Panmela Castro, l’arte per i diritti delle donne
Street Art per sostenere i diritti delle donne, questo è l’impegno che da anni porta avanti l’artista brasiliana Panmela Castro, cercando di fare informazione e tenere alta l’attenzione su un problema come quello della violenza di genere, un fenomeno che non ha confine e contro il quale si fa ancora troppo poco.
In tutto il mondo, rileva l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 35% delle donne è vittima di violenza, che è prima causa di morte e di invalidità permanente tra le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni.
In Brasile, la percentuale sale all’88,5%, un dato che tradotto, significa che ogni 11 minuti una donna è vittima di abusi, laddove ogni giorno, almeno 15 donne vengono uccise.
Nondimeno succede in Italia, anzi, i dati forniti dal Ministero dell’Interno evidenziano come a fronte di un impercettibile calo di violenze sessuali commesse dagli stranieri, siano invece in aumento quelle attribuite a italiani, nei primi sette mesi del 2017 infatti, sono state 1534, contro le 1474 riferite allo stesso periodo nel 2016.
Cifre ancor più spaventose se unite a quanto contenuto nel dossier di Terres des Hommes, legato alla campagna Indifesa. Presentato lo scorso 11 ottobre in occasione della Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze, dall’indagine emerge che nel mondo “2 bambine su 3, nella fascia di età che va dai 10 ai 14 anni, subiscono regolarmente punizioni corporali”, mentre in età compresa tra i 15 e i 19 anni, “si stima che circa 70 milioni di ragazze siano state vittima di una qualche forma di abuso fisico”.
La stessa Panmela Castro – che in terra natia è ormai la “regina dei graffiti” – ha conosciuto l’angoscia e la sofferenza causate dai continui abusi in ambito familiare, una violenza contro la quale in Brasile è prevista una legge specifica e approvata il 7 agosto 2006.
Porta il nome di Maria da Penha, laureata in farmacologia e oggi attivista entrata a far parte dei volti simbolo nella lotta per i diritti delle donne, quando dopo esser sopravvissuta alla furia omicida del marito, alla violenza si è ribellata.
Nel 1983 l’uomo tentò di ucciderla due volte, prima sparandole un colpo d’arma da fuoco che la costringerà alla sedia a rotelle, poi cercando di folgorarla; solo allora Maria da Penha trovò la forza di denunciare.
Una causa che si è protratta per due decenni, per poi concludersi nel 2002, con l’arresto del marito e una pena inflitta di appena due anni.
Maria da Penha fece quindi ricorso alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, che non solo accolse la denuncia, ma costrinse il governo brasiliano ad adottare una legge volta a condannare gli abusi di genere.
Una storia quanto mai simile a ciò che ha vissuto Panmela Castro, costretta a subire le vessazioni del marito considerandole qualcosa di “normale”, finché dopo esser finita in ospedale per le ferite riportate dopo l’ennesima esplosione di rabbia dell’uomo, con l’aiuto della madre riesce a fuggire, e a rivolgersi alla polizia.
Era il 2004, la “Legge Maria da Penha” non esisteva ancora e Panmela capì ben presto che non avrebbe visto punire il suo aggressore e sarà quindi la sua approvazione a dare maggior spinta al lavoro di Panmela.
Avventurandosi tra le baraccopoli, i suoi murales sono strumento attraverso il quale liberarsi e raccontare il proprio dolore, fare denuncia a nome di ogni donna, ma sono anche mezzo d’informazione per portare consapevolezza sull’esistenza della legge, educare le donne sui loro diritti affinché trovino la forza di spezzare il silenzio.
Nata nel 1981 a Rio de Janeiro, Panmela Castro si laureata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti nel 2007, ha un Master in Processi Artistici Contemporanei conseguito nel 2013 ed presidente e fondatrice di Rede NAMI, organizzazione femminista che promuove l’arte di strada come strumento di trasformazione sociale, svolgendo workshop e numerose campagne atte a sensibilizzare e contrastare la violenza.
Iniziative che ne hanno fatto una figura di spicco della street art brasiliana e non solo, le opere di Panmela Castro, anche nota con il nome di battaglia Anarkia, appaiono sui muri di mezzo pianeta, da New York a Parigi, da Santiago a Oslo, da Gerusalemme a Vienna.
Un assiduo impegno che nel 2015 le è valso il premio di Imprenditore Sociale dell’Anno in America Latina e nello stesso anno, l’hanno portata ad esser nominata tra le “150 donne che muovono il mondo”, mentre il World Economic Forum, l‘ha inserita tra gli “Young Global Leader“, ovvero quei giovani sotto i 40 anni, che nel mondo stanno mettendo il proprio talento al servizio della società, contribuendo alla risoluzione delle criticità che più l’affliggono.
“Dobbiamo cambiare il significato dell’essere donna nel mondo”
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