Il mondo fantastico di Erik Johansson
L’aspetto più sorprendente delle opere di Erik Johansson, probabilmente è che non sono dipinti o disegni surreali, ma fotografie che ritraggono mondi fantastici, dove tutto prende vita grazie ad un’immensa creatività.
«Per me, la fotografia è solo un modo per raccogliere il materiale di cui necessito per creare la mia foto»
Nato nel 1985 a Götene, non è esagerato porre l’artista svedese fra i grandi esponenti del surrealismo, i suoi panorami metafisici riportano alla mente le visioni matematiche Escher, quelle più giocose di Magritte o di Salvador Dalì, opere dove la realtà è distorta e priva d’ogni logica oltrepassando anche il semplice concetto di illusione ottica, esattamente come le fotografie che lo stesso Johansson realizza con la sua Hasselblad H6D-50c, per poi intraprendere un meticoloso quanto lungo lavoro di sovrapposizioni, unioni e miscele che ritrarranno paesaggi impossibili, attraenti e non di rado, colmi di poetica ispirazione.
Scatta le sue prime fotografie a 15 anni, ma è la manipolazione digitale che lo attrae maggiormente e così, non abbandona la sua passione neanche quando cinque anni più tardi, si trasferisce a Göteborg per laurearsi in ingegneria informatica presso l’Università di Chalmers.
E’ infatti in questo periodo, che comincia a pubblicare le sue immagini online e ben presto, oltre al consenso degli utenti, iniziano ad interessarsi a lui colossi dell’informatica, della comunicazione, iniziando così a ricevere commissioni da tutto il mondo, tanto che ad oggi, fra i suoi clienti figurano Google, Toyota, Aïshti, National Geographic e molti altri, senza contare l’Adobe Systems che più volte ha utilizzato sue creazioni; esempi ne la copertina dell’Inspire Magazine del 2014 o Soundscapes, voluta nel 2015 come immagine a tutto schermo durante il caricamento del software di registrazione audio multitraccia, Audition.
D’altra parte non potrebbe far diversamente la software house californiana, dato che l’autodidatta Johansson, per i suoi lavori di fotoritocco si avvale dei soli Lightroom e Photoshop, programma quest’ultimo, che se già di per sé riesce a dominare nel campo dell’elaborazione professionale di fotografie e immagini digitali, ha nell’artista l’assoluta celebrazione della propria qualità e funzionalità, che se ci limitassimo a giudicare solo attraverso le opere dello svedese, a dar loro confine sarebbe solo l’immaginazione.
Tuttavia, pur riconoscendo i dovuti meriti al programma, chiunque abbia svolto lavori utilizzando Photoshop, non potrà che apprezzare maggiormente le opere di un artista, che non è improprio definire fotografo come qualcuno vorrebbe, in quanto maestri come Capa, Mc Curry, Klein o Robert Doisneau, in ogni scatto hanno trasmesso il proprio sentire oltre l’osservazione e altrettanto fa Johansson, catturando l’idea già disegnata nella propria mente, l’emozione già vissuta, ma che prenderà forma solo successivamente.
Chiamato dalla Microsoft per partecipare al Generation 7, ovvero sette talenti di diverse aree ai quali venivano offerte le risorse necessarie per concretizzare un loro progetto, amante delle illusioni anamorfiche della street art, pensò di realizzarne una attraverso la fotografia e nacque così il gigantesco “Mind your Step“, un’istallazione di 300 metri in una delle piazze principali di Stoccolma, la Sergels torg.
In una sequenza obbligata, il primo e «più importante passo» da compiere è la ricerca di luoghi, oggetti che possano sciogliersi l’uno nell’altro, capire quale tessuto potrà diventare strada o quale paesaggio galleggiare in mare e all’interno di quale bottiglia, cosicché una volta trovati, immortalarli in una serie di scatti che in fase di post-produzione, Johansson andrà poi a scomporre e ricomporre elaborandoli su centinaia di livelli ed arrivando ad impiegare anche 20 ore di lavoro, prima di veder comparire la sua reale fotografia fantastica.
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