Ernest Pignon-Ernest, urlo e voce poetica dei muri
Attento e sensibile alle problematiche sociali, Ernest Pignon-Ernest è grido e voce poetica dei muri che raccontano l’uomo, l’istante e la memoria dei luoghi, le asprezze e le angherie che da sempre solcano i tempi.
Nato a Nizza il 23 febbraio del 1942, è Pablo Picasso con la sua capacità innovativa e l’impatto che le sue opere avevano sul mondo, a far crescere al giovane Ernest Pignon il desiderio di dipingere e “quasi contemporaneamente, la sensazione che non sarebbe stato possibile farlo dopo di lui”, dirà l’artista molti anni dopo quel suo primo lavoro sull’Altopiano d’Albion, in protesta alla decisione del governo francese, di piazzare in quella che fu terra delle popolazioni celto-liguri, una base di lancio di missili nucleari balistici.
Era il 1966 ed Ernest Pignon si era da poco stabilito con la moglie Yvette a Vaucluse, per dedicarsi interamente alla pittura. Alla notizia di trovarsi a pochi chilometri da una tale struttura militare, iniziò a documentarsi su quanto accadde nel ’45 a Hiroshima, quando davanti ai suoi occhi, apparse una fotografia che testimoniava una delle tante “ombre umane” che la radiazione termica aveva inciso sui muri.
L’artista si convinse che non avrebbe potuto richiamare tale tragedia attraverso la pittura, perciò partendo proprio da quella fotografia, ricreò uno stencil che andò poi ad incollare sui muri, strade e rocce che conducevano all’altopiano, «come un segnale» dirà Pignon-Ernest, «immagine emblematica del momento storico, in cui un intervento umano ha dimostrato che non solo poteva disintegrare centinaia di migliaia di persone, ma anche minacciare l’intera umanità».
Oggi al pari di una leggenda vivente, Ernest Pignon-Ernest è tra i pionieri dell’arte di strada e non solo francese, con i suoi interventi urbani, da sempre ha cercato di portare l’attenzione e fare opera di sensibilizzazione affrontando temi quali la povertà, il razzismo, l’immigrazione, i soprusi, le carestie, le realtà e le contraddizioni di un luogo attraverso un profondo studio della sua cultura.
I luoghi sono i miei materiali essenziali. Cerco di comprendere, di cogliere tutto ciò che si può vedere – spazio, luce, colori – e allo stesso tempo tutto ciò che non può essere visto: storia, i ricordi che cercano un posto, è suggestivo, potente e poetico
In Italia, uno dei suoi primi interventi risale al 1980 quando un’opera che ritraeva Pier Paolo Pasolini, uomo che in vita come in morte ha diviso l’opinione pubblica senza lasciare spazio a sfumature o lievi miscele d’idee, apparì a Certaldo, città del Boccaccio che con il suo Decameron ispirò l’artista bolognese.
Un Pasolini appeso a testa in giù e che riappare venticinque anni dopo nei luoghi legati alla sua vita e stavolta, sono vita e morte che si fanno uno, un rapporto che a fine anni ’80, fu al centro di una ricerca sulla cultura mediterranea, concretizzandosi in una serie di opere che andarono a tappezzare vicoli e palazzi del centro storico di Napoli, spesso ispirati a pittori come Caravaggio, Massimo Stanzione o Jusepe de Ribera.
Legato ai concetti del Fluxus e del Situazionismo, realizzati a grandezza naturale facendo uso della tecnica della pasta di grano, i suoi poster nascono perché interagiscano con il contesto, esprimendone l’essenza immortalando istanti di vita quotidiana, rievocando le tradizioni, le sacralità, raffigurando uomini simbolo e quelli che gli eventi renderanno tali.
Personaggi come Rimbaud, Rubens, Neruda e altrettanto Bob Marley e Jimi Hendrix che s’incontrano con Bernard Lubat o Luis Sclavis. Prese di posizione contro l’apartheid, le espulsioni, l’aborto, sono i momenti di Soweto, della battaglia di Algeri e la scomparsa di Maurice Audin, opere forti, radicali, politiche e che a loro volta diventano parte di quel patrimonio popolare che raccontano.
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