Fingerings: le spirituali simmetrie di Judith Braun
Lettrice di Dostoevskij e Jane Austen, affascinata dalla meccanica quantistica ed ammaliata dalla musica di Bob Marley, Otis Redding, Bob Dylan, fino a Macy Gray e Lady Gaga, Judith Ann Braun è un’artista visionaria, libera, da sempre avversa a vincoli e confini.
Quando a 20 anni, mi trovai con gli amici in spiaggia durante una notte stellata, mi resi conto che eravamo su un pianeta che fluttuava nello spazio.
Braun nacque nel 1947 ad Albany, capitale dello Stato di New York e l’amore per colori e matite sbocciò in lei già durante la prima infanzia, per cui terminate le scuole superiori cominciò la formazione artistica frequentando il Fashion Institute of Technology di Manhattan e dopo aver conseguito il diploma in Belle Arti presso l’Empire State College, ottenne il Master of Fine Arts studiando alla State University.
Al mondo dell’arte si mostrò all’alba degli ’80 esibendo un talento cristallino manifestato tramite realistici dipinti a olio, dove protagoniste erano in modo particolare figure angeliche. Espose alla Dia Art Foundation, White Columns, alla On The Wall Gallery, ovunque ricevendo ampio apprezzamento, ma nonostante i riconoscimenti lo spirito anticonformista e il desiderio di muoversi attraverso i tanti linguaggi per trovare e offrire la propria espressività, furono spinta per una continua sperimentazione.
Il mio modo di lavorare è cercare periodicamente il vuoto, dove le cose sono aperte e posso usare qualsiasi cosa, gravitando in una miriade di modi indefiniti […] In questo modo il processo e l’opera risuoneranno indirettamente, permettendomi di osservare e comunicare con essa, piuttosto che dirle cosa essere.
Un cammino durante il quale Judith Braun si guadagnò un posto di rilievo nel panorama artistico esplorando la pittura, creando istallazioni, realizzando opere xerografiche sovrapponendo parole alle immagini, affrontando esplicitamente tematiche sociali quali il razzismo, le differenze di genere, un sessismo che derise modificando persino il cognome Weinman, adottato dopo il matrimonio e con il quale era conosciuta, cancellando la connotazione maschile per trasformarlo in Weinperson. Emancipata, ironica, trasgressiva, radicale, riuscì a colpire e dividere critica e opinione pubblica con opere quali Blue Penis, Read My Pussy, The Sacred Order of the Burning Bush, Weinperson Got Away By The Skin Of Her Teat, lavori che le valsero mostre al museo Drawing Center di Manhattan, all’American Fine Arts e ad essere inserita fra le artiste della mostra Bad Girls, inaugurata nel 1994 al New Museum di New York a cura di Marcia Tucker: uno sguardo umoristico sulle questioni legate al movimento femminista mediante più forme di comunicazione, fra cui pittura, fotografia, scultura, letteratura, racconti a fumetti, arti performative.
Il piacere dell’estetica visiva deve essere uguale al concetto. Se il concetto o la narrazione pesa anche solo un po’ di più, il tutto diventa propaganda o illustrazione.
In seguito Braun conobbe un periodo di profonda difficoltà creativa ed economica, ma l’energia rigenerativa e la perpetua evoluzione che l’animano da sempre le permisero di risorgere all’inizio del nuovo millennio dando vita al progetto Symmetrical Procedures e poi Fingerings, complesse e suggestive opere realizzate con la sola grafite applicata con la punta delle dita. Paesaggi enormi ed estremamente dettagliati, figure astratte a volte sembianti in 3D, altre perfettamente simmetriche, spirituali, e formate da gesti simultanei o ripetuti delle mani, evocando nell’aspetto dei màndala, i diagrammi simbolici appartenenti al tantrismo induista e buddista.
L’astrazione mantiene le immagini libere di essere qualsiasi cosa, mentre la simmetria risolve quella fluidità in qualcosa, come energia liquida che si cristallizza.
Da allora le diteggiature di Judith Braun continuano a ipnotizzare il pubblico di gallerie e musei, ma è nel 2012 che l’artista meravigliò ulteriormente, compiendo il colossale Diamond Dust esposto al Chrysler Museum of Art di Norfolk, Virginia, un murale raffigurante un paesaggio dai toni surreali le cui dimensioni raggiungevano i 15 metri per larghezza e 4 di altezza.
Le anime dell’essere umano dipinte da Paolo Troilo
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