Un viaggio nel mondo surreale di Reuben Wu
Insieme a Helen Marnie, Mira Aroyo e Daniel Hunt, nel 1999 Reuben Wu ha fondato i Ladytron, band di musica elettronica che deve il proprio nome alla canzone dei Roxy Music, storico gruppo rock inglese del quale fece parte anche Brian Eno e proprio lui, pioniere della musica d’ambiente e tra le figure più influenti del panorama musicale contemporaneo, ha definito i Ladytron come “il meglio della musica britannica”.
Nato a Liverpool nel 1975, Reuben Wu fin da ragazzino dà sfogo alla propria creatività attraverso il disegno, una passione che coltiva parallelamente alla musica. Nel cassetto dei sogni dell’infanzia, c’era però anche una macchina fotografica volante che potesse riprendere il mondo da prospettive impossibili e quando impegni e concerti all’estero iniziano a consumare la matita più di quanto non potesse il foglio, a mo’ di diario di viaggio, inizia a scattar fotografie raccontando le strade ed i luoghi delle esibizioni.
Stati Uniti, Cina, Russia, tutto era solo una cornice alla musica, finché Wu non inizia a prenderci gusto e ai sintetizzatori della Korg alterna e sperimenta nuove fotocamere, pellicole, si lascia sempre più affascinare da paesaggi desertici, riprese notturne eseguite con lunghi tempi di esposizione e dopo dieci anni trascorsi immerso nelle note, capisce che la fotografia, quella fotografia tramite la quale riesce a perdersi nelle forme della natura in completa e rigorosa solitudine, è la strada complementare e alternativa dove il tempo è protagonista esattamente come gli scorci montani, con le rocce che si stagliano nei cieli illuminate dalle stelle, le strade che sembrano a portare a tutto e a niente, paesi che paiono colate di lava d’oro e argento come le fiamme blu dell’indonesiano Kawah Ijen.
Paesaggi lunari, apocalittici, gli scatti di Reuben Wu fanno ben presto il giro del mondo, riscuotono immancabilmente successo nel web, il suo occhio interpreta o forse sarebbe meglio dire plasma secondo la propria visione rappresentando la realtà attraverso poesia visiva e ancor di più, quando nel 2014 entra in possesso di un drone, in qualche modo realizzando quel sogno impossibile di avere quella macchina fotografica volante che guarda e trasforma angoli remoti del pianeta in dipinti tra surrealismo e fantascienza.
Ad oggi i droni sono ormai ampiamente utilizzati per realizzare video e catturare immagini, ma Wu li adopera invece come una sorta di faro creando chiaroscuri altrimenti irrealizzabili se non per mezzo dell’elaborazione digitale, giochi di luci con cui illuminare determinate aree escludendo di conseguenza elementi indesiderati.
Niente d’improvvisato, trascorre ore a studiare mappe, fasi lunari, stagioni, programma le composizioni, i luoghi ed i sentieri da percorrere, pone attenzione persino sui flussi turistici per aver certezza di non trovare visitatori, ma si sa, non tutto è totalmente pianificabile, tant’è vero che lo scorso 6 febbraio, mentre si trovava nella sontuosa area di Vermilion Cliffs, in Arizona, ha involontariamente fotografato l’uscita dall’atmosfera terrestre del Falcon Heavy, il razzo spaziale più potente del pianeta lanciato alle 13:30 (19:30 ora italiana) da Cape Canaveral, Florida, sei ore prima di finire nel dipinto futurista di Reuben Wu.
Lo scatto è così entrato a far parte di Lux Noctis, progetto partito nel 2016 in cui l’eclettico artista, armato della fotocamera modulare della Phase One, la XF 100MP, della Leica M-P Typ 240 e della Canon 5D Mark III, ha immortalato il monumentale paesaggio nordamericano illuminato da una lampada led AL250 della Fiilex montata su un drone 3dr Solo.
Esperienza durante la quale inizia a riprendere anche i percorsi, le traiettorie del piccolo velivolo, scoprendo come queste riescono a conferire alle fotografie già di per sé suggestive, ulteriore fascino e proiettando l’immaginazione in spazi da libri e film di fantascienza, come del resto fanno altri suoi progetti come Crescent Dunes o Love is Metaphysical Gravity, in cui Reuben Wu si è spinto all’estremità del pianeta esplorando l’arcipelago norvegese di Svalbard, terra incontaminata tratteggiata da pennellate pastello e dove il fascino dell’aurora si unisce alle forme aliene della stazione spaziale.
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