Jerry Uelsmann, il fotografo che anticipò Photoshop
Pioniere del fotomontaggio e unanimemente riconosciuto tra più influenti maestri della fotografia, Jerry Uelsmann nacque l’11 giugno 1934 a Detroit, Michigan, cominciando a misurar professionalmente l’occhio con obiettivi, messa a fuoco e luci, quando appena adolescente riuscì a trovar impiego in qualità di assistente part-time in un’agenzia e dal portare l’attrezzatura, si trovò presto a realizzare servizi matrimoniali. Proseguì l’attività anche durante il periodo liceale, studiava alla Cooley High School e una volta terminato il percorso didattico, frequentò il Rochester Institute of Technology dove poté condividere idee e apprendimento con Pete Turner, guru del colore scomparso nel 2017 all’età di 83 anni; Bruce Davidson (1933), dal ’58 membro dell’agenzia Magnum e ancora Carl Chiarenza (1935), Peter Bunnell (1937), mentre in veste d’insegnanti, v’incontrò niente meno l’allora direttore del George Eastman Museum nonché curatore del dipartimento di fotografia del MoMA, Beaumont Newhall (1908-1993) e con lui il teorico e figura chiave della fotografia del Novecento, Minor White (1908-1976).
Conseguito il Bachelor of Fine Arts nel 1957, Jerry Uelsmann si iscrisse all’Indiana University, dove nel 1960 ottenne il Master of Fine Arts e su invito di Frank Van Deren Coke, gli fu immediatamente offerta una cattedra alla prestigiosa Florida University di Gainesville.
All’università fu studente di un’altro fra i maggiori esponenti della fotografia di ricerca del secolo scorso e già professore alla Nuova Bauhaus di László Moholy-Nagy nel periodo a cavallo del secondo conflitto mondiale: Henry Holmes Smith (1909-1986).
«Questi individui hanno ampliato le mie idee su cosa potesse essere la fotografia, e io mi sento davvero fortunato, perché se le cose fossero andate diversamente, sarei potuto essere un fotografo ritrattista di Detroit»
Sia quest’ultimo, sia White ebbero un notevole ascendente sul processo artistico di Jerry Uelsmann, altrettanto, ad ispirarlo sono stati Oscar Rejlander e Henry Peach Robinson e fin dai primi anni della sua carriera, mise in mostra un genio che lo portò ad essere pioniere di un nuovo concetto radicalmente opposto a quello dell’epoca, sviluppando un stile surreale ed onirico che a sua volta andrà ad influenzare intere generazioni a venire.
Alchimista della camera oscura, Uelsmann ha esplorato i confini estetici e tecnici del mezzo fotografico come pochi altri hanno fatto. La stampa combinata era già stata messa in pratica, fra i primi a farlo Oscar Gustave Rejlander (1813-1875), manipolò i suoi negativi sin dal 1850, ma con l’avvento del modernismo tutto venne accantonato, l’immagine non doveva in alcun modo essere adulterata. Dogma che l’americano rifiutò, producendo già negli anni ’50 perfette composizioni realizzate analogicamente, lavorando con più ingranditori (anche 12), negativi multipli, tecniche di mascheratura, diffusione, masterizzazione e schermatura che gli hanno permesso di anticipare il mondo digitale di intere decadi, per di più, quando la fotografia era ancora ritenuta uno strumento per documentare gli eventi quotidiani, semplice testimone della realtà.
Jerry Uelsmann, quindi, oltre ad aver prodotto immagini enigmatiche e d’indubbio fascino, in cui si riconoscono riferimenti e omaggi al surrealismo di René Magritte, Man Ray, Max Ernst, ha contribuito in maniera determinante a far sì che la fotografia potesse essere elevata e considerata come una forma d’arte, una rivoluzione di cui è stato fra i più significativi precursori e sostenitori. Una comprensione, la sua, che anzitempo ha portato a concepire il momento dello scatto non più decisivo, destituendo l’istante della sua essenza, ma ponendolo a primo passo della fase creativa, facendo di essa un continuo divenire alla ricerca di una «realtà che trascende la realtà superficiale».
Il mio approccio iniziale è molto non intellettuale. Non riesco a sottolinearlo abbastanza
Le sue sperimentazioni decollarono parallelamente al ruolo di insegnante e la prima personale arrivò nel 1963 al Jacksonville Art Museum, tre anni più tardi fu eletto nel consiglio di amministrazione della Society for Photographic Education e nel 1967 fu la volta del MOMA (Museum of Modern Art) di New York, che gli permise di vincere il Guggenheim Fellowship. Per lui ebbe inizio un ciclo di conferenze che lo porterà nelle principali università e istituti d’arte degli Stati Uniti. I suoi lavori cominciarono così ad essere esposti in decine e decine di mostre ed alla fine degli anni 70, ormai professore universitario, era nell’olimpo dei grandi fotografi,
Caratterizzati dai toni grigi, i componenti che costituiscono i fotomontaggi sono spesso elementi della natura a cui Uelsmann giustappone forme o parti umane, creando armonici e metaforici mondi astratti. Immagini che per anni ha realizzato utilizzando una Zenza Bronica, in seguito passando ad una Mamiya 7 e una Makub Plaubel, montando rullini T-MAX 400, quando si rendevano necessari negativi di dimensioni maggiori.
Jerry Uelsmann: «Se ho un obiettivo finale, è stupirmi»
Nel momento in cui sono arrivati Photoshop e i tanti altri strumenti per il fotomontaggio e ritocco, Jerry Uelsmann, secondo cui «le capacità tecniche non bastano», ha continuato a lavorare con il suo tradizionale metodo, seguendo la propria concezione. Come lui stesso ha più volte ammesso, la scelta non è stata dettata da un rifiuto delle nuove tecnologie, ma dal fatto che la sua opera è da sempre intrinsecamente legata alla magia della camera oscura, verso cui ha una forma di devozione.
Il peculiare criterio con cui concepisce è istintivo ed emozionale, la fotografia è una visione che va formandosi mancando di una idea prestabilita, quasi fosse un’evoluzione distante da un livello cosciente, il che la rende anche indipendente da un messaggio illustrativo, molte opere sono infatti aperte ad un’interpretazione soggettiva. L’artista, ha più volte affermato di non voler dare una risposta sul significato dei suoi fotomontaggi, ma chiede all’osservatore di aiutarlo nella ricerca di risposte, guardando al pubblico quindi, come ad un coautore che completa l’immagine. Questo è anche il motivo per cui spesso non dà un titolo, per evitare che le parole interferiscano con l’esperienza delle persone.
Reale e immaginario, uniti da ineccepibili sovrapposizioni di più negativi, che presi singolarmente rendono una possibilità di combinazioni infinita: ciascuno di essi è dall’artista ripreso, decodificato con un diverso significato e quindi interpretato nuovamente in una sorta di perpetua ideazione. Dieci scatti in cui ad essere ritratta è una foglia, un oggetto oppure una nuvola, possono diventare cento fotografie, ognuna delle quali, perché sia terminata può esigere un impegno di ore ed ore, sovente non meno di 5, tutte trascorse in quella camera oscura, il ‘laboratorio di ricerca visiva’ dove, rigorosamente a suon di blues, Uelsmann esprime il suo vero e folgorante estro, nel corso del tempo mostratosi giocoso, poetico, assumendo negli ultimi anni anche un aspetto intimo e spirituale.
Nel 1994, riconoscendone il contributo artistico nel campo della fotografia, è stato eletto membro della Florida Artist Hall of Fame. I suoi lavori fanno parte di molte tra le più importanti collezioni, dal Museo Nazionale di Arte Moderna di Kyoto fino al Museum of Modern Art di New York che dette la fama internazionale, passando per la parigina Bibliothèque nationale e il Victoria and Albert Museum di Londra, mentre le sue composizioni continuano ad essere esposte in mostre personali in tutto il mondo.
Nel 1995, il direttore creativo di Adobe, Russel Brown, tentò di esortare Uelsmann a provare Photoshop, ma non ci riuscì, l’artista affermando di sentire, nonostante la «sintonia con la rivoluzione digitale ed entusiasta delle opzioni visive create dal computer», il proprio «processo creativo intrinsecamente legato all’alchimia della camera oscura».
Abbandonate cattedra e professione, Jerry Uelsmann tornò a Gainesville, dove avventura ebbe inizio, non ha carpato ali a fantasia e curiosità, permettendo loro di librarsi e come sempre creare, arrivando a concretizzar centinaia di immagini all’anno, sinché il 4 aprile 2022, all’età di 87 anni, si è spento nella dimora di Gainesville, dove s’era ritirato e dove avventura nell’arte abbe inizio.
L’illusione della conoscenza, pregiudica l’aumento dell’ignoranza, perché quando si è convinti di sapere qualcosa, non ci si pone più domande.
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