Zebre, selvaggia e raffinata eleganza d’Africa
Vuoi essere simile alla natura degli dei?
Sii misericordioso con gli animali: la dolce misericordia è il vero segno della nobiltà.
William Shakespeare
Meravigliose creature animali costellano cieli, navigano mari e popolano terre, fra queste le splendide zebre, eleganti mammiferi — con areale in gran parte dell’Africa — le cui dimore predilette lussureggianti savane, praterie, distese erbose, montagne, colline, boschi aperti o comunque zone in cui l’acqua abbondi, motivo alla base dell’istinto nomade che le conduce perennemente alla ricerca di territori idonei al mantenersi ben idratate e nutrite, percorrendo centinaia di chilometri per raggiungere luoghi confacenti ad un’esistenza pacifica e salutare, a volte condividendo viaggio con imponenti gnu e saltellanti gazzelle oppure bagni d’acqua con mastodontici rinoceronti, il peculiare quadrupede fiero presentandosi agli occhi del mondo bizzarramente ricoperto da irsute strisce che la natura dipinto — e posato a contrasto — su un corpo robusto, all’incirca oscillante fra i duecento e gli oltre quattrocento chilogrammi, distribuiti su una lunghezza che spazia dai due ai tre metri — coda inclusa — e un’altezza compresa fra il metro e il metro e mezzo.
A variarne lievemente peso e morfologia è la specie, infatti nel genere di mammiferi Equus — unico superstite della famiglia Equidae a cui le zebre appartengono nei sottogeneri Hippotigris e Dolichohippus — riconoscendosi:
Equus grevyi, o «zebra imperiale», sottogenere Dolichohippus — detenente il primato di grandezza — molto simile al mulo, con ampie orecchie, collo taurino, righe strette e ravvicinate, mancanti tanto sulla coda quanto sul candido ventre; allo stato brado popolante Etiopia e Kenya, la zebra imperiale è fortemente protetta, poiché variazione dell’habitat e caccia sfrenata — allo scopo di defraudarla del pregiatissimo mantello — l’hanno tristemente decimata.
Equus zebra, altrimenti «di montagna», sottogenere Hippotigris, avente in comune con l’Equus grevyi la pancia bianca, viceversa le bande che l’avvolgono sono più larghe e presenti anche sulla base della coda, infine le allungate e appuntite orecchie sovrastano un muso dalle fattezze equine e giogaia sul collo; autoctona del Sudafrica, dell’Angola sud-occidentale e della Namibia, Equus zebra zebra, «del Capo», ed Equus zebra Hartmannae, «di Hartmann», ne sono le due sottospecie, sebbene alternative classificazioni tendano a separarle per alcune differenze fra loro, ad esempio nell’Equus zebra zebra sussistendo dimorfismo sessuale — dacché la femmina più grande del maschio — e le due sottospecie essendo allopratiche, ovvero non sovrapponendosi areale.
Equus quagga, «di pianura», sottogenere Hippotigris — come l’Equus grevyi somigliante al cavallo — oltre che specie più numerosa e diffusa, l’unica ad eccezionalmente aggregarsi in mandrie — presente in Angola, Sudafrica, Etiopia e Africa orientale — con liste nere della massima larghezza, ricoprenti anche pancia e coda, muso generalmente scuro, un corpo più tozzo rispetto alle altre due specie e possibili variazioni strutturali, proprie a determinate sottospecie, ossia:
• Equus quagga boehmi, «di Grant» o «Boehm», la più piccina fra tutte;
• Equus quagga borensis, anche detta «senza criniera», per esplicite ragioni;
• Equus quagga burchelli, «Burchell», con linee d’ombra sulle fasce bianche;
• Equus quagga chapmani, «di Chapman», condivide con l’Equus quagga burchelli liste brune su latteo sfondo, ma sfumate sui bordi;
• Equus quagga crawshavi, uniche ad avere un cornetto dentario — l’infindibolo —in meno negli incisivi;
Alle cinque sottospecie suddette, alcuni zoologi aggiungono l’Equus quagga Selousi, «zebra di Selous», vivente nella parte occidentale del Mozambico e nella orientale dello Zimbabwe, le cui rigature molto nette ed estese dappertutto, ma sottilissime su gambe, muso e collo; discorso a parte — in quanto purtroppo estinta – riguarda l’Equus quagga quagga, particolarissimo soggetto con capo e collo zebrato, dorso e fianchi bruni, pancia, gambe e coda biancastri, ad immortalarne l’incredibile mescolanza cromatica una manciata di foto — perlomeno le uniche note — scattate presso lo zoo di Londra, fra il 1863 e il 1870, peraltro dal 1987 ambizioso e nobile progetto prendendo forma su ingegnoso sprone dello storico naturale tedesco Reinhold Eugen Rau (1932-2006), al fine di riprodurre — secondo selezione artificiale breeding back — una tipologia del tutto simile, nella speranza di rimediare in qualche modo all’ingrata scomparsa dell’atavico esemplare.
Nella notte del 15 settembre 2019, una zebra bruna e punteggiata — battezzata Tira — è nata in Kenya, al Maasai Mara National Reserve, l’evento suscitando comprensibile emozione negli uomini, nondimeno alquanto preoccupando gli esperti, poiché frutto di una mutazione genetica che si teorizza incontrovertibilmente correlata al surriscaldamento globale, per effetto di cui il salire della temperatura sarebbe direttamente proporzionale all’aumento della peluria nera.
Ulteriori tonalità anomale, fra il panna e il rossiccio tenue, si riscontrano in alcune zebre bianche protette nel Nairobi National Park, al pari di quelle della famosa Zoe, aggraziata zebra dorata dai dolci occhi celesti venuta alla luce a Molokai — quinta isola dell’hawaiano arcipelago adagiato sulle onde del Pacifico — e morta diciannovenne al Three Ring Ranch Exotic Animal Sanctuary, di primo acchito potendo sembrare albina, in realtà essendo affetta da amelanismo, o amelanosi, irregolarità della pigmentazione caratterizzata dalla scarsità di melanina, causata dall’alterazione del procedimento — ad opera dell’enzima tirosinasi — che ne limita la velocità per il controllo produttivo, aspetto fisico dell’uomo o dell’animale interessato dipendendo dalla quantità dei vari pigmenti, invece nell’albinismo la deficienza di pigmentazione melaninica essendo totale, con il risultato di un’epidermide chiarissima nell’umano, manto niveo nell’animale ed occhi rossi, o rosati, in entrambi, mentre da interferenza antropica deriva un incrocio fra cavallo e zebra appellato Zorse — dall’etimologica unione di «zebra» ed «horse» — nello specifico lo strambo equino, a cui è stato dato il nome Eclyse, nascendo al Safari Park Stukenbrock, strisciato nel capo, nella parte superiore del collo e posteriore del corpo, al contrario estremamente bianco al centro, nella gambe anteriori e in metà delle posteriori.
Trasversalmente all’Equus grevyi, zebra e quagga — nella lista rossa dell’International Union for Conservation of Nature rispettivamente annoverate come «in pericolo», «vulnerabile» e «prossima alla minaccia» — all’interno dei gruppi familiari — solitamente ristretti attorno a dieci membri, se non nell’Equus quagga, dove il numero facilmente si raddoppia — primeggia un solo stallone, che può arrivare a detenere scettro anche per una quindicina d’anni e accoppiarsi, fra sinuosi corteggiamenti e teneri morsi sul collo, con l’intero harem, in seguito alla magia del concepire instaurandosi una gestazione, della durata di dodici/tredici mesi, al termine della quale nasce in genere un solo cucciolo — che verrà allattato per circa un anno — nel giro d’appena un quarto d’ora perfettamente in grado di reggersi in piedi e camminare e — grazie a stupefacente imprinting — individuando la madre fra mille fin da piccino; a permetterne riconoscimento s’ipotizza essere la peculiare zebratura, dunque singolare arabesco adornamento in chiaro-scuro fungendo sia da difesa — disorientando il nemico in agguato quando, unendosi in branco, le zebre formino un immenso e geometrico ghirigoro, scompigliante la vista dei predatori come iene, coccodrilli, leoni, leopardi, licaoni, ghepardi e altri, specialmente di quelli predisposti a visione notturna — che da deterrente al posarsi di fastidiosi insetti, soprattutto tafani e mosche tse-tse, anche le orecchie aiutando la comunicazione, mantenendosi erette in segno di saluto o abbassandosi alla percezione del pericolo.
L’ancestrale ruolo di mimetizzazione a lungo attribuito alla decorazione del mantello ha di recente incontrando dubbi a riguardo, sorti dal riflettere sull’incompatibilità dell’accreditata funzione mimetica con il carattere esuberante e chiassoso dell’indomito equide — che difficilmente riesce ad immobilizzarsi silente — la cui principale arma consiste in calci e morsi, mentre la fuga — fino a sessanta chilometri orari — si attua tramite una veloce e perspicace comunicazione fra soggetti, per mezzo di un ottimo apparato visivo la cui acutezza — data dall’essere gli occhi posizionati ai lati della testa e dalla sviluppata capacità di vedere al buio — spesso prevalendo sui tempi dell’azione offensiva, in più le zebre furbamente avvicinandosi a gnu e antilopi, elette prede dei leoni, auspicando di venire tralasciate a discapito degli sventurati bovidi.
I nuovi nati restano in famiglia fino all’età di uno/tre anni, a seconda dell’usurpante nascita di fratelli — trascorrendo serena esistenza attraverso interazioni sociali profonde — instaurantesi anche fra adulti — dunque giovando di manifestazioni affettuose, ad esempio relazionandosi attraverso struscio di guance, sfioramento di nasi o ancora placidamente adagiandosi il capo sul dorso — al momento di affrancarsi dal nucleo originario essi raggruppandosi fra scapoli e strada facendo cercando di sottrarre dame ad altri gruppi per creare il proprio e, una volta formata personale schiera, il maschio, generalmente pacifico, manifestando aggressività esclusivamente se osteggiato da eventuali pretendenti che giungano nel tentativo di conquistare le sue giumente: i gruppi formati da individui “soli”, sono composti da due a quindici soggetti — assolutamente rispettosi di precise gerarchie interne — e diretti da un giovane maschio il quale, a raggiunta maturità sessuale, viene attratto dalla posizione da estro con cui la femmina esercita ormonale attrattiva e per la cui conquista i due rivali combattono fino al termine del ciclo ovulatorio, essa unendosi definitivamente all’harem di chi la feconderà, fino a successiva ovulazione, purtroppo la presenza di cuccioli figli d’altri essendo sgradita al capobranco, i piccoli innocenti venendo attaccati e — in condizioni di cattività — perfino uccisi, parimenti le femmine più anziane non accettando di buon grado l’arrivo di nuove zebre, a capo del femmineo drappello erigendosi quella che viene definita «femmina alfa» — la prima a donarsi allo stallone — fra tutte instaurandosi comunque un’attiva collaborazione, spiccatamente evidenziata nel grooming, pulizia del manto che le stesse si dedicano vicendevolmente, in più fidatamente cooperando a livello difensivo, nel radunarsi — durante la notte — in spazi aperti, per modo da avvistare con largo anticipo potenziali predatori e, nel caso, la zebra posta a sentinella emettendo sbuffate e versi in allarmante preavviso, al che lo stallone partendo alla carica; i suoni emessi dalla zebre si diversificano in almeno sei grugniti, lunghezza e acutezza delle grida determinando il contenuto informativo.
Ad avvantaggiare la zebra nel nutrirsi sono — essendo mammifero perissodattilo — labbra prensili, incisivi protesi e acuminati, robustezza dei molari completandone apparato dentario deputato ad un’alimentazione erbivora, infatti la facoltà di strappare e ben triturare, favorendo — , nonostante non sia un ruminante — la digestione di vegetali particolarmente filamentosi, dieta comprendendo ovviamente enormi quantità d’erba — preferibilmente, considerata la semplicità dello stomaco in dote, povera di zuccheri e nutrienti — a cui s’affiancano arbusti, cortecce, radici, gemme, germogli, graminacee, fogliame e saltuariamente frutta, dell’erba amando i ciuffi corti e aderenti al terreno, passando gran parte delle giornate nel cibarsi in tutta calma, per le zebre quiete emotiva risultando essenziale al benessere, poiché tendenzialmente soggette a panico da stress, ragione per cui difficilmente le zebre si lasciano addomesticare, irriducibilmente devote alla libertà ed idolatrate fin dai tempi antichi, ancora oggi le donne appartenenti al popolo di pastori e agricoltori Karamojong — dal nome dell’ugandese sub-regione Karamoja — tratteggiandosi sul corpo le tipiche zebrature durante le danze e imitandone i movimenti; mentre la Repubblica del Botswana, nel gennaio del 1996, eleggendo a stemma di Stato l’immagine di uno scudo bianco sorretto ai lati da due zebre — a rappresentanza della fauna nazionale — fra le zampe di quella a sinistra una zanna in avorio, nell’altra una spiga di sorgo, cereale di considerevole importanza in tutto il paese.
Nel Sudafrica la zebra s’incarna in totem, simbolicamente associata alla dualità — di cui il pelo è assoluta metafora — che dovrebbe guidare ogni azione e pensiero umano in fede all’equilibrio sotteso fra luci e ombre, materia e spirito, cercando la propria individualità all’interno del mondo, stagliandosi a metà strada fra il sovrastare e il soccombere, in una sorta di relazione che sia ottimale ad entrambi, tenendo a riferimento primo come ciò avvenga alla nascita dei cuccioli, venuti alla luce quasi interamente neri e poi — nella bellezza dell’adattamento al proprio ambiente, in fede alla sopravvivenza — magnificamente variegandosi di bianco nello strabiliante processo dell’auto-protezione, da ciò carpendo sostanziale insegnamento all’accogliere quanto la vita presenti, senza cedere alla seduzioni di deleteri estremismi, parallelamente mai scordandosi d’aver cura di sé, nel rispetto del prossimo e a tal riguardo le venature che l’avvolgono assumendo intenso significato allegorico nell’essere ognuna — come fiochi di neve o impronte digitali — detentrice di uno schema unico e irripetibile, dunque portatrice di un’inalterabile e concreta singolarità che non ne impedisce armoniosa mutualità fra individui, la coesa e tenace struttura sociale delle zebre narrando di come una perfetta comunità racchiuda il valore della differenza donata e di quella ricevuta, nel ritmico zigzagare dell’eterogeneità.
Domanda alla Zebra
di Shel Silverstein
Domandai alla Zebra:
— Sei nera a strisce bianche
O bianca con strisce nere?
E la Zebra rispose:
— Sei un uomo buono con cattive abitudini?
O sei malvagio con buone abitudini?
Sei una persona agitata con modi pacati?
O silenziosa con momenti di irrequietezza?
Sei felice pur trascorrendo giorni tristi?
O sei triste tranne alcuni giorni di felicità?
Sei un uomo ordinato e per certi aspetti negligente?
O sei negligente benché a tratti ordinato?
E continuò e continuò e continuò e continuò
E continuò e continuò.
Mai ad una Zebra
Circa la natura delle strisce
Ancora chiederò.
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