Roberto Ferruzzi, storia della fanciulla divenuta Madonna
La pittura è un mestiere per non vedenti. Il pittore non dipinge ciò che gli appare, ma ciò che sente.
Pablo Picasso
L’8 gennaio 1853 — a Sebenico — il noto avvocato Giovanni Battista Luigi Vincenzo Ferruzzi (1805-1862) e la seconda moglie Giovanna Fenzi (1818-1889) — prima consorte ne fu Paolina Vitaleschi (1808-1844) — donarono Battesimo al figlio Roberto Felice Eusebio Antonio, venuto alla luce, nella suddetta città dalmata, il 16 dicembre dell’anno precedente.
La coppia aveva origini italiane e nonno materno del piccolo era Pier Antonio Fenzi (1774-1864), sposato con Isabella Parma Lavezzola, nata a Zada, in Croazia: nei confronti d’entrambe le nazioni, per l’intera esistenza Roberto Ferruzzi sentirà un profondo senso d’appartenenza a partir dalla più tenera età, periodo in cui intraprese primi studi a Venezia, ritornando nella patria natia a causa della prematura scomparsa del padre Giovanni Battista e qui rimanendo un biennio; nel 1868, il quattordicenne rivarcò confini della Serenissima — ai tempi ritenuta capitale della cultura — per iscriversi al Liceo Marco Foscarini e maturar istruzione in ambito classico, contemporaneamente dando ascolto ad innata predisposizione artistica, nel tastarsi in pratiche pittoriche a livello autodidattico.
Nel verosimile proposito di seguir orme paterne e non solo — dacché anche il nonno Antonio Ferruzzi (ca. 1775 – ?), marito d’Antonia Cortellini (ca. 1780 – ?), aveva esercitato professione forense — iniziò a frequentare la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, tuttavia, a laurea ottenuta decise di risponder a rimbombante richiamo interiore e s’abnegò a disegno e pittura, realizzando ritratti e dipinti accomunati dall’esser colmi di sentimento, scaturente dalla congenita capacità di percepirne nell’osservazione reale e traslarne a tela.
Nel 1879 — pur mai smettendo d’effettuare regolari viaggi e alternando soggiorni nel capoluogo veneto — Roberto Ferruzzi si trasferì a Luvigliano di Torreglia, padovano borgo incastonato fra Colli Euganei, i cui luoghi gli funsero da ispirazione e dove, appagato nel dedicarsi totalmente alla propria passione, negli anni divenne stimato riferimento d’autorevoli artisti, con i quali piacevolmente conversava nel cenacolo culturale di cui costituì il polo attraente e intorno a lui sorto sulla crescente fama che, nel giro di breve tempo, s’era meritatamente guadagnato, inoltre ciò dandogli modo d’intessere sincere e stimolanti conoscenze con valenti personalità dell’arte in genere, fra le quali Luigi Nono (1924-1990), Giacomo Favretto (1849-1887), Ettore Tito (1859-1941), Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949) e altri.
Annoverato fra gli amici più cari fu il celebre pianista e compositore padovano Cesare Pollini (1858-1912), presso la cui abitazione — sita a ridotta distanza da Villa dei Vescovi, presa in affitto dai Ferruzzi — si svolgevano gran parte dei ritrovi, spesso accompagnati da esibizioni di musica classica, dal Pollini magistralmente interpretata.
Uomo di grande sensibilità percettiva, Roberto Ferruzzi visse in linea ad accondiscesa indole e del mondo leggendo poesia, foss’essa scaturente da persone, paesaggi, note musicali o parole generosamente scambiate in amichevoli serate; trattenendo a sé ogni esperienza, fu nei volti che l’abilità del pittore s’elevò ad ennesima potenza, egli attraversandone gli sguardi e — con ispirata setola — tratteggiandone la silente e immobile figura, dandole voce e movimento tra fattezze ed espressioni eloquentemente tangibili, quasi riuscisse a comprenderne i vissuti con eccelsa empatia e farli pulsare.
Dalle varie esposizioni nazionali a cui partecipò, riscosse fulmineo e remunerativo successo, benché ad arricchirne l’animo fosse l’indelebile contatto stabilito con le variegata bellezza dell’emozioni dei soggetti ritratti, fa questi, in particolar modo, una fanciulla — casualmente incontrata nel 1896, presumibilmente in territorio euganeo — e della qual lo colpì l’amorevole tener al petto il fratello minore dormiente: trattavasi di Angela, o Angelina, Cian, nata nel 1886 e secondogenita della numerosa prole nata dall’unione di Stefano (1861-1924) e Giuseppina Contarini (1866-1920).
Trasmutatine su tela grazia di lineamenti e l’amorevole stringer a sé il bimbo, a distanza di pochi mesi, cogliendo occasione della seconda edizione, Roberto Ferruzzi presentò il quadro — denominato, Maternità — alla Biennale di Venezia, ottenendo apprezzamento di critica e pubblico: la donna, raffigurata protetta da velo sul capo e mantello celeste, nel mentre rivolgendo delicati sguardo e viso verso l’alto, abbraccia premurosamente l’infante, raccolto in una candida tunica, presto suscitò negli osservatori memoria d’immagini mariane e reiterare di tale reminiscenza, suggerì modifica del titolo con cui si era mostrata in, Madonnina.
Ad acquistarla per primo fu il fotografo Vittorio Alinari (1859-1932), il quale, dopo essersi assicurato i diritti d’autore — registrando l’opera in linea a direttive del Regio Decreto del 19 settembre 1882, n 1012 — ne avviò e permise ampia riproduzione.
Successivamente, la Madonnina originale venne rivenduta, fino a far perder di sé ogni traccia, benché si narri che l’originale dipinto possa trovarsi in fondo al mare, a conseguenza d’un naufragio avvenuto durante il trasporto verso gli Stati Uniti — su commissione d’un ambasciatore americano in Europa, d’origini svizzere — oppure far parte d’una collezione privata in Pennsylvania, benché — purtroppo e come sostenuto in più d’un intervista dal pronipote Roberto Ferruzzi junior — la verità riguardo all’opera dello stimato bisnonno, resti a tutt’oggi nel campo delle mere ipotesi; ciò che è viceversa certo è l’ineguagliabile diffusione planetaria dell’immagine, stampata su riviste, libri, francobolli e da artisti d’ogni angolo del mondo, dipinto riprodotto sia su tela — ed in ambito grafico in senso ampio — sia in incisioni, sculture o manufatti di oreficeria.
Divenuto vedovo d’Ester Sorgato (1864-1909) — dal cui matrimonio nacquero Ferruccio (1864-1909) e Mariska — Roberto Ferruzzi le sopravvisse un venticinquennio, dividendosi fra irriducibile attrattiva per l’arte pittorica, gli amici più affezionati e i nipoti; morì a Venezia, il 16 dicembre 1934, da quel giorno le sue spoglie riposando accanto a quella della sposa e dell’amata figlia, nel minuscolo cimitero di Lucigliano.
Sorte sciaguratamente avversa spettò viceversa ad Angela Cian, nel 1906 convolata a nozze con Frank Bovo e trasferitasi ad Oakland, dovette affrontare la tragicamente prematura morte del marito nel 1929, dunque in solitudine l’educazione della decina di figli e compito svolgendo al rovinare della situazione economico-finanziaria globale in ragione del crollo della Borsa valori di New York avvenuta nel medesimo anno: al trascorrere del tempo, dolore e difficoltà oltrepassarono l’umana sopportazione, fin ad intaccarne equilibrio psichico e a condurla all’esito dell’internamento in manicomio, dove ottantaseienne, concluse esistenza.
Tra i figli di Angela Cian — cresciuti in orfanotrofio — Mary Bovo (1920-2014) prese i voti e, pur nulla sapendo riguardo al posar della donna per Roberto Ferruzzi, nel 1984 tentò ricerche informative sui familiari, con sorpresa scoprendo che la Madonnina alla quale molteplici volte s’era rivolta in preghiera era sua madre.
L’abbraccio è un gesto gentile e premuroso, traboccante affetto e riconoscenza. È un protettivo avvolger l’altro dentro sé e quando ciò avviene tra madre e figlio, emana una simbolismo divino, sacro o profano che sia.
Roberto Ferruzzi lo recepì in Angela Cian, mostrandolo al mondo.
Alla Beata Vergine Maria, Madre di tutte le madri, i più grandi pittori resero omaggio a cavallo di secoli, immortalandone l’amore, per antonomasia, materno.
Quann’ero ragazzino,
mamma mia me diceva:
“Ricordate fijolo,
quanno te senti veramente solo
tu prova a recita n’Ave Maria.
L’anima tua da sola spicca er volo
e se solleva, come pe’ maggia”.
Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato;
da un pezzo s’è addormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l’ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna benedetta
e l’anima da sola pija er volo!
Trilussa
Il tema della Madonna con il Bambino fra le braccia vanta origini antiche, benché nell’iconografia cristiana iniziò ad essere rappresentato — divenendo ufficiale simbolo della dottrina — con il giungere dell’arte bizantina nell’Occidente, gradualmente venendo ritratto in differenti tipologie e varianti, nelle quali il rapporto tra Madre e Figlio s’espresse con maggior intimità, palesandone l’indissolubile legame.
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