Alice Zilberberg: fotografia surrealista digitale
Horned Goddess of the Forest, Giving Life, collezione Goddess Almighty, 2012
Artista pluripremiata ed unitamente apprezzata a livello planetario da curatori, collezionisti e mecenati, Alice Zilberberg, nacque nel 1989 a Tallinn, nell’Estonia sovietica ad appena due anni abbandonata in volontà dei genitori di sottrarre famiglia a tirannica oppressione e serpeggiante antisemitismo, trovando riparo in Israele, dapprima in un modesto kibbutz, poi all’interno d’un moshav — comunità agricole cooperative organizzate in singole fattorie e costituite da sionisti socialisti nel corso della seconda aliyah d’inizio Novecento — infine, all’alba del nuovo millennio, in Canada, a Toronto, capitale della provincia dell’Ontario dove Zilberberg, sedotta sin dall’infanzia da disegno e pittura, uniti al fascino della libertà creativa offerta dall’illustrazione digitale incontrata durante l’adolescenza, pervenne al Bachelor of Fine Arts nel 2011, frequentando il corso di Fotografia dell’Università Statale intitolata al Ministro metodista ed educatore, tra i principali fautori della progettazione e sviluppo dell’istruzione, Adolphus Egerton Ryerson (1803-1882), colui che appunto, nel 1852, sull’area in cui sorge l’odierna sede dell’ateneo, fondò la Normal School, prototipo istituto dell’allora Alto Canada atta alla formazione di insegnanti.
Cogliendo ispirazione dall’illustre esponente del fiammingo barocco Frans Snyder (1579-1657) — allievo di Brueghel il Giovane (1564-1638) e Hendrik Van Balen (1575-1632) — dall’amsterdamiano del cosiddetto secolo d’oro olandese, nonché in virtù dello stile impresso in nature morte indicato antesignano dello stile Rococò, Jan Weenix (1642 -1719) ed ancora dalla dolorosa e resiliente visione di Frida Kahlo, dai surrealisti Salvador Dalí (1904-1989) e Rene Magritte (1898-1967), altrettanto ammirando l’estro onirico di contemporanei quali Miss Aniela, Ray Caesar, Loretta Lux, Jill Greenber, Erik Johansson, Erwin Olaf, Brooke Shaden e Natalie Shau, Alice Zilberberg dischiuse la propria espressività esplorando ambiente e lo sconfinato universo femminile, di quest’ultimo raffigurandone l’essenza in antitetica prospettiva all’arcaica e mendace narrazione comune, mediante la sinergia di differenti tecniche, ciascun opera componendosi, in principio d’un insieme di scatti, sovente catturando luoghi del mondo distanti per latitudine e peculiarità, poi tessendo trame d’ombre, colori e sfumature attingendo alla pittura, dunque lasciando perlopiù alla post-produzione la manipolazione dell’immagini, ad ognuna pertanto dedicando mesi di meticoloso lavoro prima d’archiviarne realizzazione.
In anticipo sul diploma di laurea, nel 2010 ricevette nomina alla selezioni del Flash Forward — annuale concorso fotografico ospitato dalla Magenta Foundation, casa d’arte senza fini di lucro sorta nel 2004 su iniziativa di MaryAnn Camilleri in desiderio di promuovere artisti provenienti da Canada, Regno Unito e Stati Uniti — bissando gratificazione nel 2013 ottenendo ingresso alla Waddington’s Art Auction, partecipante più giovane di sempre, con l’opera Alice in Wonderland inclusa nella serie The Death of “Happily Ever After”, finché titolo di Fotografa dell’Anno ottenne ai Monochrome Awards del 2016 a merito di The Bright Side Of Earth — dall’autrice descritta allegoria della «consapevolezza ambientale in relazione ai consumi umani dell’energia e delle risorse della Terra» — un triennio più tardi nuovamente riscuotendo massimo riconoscimento agli International Photography Awards, sezione Wildlife, grazie a Be Here Bison della collezione Meditation, altresì vincitrice nel 2020 del 15° Pollux Award, categoria Landscapes & Seascapes Through Nude & Figure ai Julia Margaret Cameron Awards, guadagnando inoltre Menzione d’Onore in Documentary & Reportage in Fine Art e Self Portrait to Wildlife, replicando invece successo l’anno seguente nella classe Open Theme Through Portrait, giungendo ad esporre in numerose gallerie dislocate in Asia, Europa e Nord America.
In contrasto con il racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie, la mia immagine presenta una ragazza afflitta da disturbi mentali come suggerisce anche l’ambiente circostante. È la rappresentazione della storia nella sua forma originale, oscura e molto più espressiva […] Ho scelto di narrarla e di parteciparvi, calandomi nell’eroina dai capelli neri, la quale non è salvata da un principe, ma è sola e disperata, forse persino morta. Interpretando il ruolo del personaggio femminile, sfido le idee convenzionali riguardanti il modo in cui una donna dovrebbe agire, apparire ed essere.
Ad ispirare questa serie sono state le scrittrici del XVII secolo, le stesse scrivendo determinate storie, principalmente indirizzate a lettori adulti, utilizzandole per creare realtà alternative, situazioni unicamente immaginarie, abbracciando ideali contro-culturali inerenti i diritti della donna a coniugarsi liberamente, all’eredità, all’istruzione. I loro racconti fronteggiavano sia le regole letterarie, sia sociali, in un mondo dove non avevano alcun potere politico.
In Meditazioni, ho creato animali, come espressione d’autoterapia, per suscitare attenzione sul benessere, la consapevolezza e la conservazione della natura.
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