Anamorfosi: l’antica arte delle illusioni ottiche
Julian Beever, Edgar Müeller, Nikolaj Arndt, Leon Keer
L’anamorfosi è nell’arte, l’antica e affascinante miscela di geometria e psicologia della percezione capace di dar vita a realtà illusorie, in cui forme altamente distorte e mal decifrabili, nascondono immagini perfettamente proporzionate. Il vocabolo anamorfosi deriva infatti dal greco ἀναμόρϕωσις, termine coniato attorno al XVII secolo che significa ‘riformazione’ ed è usato per indicare una delle tecniche, al pari del sotto in su o della quadratura, impiegate per creare un effetto tridimensionale.
Inversamente alla prospettiva naturale, dove le parti maggiormente distanti del disegno hanno dimensioni minori, pionieri dell’anamorfosi furono il genio di Piero della Francesca che ne anticipò gli sviluppi nel trattato De Prospectiva pingendi ed il corregionale Leonardo da Vinci con il Codice Atlantico. E’ nel corso del Rinascimento che prese a divulgarsi e celebri esempi ne sono dipinti come Ambasciatori, realizzato nel 1533 dal pittore tedesco Hans Holbein il Giovane, dove quella che può apparire come una strana macchia in primo piano è il realtà un teschio; oppure il ritratto di re Edoardo VI conservato nella londinese National Portrait Gallery ed eseguito da William Scrots nel 1546 e ancora l’affresco dello scienziato e teologo francese Emmanuel Maignan presente nel convento di Trinità dei Monti, a Roma: un anonimo panorama costiero con imbarcazioni e case fra le colline che, se osservato da una determinata angolazione e distanza, rivela l’effigie di San Francesco di Paola assorto in preghiera.
Prospettiva anamorfica ormai da anni ampiamente adoperata per le scritte pubblicitarie apposte sui bolidi di Formula 1 e altrettanto sui campi da calcio, affinché gli sponsor siano in favore di telecamera, tuttavia è ancora l’arte l’illusionista per eccellenza, offrendo tramite i suoi tanti interpreti opere incantevoli, straordinariamente complesse e spesso fugaci, in quanto create in strada e dunque esposte alle volontà del tempo.
Un viaggio fra le opere di 4 artisti che hanno raccolto l’eredità dei Madonnari per portarla in un’altra dimensione
Julian Beever
Autore di opere che gli hanno fatto guadagnare il soprannome di Pavement Picasso, Julian Beever è con Kurt Wenner, tra i maggiori fautori della rinascita della figura del Madonnaro, discostandosi però da essa per l’utilizzo del trompe-l’oeil e dell’anamorfosi, creando lavori dal grande impatto visivo. Nato nel 1959 a Cheltenham, nella verdeggiante regione inglese di Cotswolds, è però cresciuto a Melton Mowbray, cittadina situata nel Leicestershire dove i genitori si trasferirono quando aveva appena 2 anni. Talento e passione per il disegno si palesarono sin dalla prima infanzia e altrettanto l’interesse per la percezione visiva e dello spazio. Terminate le scuole superiori frequentò un corso di arte moderna al Leicester Polytechnic, l’attuale De Montfort University, dopodiché continuò la formazione studiando dal’79 all’82 presso la Beckett University di Leeds, concentrandosi sulla pittura classica e guardando con particolare attenzione la tecnica del pastello, gettando le basi per una carriera che lo avrebbe visto girare e dipingere il mondo.
Il legame con la strada ebbe inizio dopo aver conosciuto un saltimbanco durante l’ultima edizione dello Stonehenge Free Festival, leggendaria manifestazione andata in scena per 10 anni a partire dal 1974, ospitando concerti di musicisti come Joe Strummer, Benjamin Zephaniah, Jimmy Page, Sugar Minott, Misty in Roots.
L’incontro lo spinse a tentare una vita che sentì congeniale anche per soddisfare l’innato desiderio di viaggiare e così, dopo aver imparato numeri e acquisito abilità intraprese l’avventura spostandosi da un luogo all’altro aiutando le tasche con decine di mestieri: giardiniere, assistente fotografo, insegnante, s’inventò persino burattinaio, portando nelle piazze il tradizionale spettacolo britannico che ha per attori la coppia Punch e la moglie Judy. Con il teatrino itinerante si trovava a New York quando per la prima volta s’imbatté nell’opera d’uno street artist che lo folgorò all’istante. Realizzò esser l’arte che gli era propria, per cui abbandonò le marionette in favore di gessi e pastelli.
In principio riproduceva i lavori dei grandi del passato come Raffaello, Leonardo, Albrecht Dürer, Dante Rossetti e l’intuizione della prospettiva anamorfica arrivò nei primi anni ’90, in Belgio: «Ho iniziato in una zona pedonale di Bruxelles dov’era stato rimosso un vecchio giardino. Venne lasciato un insolito rettangolo con la pavimentazione lastricata e mi venne l’idea di trasformarla in una piscina disegnata nel bel mezzo della strada principale. Ha funzionato a tal punto che ho provato altre varianti come un pozzo in cui facevo precipitare persone. Mi resi presto conto che se riuscivo a far sembrare oggetti entrare nel terreno, avrei potuto anche farli saltar fuori».
Con la fotografia capace di eliminare la fuggevolezza che caratterizza questo genere d’arte di strada e alla diffusione offerta da internet, in pochi anni la mano di Julian Beever raggiunse ogni angolo del Pianeta e cominciò anche a ricever commissioni da società private.
La mia arte è per chiunque, è per chi non entrerebbe in una galleria d’arte. È arte per le persone.
Edgar Müeller
Guru della pittura 3D, Edgar Müller è nato il 10 luglio 1968 a Mülheim an der Ruhr, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, ma a vederlo crescere è stata la vicina Straelen, cittadina situata ai confini con i Paesi che l’artista iniziò a rappresentare durante l’infanzia mostrando notevoli capacità che i genitori non mancarono d’incoraggiare. Negli anni successivi continuò quindi a coltivare la passione e come autodidatta, si concentrò maggiormente su opere classiche riproducendole con tale perfezione da sfiorare il falso d’autore.
Dote che mantenne e traslò nell’arte di strada quando adolescente venne da essa affascinato e i primi riconoscimenti arrivarono verso i 19 anni per una fotocopia della Cena di Emmaus di Caravaggio. Ispirandosi a Kurt Wenner e Beever, Edgar Müller si avvicinò alla pratica dell’anamorfosi sviluppando un proprio linguaggio e in breve tempo divenne inconfondibile sia nella mano che nei soggetti. Interpretazione ed espressività che volle concedere esclusivamente agli spazi pubblici dopo circa un lustro, una scelta non facile che lo portò a viaggiare prima in Europa e poi in tutto il mondo creando opere colossali dove, con uno stile rimasto legato alla tradizione, ad essere rappresentate sono il cuore della Terra, vertiginosi crepacci glaciali, gigantesche cascate, soggetti realizzati attraverso un processo artistico che Müller ha definito come un modo per «giocare con gli aspetti positivi e negativi, e incoraggiare le persone a pensare due volte a tutto ciò che vedono».
Nel 2009, coprendo un’area di 330m² con i personaggi del film di animazione L’era glaciale si aggiudicò il Guinness World Record e l’anno successivo, alla 1° edizione del Chalk Festival di Sarasota, in Florida, fu autore di Save Me, un rivoluzionario dipinto tridimensionale raffigurante un guerriero che al calar della sera lasciava affiorare un bambino allo stadio embrionale.
Non sono un cacciatore di record, ma dato che desidero conferire un aspetto diverso agli spazi pubblici, per cambiare la quotidianità devo fare qualcosa d’immenso. Se voglio modificare una strada, allora devo coprirla per intero, questa è la ragione per cui i miei dipinti sono così grandi.
Nikolaj Arndt
Nikolaj Arndt è nato l’11 maggio 1975 a Gavrilov Posad, città della Russia europea situata nel circondario federale centrale. L’amore per tele e pennelli sbocciò quand’era bambino, una passione coltivata e incoraggiata dai genitori che lo ha portato a frequentare la sezione di arti grafiche presso l’Istituto Pedagogico di Jur’ev-Polskij, l’attuale liceo delle scienze umane. Dopo aver conseguito il diploma si stabilì nel vicino capoluogo della regione, Ivanovo. Vi rimase per dieci anni, un periodo durante il quale si dedicò alla pittura a olio spaziando fra ritrattistica, natura morta, di paesaggio, realismo magico e per finanziarsi dipingeva e vendeva le opere anche nei mercatini locali.
A notarne un quadro fu un facoltoso uomo d’affari e nei mesi successivi al primo acquisto fra le bancarelle, commissionò ad Arndt molti altri lavori permettendogli di guadagnare una somma significativa. Nel 2006, insieme alla moglie Arina e al figlio Andrej, decise di lasciare la Russia per andare vivere a Neustadt, in Germania; uno dei paesi che può dirsi patria della street art e infatti non passò molto tempo perché rimanesse incantato dalla nuova generazione di Madonnari.
Accadde nel 2009, quando lo studio e l’esperienza gli avevano già consentito di trovar lavoro come insegnante d’arte. La città era pronta ad inaugurare la sua 1° edizione del festival dedicato ai pittori di strada, ma nel frattempo, a Gheldria stava svolgendosi lo storico concorso internazionale che dal 1979 ogni anno chiama a sé più di 500 artisti provenienti da tutto il mondo che trasformano il piccolo centro in un museo a cielo aperto.
Incuriosito da una tecnica che non conosceva e in attesa di veder lo spettacolo che sarebbe poi andato in scena a Neustadt, Nikolaj Arndt si fece spettatore e si recò alla kermesse.
In mezzo a tanti venne folgorato da un’opera di Edgar Müeller e all’istante, non solo volle provare a guardare attraverso la distorta lente dell’anamorfosi, ma prese parte all’evento organizzato nella sua città realizzando un’aquila e un delfino. L’anno successivo invece, con il ritratto di una tigre che fece il giro del web, vinse il concorso di Gheldria.
Usando solo gesso, la polvere da esso ricavato e acqua con zucchero come deterrente per proteggere il lavoro dal vento, da allora Nikolaj Arndt ha partecipato a numerosi festival aggiudicandosi altrettanti premi con opere 3D dove dagli abissi emergono megattere, orche, squali, mentre nel terreno e nei muri si aprono universi dai toni fiabeschi in cui si muovono felini, orsi, cavalli, elefanti e tra una manifestazione e l’altra, insegna arte e collabora con agenzie pubblicitarie e gallerie.
Per me, la cosa principale nell’arte è dare emozioni positive alle persone. Quando sorridono davanti alle mie pitture, sono felice.
Leon Keer
In assoluto tra i più influenti nel panorama della street art anamorfica, Leon Keer ha firmato capolavori realistici espressi con medesima maestria sia su larga che su piccola scala.
Nato nel 1970 a Utrecht, nei Paesi Bassi, Keer ha studiato alla University of Applied Sciences di Breda, nella provincia del Brabante Settentrionale e ha poi fatto esperienza dipingendo in locali aperti al pubblico come bar, discoteche, finché non arrivarono incarichi di murales pubblicitari da multinazionali come Heineken, Coca-Cola, Red Bull, Schweppes, Absolut Vodka. Progettazione e produzione che lo hanno portato a sviluppar interesse e conoscenze verso differenti tecniche, materiali e sebbene la fama sia principalmente dovuta ai lavori compiuti in esterno, l’artista libera l’inventiva anche in studio continuando a combinare strumenti e sistemi sperimentando diverse forme d’arte. e come nella strada Leon Keer realizza opere in 2D, 3D, superando anche in studio continuando a combinare combinando differenti tecniche e materiali
A ispirarne la creatività sono temi di attualità, l’ambiente, la sostenibilità, argomenti che riflette nelle opere ricorrendo spesso alla metafora e che ama concretizzare soltanto dopo esser entrato in contatto con le persone del luogo e aver preso confidenza con il territorio.
Ogni pezzo di street art è unico e appartiene alla strada e ai suoi abitanti, il fatto temporaneo di questa forma d’arte rafforza la sua esistenza.
Opere in 2D, illusioni ottiche in 3D e negli ultimi anni, sfruttando le tecnologie object recognition ha superato quest’ultima dimensione fornendo ai dipinti ulteriori informazioni raggiungendo la Realtà Aumentata: «Un’opera di street painting può incorporare nell’immagine dei marcatori, oppure l’opera stessa può essere concepita come marcatore. Scannerizzando poi l’immagine con la fotocamera di uno smartphone o di un tablet, è possibile mostrare sullo schermo oggetti virtuali come immagini, testi, video, che non possono venire percepiti soltanto con la vista. Toccando lo schermo del proprio dispositivo si è inoltre è in grado di interagire con questa realtà aumentata: l’oggetto virtuale può essere esplorato, e nuove informazioni possono essere estratte».
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