Paul Cadden, quando l’arte fa della realtà un’illusione
Paul Cadden, più che iperrealista sarebbe forse corretto definirlo illusionista, perché ciò che si crede di vedere in realtà non esiste, o meglio, chiunque si trovi davanti ad una sua opera senza saper nulla di lui, avrà la convinzione di osservare una fotografia d’autore, ma così non è, perché tutto è il risultato di uno straordinario talento per il disegno.
Nato Glasgow nel 1964, come ognuno di noi ha fatto anche Cadden si è avvicinato al disegno da bambino, ma quello che per la maggior parte delle persone è stato un semplice passatempo svanitosi col tempo, in lui diviene man mano una passione che sempre più gli permette di metter in mostra e prender coscienza di una naturale inclinazione e raggiunta l’adolescenza, ad affascinarlo è l’iperrealismo, corrente artistica di cui ancora oggi si dibatte per delinearne lo stile comparandolo al fotorealismo.
Il primo ad utilizzare il termine fu Udo Kultermann, con il libro uscito nel’72 ‘Hyperrelisme’, indicando quel movimento artistico che negli Stati Uniti andava formandosi a fine anni ’60 sulla scia della pop art. L’anno successivo, fu invece il gallerista Brachot ad utilizzarlo titolando così, una mostra collettiva a cui parteciparono molte delle figure di spicco del realismo fotografico, poi abbreviato in ‘fotorealismo’. Almeno inizialmente dunque, le due definizioni altro non erano se non sinonimi che andavano ad indicare uno stile pittorico, o scultoreo, che tentava di restituire un’immagine del tutto simile alla realtà, privilegiando dunque la tecnica, piuttosto che la soggettività espressiva dell’artista, aspetto che in seguito tornerà ad aver sempre maggior rilievo nell’iperrealismo, assumendo di conseguenza una propria identità.
Lo stesso Paul Cadden infatti, nel collocarsi in questo movimento, lo descrive come uno stile che «tende a creare un impatto emotivo, sociale e culturale, a differenzia del fotorealismo che rimane molto più tecnico». L’artista scozzese, che alla tela predilige carta riciclata, nel riprodurre uno scatto, lavora in modo tale che il disegno prenda vita allontanandosi progressivamente dalla fonte originale, focalizzando maggiormente l’attenzione sui dettagli che sono da lui definiti come «segni in grado di raccontare un’essenza che resta invisibile nella fotografia», la sua idea è quindi quella di andare oltre quest’ultima intensificandone le sensazioni.
L’artista non ha uno o più fotografi che ne influenzino il lavoro, neanche quel Francis Bacon che ammette essere stata una figura che lo ha portato ad appassionarsi all’arte, ma è l’effetto della singola foto ad ispirarlo, pertanto, nonostante permanga una diretta connessione tra scatto e disegno, quest’ultimo avrà particolari estranei che sono riflesso di interessi e momenti personali di Cadden.
A colpire sono infatti i segni del tempo in un volto, le spire del fumo di una sigaretta, la pelle, la vita nella lucentezza degli occhi, l’attenzione nel tratteggiare il logorio del legno, del metallo, la consunzione di un pavimento o di una strada ed il risultato finale è qualcosa d’impressionante tanto per la tecnica, quanto per l’emozione che si avverte essere impressa nell’opera, la si nota nell’espressività dei soggetti, nell’ambientazione ed è la stessa che poi traspare, comunica e colpisce.
Generalmente realizzate in formato A1 e A2, benché ne abbia eseguite anche superiori al metro quadrato, per portare a termine i suoi disegni, la cui valutazione è arrivata anche a sforare i 5mila euro, Paul Cadden può impiegare fino a circa due mesi, periodo di tempo durante il quale quasi mai lavora su di un’unica opera.
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