Juana Romani, genio e libertà di una donna, musa e pittrice
Edmond Bénard (1838-1907), Juana Romani nel proprio atelier al civico 24 di di Rue du Mont Thabor, Parigi, ca.1892
La pittura proviene da un luogo dove le parole non si possono esprimere.
Gao Xingjian
Nella mattinata del 30 aprile 1867, Giacinto Carlesimo (1841-1876) di Casalvieri e la moglie Anna Maria ‘Marianna’ Manuela Schiavi (1848-1909) di Gallinaro — residenti a Velletri e unitisi in matrimonio poco più d’un anno prima nella Cattedrale di San Clemente — vennero allietati dalla nascita di Giovanna Carolina, la quale — battezzata un quinquennio più tardi in medesima basilica — crebbe però senza a lungo potersi giovare della presenza paterna, egli rispondendo a richiamo della criminalità e lasciando famiglia nel 1868, periodo storico che vide la città fortemente soggetta ad atti di brigantaggio postunitario nello Stato Pontificio.
Improvvisamente sospesa tra soffocanti preoccupazioni, accudimento della figliola e sconsolata solitudine, Manuela Schiavi — che, insieme ai genitori ed alle sorelle Irene e Loreta, era giunta nella veliterna distesa fra Colli Albani ed Agro Pontino dalla val Comino nel 1866 — s’impiegò come domestica a servizio della borghese famiglia Romani, antica e blasonata casata, d’origini veneziane, presso la quale intraprese relazione clandestina con il discendente Angelo Nicola Temistocle (1836-1896), incontrando perentorio disappunto del di lui parentado, nient’affatto propenso ad accettar legami con una donna d’umile estrazione sociale, analfabeta, maritata e per di più con un brigante, ciò nonostante la coppia contrapponendosi ad ogni contrarietà e mantenendo in essere saldo rapporto amoroso.
Un triennio dopo aver ultimato ripartizione di beni fra gli eredi, nel maggio del 1876, il padre di Temistocle — Girolamo — si spense, accadimento che per il rampollo Romani e Manuela Schiavi — vedova di Giacinto Carlesimo da circa un quadrimestre — sciolse definitivamente qualsivoglia vincolo con Velletri, pertanto nel 1877 la coppia traslocando con Giovanna Carolina a Parigi e convolando a nozze l’anno seguente.
Ad accoglierne domicilio fu l’animato quartiere di Montparnasse — inglobato nel XIV arrondissement parigino — all’epoca popolato da moltissimi italiani, prevalentemente gallinaresi, in cerca di fortuna per lo più guadagnata posando come modelli, il cui sorriso in rientro nelle modeste dimore era direttamente proporzionale agli eventuali ingaggi ottenuti: sulla pittoresca “rive gauche” i coniugi Romani respirarono la fervente aria di modernità ch’era sorta sul rinnovamento urbano voluto dal barone, politico e funzionario Georges Eugène Haussman (1809-1891), prefetto del dipartimento della Senna da giugno 1853 a gennaio 1870, nonché fautore — sotto direttive del sovrano Carlo Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873) — del vasto processo di ristrutturazione della capitale francese.
Lunghi viali alberati, caffé, teatri, spazi verdi, monumenti, piazze, riqualificazione delle facciate e tutto quanto concepito dal rivoluzionario, ambizioso ed eterogeneo stile hausmanniano, contribuirono ad attirar gente da ogni dove — perlomeno fino al terribile sfacelo che sarebbe conseguito all’esploder del Primo Confitto Mondiale — effervescente atmosfera cosmopolita permeando ogni boulevard con suggestiva seduzione ed avvolgente splendore dal magnanimo Edmondo Mario Alberto De Amicis (1846-1908) incantevolmente descritti, con ammaliante entusiasmo, fra le pagine de Ricordi di Parigi, pubblicato nel 1879.
In siffatto e brioso clima, gli sposi condussero esistenza dignitosa, grazie alle ingenti somme in capo a Temistocle il quale, sperperata eredità nel giro di pochi anni, si saggiò in veste di musicista, mentre Manuela Schiavi contribuì all’economia familiare alternandosi fra il praticar sartoria — di cui era esperta — e il posar per il pittore/incisore, specializzato nella raffigurazione di soggetti in costume, Ferdinand Victor Léon Roybet (1840-1920), il cui atelier sito dal 1880 in Place Pigalle, slargo parigino pullulante di laboratori e internazionale punto di riferimento di pittori e letterati.
Di lì a un biennio, l’ormai adolescente Giovanna Carlesimo calcò materne orme, iniziando a posare per gli studenti accademici — dunque muovendo primi passi in sodalizi culturali dall’impronta maggiormente liberale rispetto all’impianto conservatore degli storici atenei — e resistendo a spossanti sedute senza mai soccomber a freddo, dolenza, noia o stanchezza: impegnativa gavetta si svolse, e non solo, all’interno dell’Académie Julian e dell’Académie Colarossi, entrambe valide e rinomate alternative all’École des beaux-arts, in quest’ultima vigendo divieto di frequentazione femminile fino al 1897 e inoltre ammissione essendo difficoltosa anche per i ragazzi, in quanto subordinata al superamento di selettive prove d’ingresso, rigorosamente dispensate in lingua francese.
Manifestazione di singolare bravura e rara resistenza fisica di Giovanna Carlesimo, le valsero ben presto l’esser contesa fra eminenti artisti, a cui si prestò ed essi immortalandone i giovani e volitivi lineamenti in sculture e dipinti: esordì nel 1882, offrendo volto al bronzo Diane Chasseresse di Jean-Alexandre-Joseph Falguière (1831-1900), il quale ancora ne perpetuò fattezze realizzando gesso Nymphe chasseresse, nel 1884 e a distanza di quattro anni, in marmo, esponendo a Parigi; seguirono poi Charles Émile Auguste Durand (1837-1917), Jean-Jacques Henner (1829-1905), Charles Victor Peter (1840-1918), Jean-André Rixens (1846-1925), Victor Prouvé (1858-1943), Ferdinand Roybet (1840-1920) e molti altri; di ciascuno ella cogliendo strumenti, metodologie, tecniche e così acquisendone, rubandone maestria.
Ad attento e lungimirante occhio di Filippo Colarossi — fondatore e direttore dell’omonima accademia — non erano sfuggite le capacità di Carlesimo, egli captandone l’immenso potenziale ed incentivandola a coltivar dote pittorica in un contesto innovativo, da lui creato nell’intento d’accoglier anche gli stranieri desiderosi d’approfondire studio nel settore e — soprattutto — di concretizzar a realtà parallelo desiderio da parte delle donne, per le quali mentalità dei tempi prevedeva purtroppo che predisposizione artistica venisse assecondata esclusivamente come forma di passatempo, ostacolandone speranza di tramutarla a professione di prerogativa assolutamente maschile, persino raddoppiando loro le rette di frequenza, rispetto a quelle riservate agli uomini.
In prolifico sessennio Giovanna Carlesimo — dal 1884 musa ispiratrice del succitato Ferdinand Roybet — raggiunse fulmineo apice di fama come modella, frattanto impegnandosi nell’acquisire nozioni in un ambito a lei talmente consono da celermente portarla ad abbandonare primaria professione e dedicarsi unicamente alla pittura, lasciando rammaricata nostalgia di sé: plausibilmente nell’obiettivo d’identificarsi con estrema chiarezza in un ruolo differente, si battezzò allo pseudonimo Juana Romani e il 14 aprile 1888 debuttò ufficialmente nel Salon — mostra annuale della Société des Artistes Français (SAF) — con Gitane, da una parte ricevendo plauso per innegabile competenza, dall’altra venendo sottolineato dalla critica quanto fosse ancor troppo influenzata dai docenti che l’istruirono, specialmente Duran ed Henner — per il quale altresì poserà fino al 1890.
Proiettata verso una fulgida carriera che l’avrebbe vista esporre ininterrottamente per diciassette anni e cocciutamente intenzionata a inseguire nitidi orizzonti, in barba a biasimevoli giudizi la Romani persistette nel nutrire passione, gradatamente perfezionando tratto e raccogliendo spunti a riguardo nel visionare quadri durante i frequenti viaggi effettuati insieme a Ferdinand Roybet — che dal 1892 ne divenne inseparabile compagno di vita — con lui in quell’annata recandosi a Milano, Venezia, Torino, Firenze, Roma, Napoli e nel 1893, durante una visita al Museo del Prado di Madrid, restando magneticamente affascinata dai dipinti barocchi di Diego Rodríguez de Silva y Velázquez (1599-1660), nell’analizzarne magistrale, realistica e precisa rappresentazione d’abiti damascati, posture, gestualità e sfumature dell’incarnato, dettagli che a Juana non passarono inosservati e che avrebbero contribuito all’arricchirne stile, eviscerando un talento innato e sempre più identitario, finalmente riconosciuto ed elogiato dalla critica, con positivo ed appagante eco oltre confine.
Rinnovatasi nell’immagine — utilizzata a fini pubblicitari di molteplici prodotti — Juana Romani lavorò anche come ritrattista d’élite, ampiamente ricercata dalle dame dell’alta aristocrazia: il suo nome rimbalzò sulle più importanti riviste, ma ciò che Juana amava prevalentemente dipingere erano antiche eroine protagoniste del passato o di poemi epici, istoriate sulla tela in maniera minuziosamente realistica, delineandone espressione fiera, intrigante, lasciva, a volte seriosa, innocente e raccolta, altre frivola, gaia e spensierata, nella sfaccettatura di fattezze visuali scandagliate con naturale destrezza, non di rado posando per lei la carissima amica, modella e poetessa Anna Caira (1876-?), emigrata da Gallinaro sul finire del diciannovesimo secolo e che, insieme alle sorelle Giacinta e Maria (1872-?) e al consorte di quest’ultima, nel 1889 aprì l’Académie Vitti, prima scuola di disegno per sole donne, al civico 49 di Boulevard du Montparnasse.
Trasversalmente elogiata, Italia, Spagna, Francia, Normandia, furono alcuni dei paesi in cui Juana Romani trascorse soggiorni in compagnia dell’innamorato e dedito Ferdinand Roybet, con cui nell’ottobre 1901 — a Velletri — condivise l’emozione dell’incontro con sindaco e cittadini, onorati di poter omaggiare una loro compaesana, meritatamente consacratasi tra le più note celebrità della Belle Epoque: al formale ritrovo — impreziosito dalla presenza d’artisti locali, uno su tutti l’arguto scrittore, poeta e giornalista romano Carlo Alberto Camillo Salustri, Trilussa, (1871-1950) — presenziò anche l’unico di lei allievo, ossia il pittore, fotografo e affarista, Claude-Antoine Lumière (1840-1911), che lasciò in dono un cinematografo; estremamente riconoscente al luogo natio, radicato nel suo cuore, Juana mise a disposizione della scuola d’arte velletrana cinquemila lire, da destinare a premi per scolari maggiormente virtuosi, ripetendo donazioni negli anni a venire.
In pieno e gratificante successo, nel 1903 la mente della Romani venne inaspettatamente scossa da crisi nervose e sentori di patologia psichiatrica, destabilizzante black out interiore che la costrinse a sospendere esposizioni, l’ultima d’esse avvenendo l’anno successivo al SAF, prima che devastante ed infimo malessere radicasse — sfrontato e irreversibile — nel senno di Juana, costringendola a metter definitivo punto all’adorata e prediletta attività e triste notizia venendo diffusa a mezzo stampa, il 3 dicembre 1905, dal News York Times.
Premurosamente sostenuta da Ferdinand, spesosi nell’immediato alla ricerca di svariati consulti specialistici, Juana tentò guarigione in differenti cliniche italiane, malauguratamente divorante affezione non regredendo e Juana Romani nell’autunno del 1906 accettando — spronata dalla madre e da un Roybet disperatamente alla ricerca d’una soluzione che le restituisse serenità — di ricoverarsi nella Maison de Santé Esquirol a Ivry-sur-Seine, che la ospiterà per quattordici lunghissimi anni, resi ancor più insopportabili dalla dipartita, nel 1909, di Manuela Schiavi, colei che costantemente assistette la figlia con il solo linguaggio dell’amore, puro e incondizionato, che nessuna scuola sarà mai in grado d’insegnare.
Lieve luce a rischiarar saltuariamente la cupa e spietata inquietudine che rapì Juana Romani, fu la benevola e fedele amicizia della pittrice Consuelo Fould (1862-1927), che mai l’abbandonò.
Nefasto destino s’abbatté nuovamente sugli affetti con la dipartita di Ferdinand Roybet nel 1920, medesimo anno in cui Juana — in preda a psicosi allucinatorie e deliri di persecuzione — venne trasferita in svariate strutture, terminando angosciante parte d’esistenza il 13 giugno 1923, nella casa di cura a Suresnes, in un angolo di mondo dimenticato.
Ne restano le peculiari pennellate di colore, steso con encomiata padronanza e miscelato in pieghe d’abiti, morbidezze corporee, sensualità di sguardi; restano visi colmi di dolcezza, vanità, gioia, malinconia… Resta lei… Indelebile animo — meravigliosamente libero e anticonformista — irriducibilmente pulsante in ogni donna dipinta e di vitalità intrisa.
«Una gloria tanto giovane, quanto luminosa, quella di Juana Romani, il cui successo va incrementandosi agli annuali Saloni sugli Champs-Élysées, artista del suo paese, erede di Tiziano, che sa crespare i tessuti in stile parigino se necessario. È naturale interprete della bellezza femminile, trovando in sé il tesoro da cui attingere, ma altrettanto risultando, nella potenza dell’esecuzione, interprete virile. Beltà e talento, credo mai, siano stati così profondamente uniti, come lo sono in lei, essere imperiosamente nato per l’arte e la seduzione, meravigliosamente dotato e tuttavia volitivo, ammirevole lavoratore e dall’operato, prosperoso al pari di una vera e propria fioritura».
Armand Silvestre (1837-1901), su Figures Contemporaines, Album Mariani, 1896
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