con lei idilliaco, altri ne conservano un’immagine severa ed altri ancora l’hanno descritta come una donna con una forte volontà. Tutti però concordano sul fatto che fosse estremamente solitaria e certo è, che Vivian Maier non era la bambinaia-fotografa, come spesso è stato detto, era piuttosto una fotografa che per mantenersi faceva la baby sitter.

Decine di migliaia sono i negativi mai sviluppati da lei, Vivian Maier però ha stampato molte delle sue foto, dai Gensburg aveva un bagno privato che trasformò addirittura in camera oscura e sembra che smise proprio quando lasciò la loro casa. Quelle sviluppate però, non le mostrò mai ad anima viva e forse, questo è il vero ed ormai irrisolvibile enigma che ad alcuni ha persino fatto congetturare che potrebbe non essere lei la vera autrice.

Ad oggi resta il fatto che quella donna dal passo pesante, dall’antiquato modo di vestirsi, che amava leggere di politica e andare al cinema, è unanimemente considerata una delle esponenti più importanti della street photography. Su di lei sono stati pubblicati libri, documentari e le sue fotografie sono state esposte in musei e gallerie di tutto il mondo.

John Maloof ha acquisito il 90% del suo materiale, possiede oltre 3.000 stampe e circa 100/150mila negativi, più di 100 pellicole 8 mm e 2.000 filmati. Nel 2017 ha donato 500 fotografie alla biblioteca dell’Università di Chicago.
 

Vivian Maier
Vivian Maier, ©John Maloof

 

Vivian Maier
Vivian Maier, ©John Maloof

 

Vivian Maier
Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

Vivian Maier
Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 

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Vivian Maier, ©John Maloof

 
 
 
 

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