Illusioni ottiche: Quattro artisti per quaranta magie
Il mondo delle illusioni da sempre ha un fascino particolare, ognuno di noi almeno una volta nella vita ha lasciato con divertimento che figure geometriche, giochi di prospettiva, colori e immagini ingannassero l’occhio, o meglio, il cervello. Questo perché, come nel caso delle illusioni ottiche, è quest’ultimo che anticipa la vista di alcuni millesimi e ci fa vedere qualcosa che non esiste, che non corrisponde alla realtà.
Esempi più o meno noti ce ne sono a migliaia, l’ambiguo cubo di Luis Albert Necker, il triangolo di Kanizsa, l’illusione di Lingelbach fino alla celebre scacchiera di Andelson, il quale scoprì che il nostro cervello non percepisce un colore solo per quello che è, ma anche in relazione alle tinte che lo circondano. Uno dei più antichi disegni arrivati a confonderci le idee, è stato quello proposto nel 1892 dallo psicologo statunitense Joseph Jastrow, ma alle illusioni ottiche, facevano ricorso già gli antichi greci per migliorare l’aspetto delle architetture e a quanto pare, alcune incisioni rinvenute in siti archeologici fanno pensare che “giocare” con il cervello, sia una pratica la cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Secondo uno studio condotto da Adam Alter, professore di psicologia all’Università di New York, ciò che vediamo potrebbe addirittura derivare dalla cultura di provenienza e dalle esperienze personali. La ricerca infatti, basatasi sulla sottostante illusione di Müller-Lyer, che per decenni è stata considerata universale, ha evidenziato come le due rette vengano percepite di lunghezza differente dalla maggior parte degli europei, statunitensi e discendenti del Vecchio Continente in Sudafrica, mentre individui appartenenti a popolazioni dell’Angola settentrionale, della Costa d’Avorio, dell’Africa meridionale, come i Boscimani del Kalahari, regione desertica che si estende tra Sudafrica, Botswana e Namibia, non cadono nel tranello e vedono le due linee perfettamente identiche come sono in realtà.
Siamo noi ad ingannare il cervello o viceversa?
Nel 2008, ricercatori di Oxford hanno condotto uno studio che suggeriva come anche il dolore fosse in parte rilevato dalla vista, ovvero, nel momento in cui manchiamo il chiodo e il martello finisce inesorabilmente la sua corsa sul dito, per placare la fitta e gli imprechi, basterà guardarlo attraverso un binocolo rovesciato, il dito apparirà piccolo e distante, così come il dolore.
Non suggeriamo di provare col tentativo di screditare la ricerca, piuttosto, un esempio di quanto sia complicato e straordinario il nostro cervello, è la sensazione di persistenza di un arto dopo la sua amputazione, condizione appunto chiamata “arto fantasma” ed è ciò che provano molte persone, avvertendo anche dolore, prurito, l’impressione che possa muoversi e secondo i ricercatori, questo avrebbe a che fare con una specie di mappatura che il cervello mantiene del nostro corpo, effetto che dimostrerebbe come possa essere semplice modificare la percezione cerebrale di noi stessi ed in futuro, questo potrebbe essere sfruttato per combattere disturbi come l’anoressia.
L’arte e le illusioni ottiche: Octavio Ocampo
A studiare il fenomeno, nei secoli si sono scomodati illustri filosofi, fisici, psicologi, scienziati, ma dai “volti ortaggio” di Giuseppe Arcimboldo ai mondi impossibili di Maurits Escher, da Cigni che riflettono elefanti di Salvador Dalì, fino alle Zebre che corrono di Victor Vasarely, neanche l’arte è rimasta insensibile all’incanto delle illusioni ottiche ed oggi, che si tratti di body painting, street art o fotografia, possono ancora oggi vantare grandi artisti, tra i quali, è obbligo citare Octavio Ocampo.
E’ difficile pensare che possa esserci ancora qualcuno che anche solo per errore non si sia imbattuto in una delle sue opere, visioni surreali dove tutto si forma e si trasforma ed ogni dipinto sono due, cinque, dieci dipinti, che oltre alla magia riflettono in qualche modo anche l’essenza di quel Messico dove nacque il 28 febbraio del 1943, a Celaya, città dello stato di Guanajuato.
Cresciuto in una famiglia di artisti, a 18 anni, anche incoraggiato niente meno che da Ruth Rivera, figlia di Diego Rivera, Ocampo s’iscrive alla scuola di scultura e pittura “La Esmeralda” di Città del Messico, per poi frequentare l’Art Institute di San Francisco dal 1972 al 1974, dove studia inoltre danza e recitazione, esperienza che lo porterà a realizzare scenografie per opere teatrali e molti film messicani e statunitensi.
Negli anni, Octavio Ocampo ha partecipato a mostre collettive in tutto il mondo, oltre ad aver esposto in le proprie opere in mostre personali in Messico, Europa, Medio Oriente, Stati Uniti, Canada e America Latina. Pitture che fanno altresì parte di numerose collezioni come quelle presenti all’Istituto Nazionale di Belle Arti del Messico, il Museo della Regina Sofia di Madrid, la Collezione Jane Fonda e il Museo Jimmy Carter di Atlanta ed inoltre, Ocampo ha realizzato anche murales che oggi decorano le pareti del Palazzo Nazionale del Messico, la sede del Governo di Guanajuato e l’Istituto Tecnologico di Celaya, sua città natale che nel 2009 ha iniziato la costruzione di un museo a lui dedicato, per aprire al pubblico oggi, 21 marzo 2018.
Le immagini nascoste di Oleg Shuplyak
Guardare le nuvole e vedere volti umani, animali, è quella che viene definita pareidolia, ovvero scovare istintivamente forme conosciute in immagini confuse, caotiche, insomma illusione nell’illusione ed è quello che ci porta a fare Oleg Shuplyak, artista ucraino nato a Bishche, il 23 settembre del 1967.
In un primo momento le sue opere possono ricordare vagamente le “Teste Composte” del già citato artista milanese Giuseppe Arcimboldo, ma sebbene spesso la natura sia anche qui pennello, quelli di Shuplyak sono quadri che ne vanno a comporre uno superiore che è poi quello immediatamente ad un primo sguardo. Hidden Images, immagini nascoste è infatti il nome con il quale ha battezzato la sua serie di dipinti, immagini evidentemente studiate nei minimi particolari e benché coscienti del trucco, come bambini di fronte al mago, lasciamo che la mente gongoli dell’illusione.
Laureato in architettura al Lviv Polytechnic National University, oggi Oleg Shuplyak vive a Berezhany e nella sua galleria di ritratti, compaiono volti di personaggi come Leonardo e la sua Monna Lisa, Vincent van Gogh, John Lennon, Salvador Dalì e molti altri.
Fiabesche illusioni ottiche di Robert “Rob” Gonsalves
Non ha certo bisogno di presentazioni Rob Gonsalves, pittore e musicista canadese, autore di fiabeschi dipinti in cui l’occhio si perde in mondi sconfinati, soggetti, sfondi, tutto sembra uscire dalla tela e proseguire in un delicato e continuo divenire.
Nato a Toronto il 10 luglio del 1959, già dall’infanzia dimostra particolare predisposizione per il disegno, trascorreva intere giornate sopra fogli di carta, lasciando libera quell’immaginazione che sarà amata in ogni angolo del pianeta.
Dopo aver frequentato l’OCAD e la Ryerson University, Gonsalves lavora per circa un paio di anni in uno studio di architettura, ma dopo il successo conseguito alla Toronto Outdoor Art Exhibition nel 1990, lascia tutto per dedicarsi pienamente alla pittura.
Sebbene nei sui dipinti sia evidente la passione per l’architettura, altrettanto lo è l’influenza dei grandi maestri del surrealismo e del realismo magico: René Magritte, Salvador Dalì, M.C. Escher, Yves Tanguy, è a loro che s’ispira agli inizi, riuscendo poi a creare uno stile ed una visione del tutto personali. La svolta arriva quando una galleria di Washington D.C. inizia a vendere alcuni suoi dipinti e un’opera finisce nella copertina del libro Master of Deception.
Nel 2003, pubblicato dalla Simon & Schuster, esce il suoi primo libro contenente 16 illustrazioni, s’intitola Imagine a Night, opera sulla quale la rivista canadese Quill & Quire, recensitrice di libri e magazine, scrisse: “I dipinti possono essere scrutati più e più volte ed ogni volta, chi osserva vedrà qualcosa di nuovo”.
Nacque così la celebre serie di opere con l’imperativo “immagina” e l’anno successivo, fu il turno di Imagine a Day, vincitore del Governor General’s Awards, nel 2008 uscì Imagine a Place e profetico, sette anni più tardi pubblicò Imagine a World, quasi che non ci fosse null’altro oltre il quale andare.
Il 14 giugno del 2017, all’età di 58 anni, Rob Gonsalves si toglie la vita, lasciando come ultimo dipinto, un giovane che si arrampica su un albero e sporgendosi da un ramo, osserva un laghetto dall’aspetto simile a quello del nostro Pianeta, visto dallo spazio.
L’arte figurativa di Tom French
Nato nel 1982 a Newcastle Upon Tyne, città del nord-est dell’Inghilterra, Tom French è figlio d’arte, cresce quindi visitando gallerie, mostre, è incoraggiato a disegnare, dipingere ed inizia quindi gli studi frequentando la Newcastle School of Art per poi diplomarsi all’istituto d’arte di Sheffield nel 2005.
Ispirato dai dipinti di Max Ernst, dai romanzi della Beat Generation, dal surrealismo poetico di André Breton, Tom French riesce a combinare tradizione accademica e realismo contemporaneo, lavorando prevalentemente a carbone, pittura ad olio e solo occasionalmente utilizzando anche inchiostro, spray e acrilici.
Illusioni ottiche monocromatiche, crude e di forte impatto visivo: “C’è qualcosa di speciale – afferma l’artista britannico – nella semplicità di usare solo luci e ombre, e anche se non sono affatto minimalista, mi piace la purezza di tutto questo”.
Inquietanti ed affascinanti, i dipinti di French sembrano catturare un’istante e rimanere sospesi nel tempo, volti e teschi che tornano e si ripetono, attraverso i quali French accosta astrazione e realismo, esplorando l’emotività e l’effetto della stessa sul sé soggettivo, giustapponendo quindi coscio ed inconscio, in cui si muovono figure che diventano particolari e soggetti inconsapevoli della scena nella sua interezza.
Le sue opere sono state esposte al London Art Fair, allo Scope di New York e Miami, fra il 2015 e il 2017 ha esposto più volte alla Lawrence Alkin Gallery di Londra e tra le numerose collaborazioni, è inclusa la copertina per la colonna sonora del cult movie Donnie Darko.
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