Scoiattoli: vita e colori di sagaci e adorabili creature dei boschi
La coda è asta di equilibrio, contrappeso, timone e anche linguaggio, che sa trasmettere messaggi di aggressività o di amicizia, gonfiandosi e sventolando. In più c’è qualcosa da “omino del bosco” nello stare eretto, indaffarato e allegro, e nel sapere usare con sapienza le mani. Sarà pure antroporfismo, ma la simpatia è così: attrazione egocentrica verso qualcosa di simile, da proteggere se è indifeso.
Caterina Gromis di Trana
Centinaia sono le specie di scoiattoli sparsi sulla sfera terrestre e una fra le più diffuse è la scientificamente classificata nel 1758 — dal naturalista, medico, accademico e botanico svedese Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778) — come Sciurus vulgaris, mammifero — appartenente all’ordine ordine dei Rodentia ed alla famiglia Sciuridae — del quale ventitré sono le sottospecie ad oggi riconosciute e suddivise in tre sottogruppi, fondamentalmente stabiliti secondo l’abitudine di trascorre esistenza da arboricoli, a terra o volteggiando tra le piante sfruttando la naturale membrana detta petagio, per cui possono effettuare planata.
Alla veste, tale esemplare “comune” deve denominazione di Scoiattolo rosso, il cui manto tuttavia può sconfinare verso un marrone plumbeo, frequentemente la criniera dorsale essendo più scura e il pelo assumendo una tonalità bianca sul ventre, diversificazione fra un animale e l’altro di medesima specie derivando da componenti sia genetiche che legate all’habitat, la longilinea e leggera corporatura compresa fra i quindici e i trenta centimetri, mediamente venticinque, a cui ne vanno aggiunti da quindici a venti della coda, quest’ultima con basilare funzione termica — dato l’avvolgere il corpo in fase di riposo — oltre che di difesa e di equilibrio durante la corsa o i salti tra frasche, per l’arrampicata la natura avendolo dotato di cuscinetti plantari e unghie molto resistenti, nonché di zampe posteriori più lunghe delle anteriori — ideali per muoversi sui terreni — e il peso totale oscillando fra i due e i tre etti e mezzo.
Presenti quasi ovunque nel Pianeta, lo Scoiattolo rosso — originario dell’Europa — popola anche territori asiatici, britannici, coreani e giapponesi, in Italia stanziando essenzialmente in ogni regione, benché diffusione sia diminuita a causa del più grande Sciurus carolinensis (Johann Friedrich Gmelin, 1788), lo Scoiattolo grigio nordamericano o orientale, arboricolo simile al di uguale genere, Sciurus griseus (George Ord, 1818) o grigio occidentale, a differenza del quale — endemico delle coste di Stati Uniti e Canada — proveniente delle aree atlantiche, nel corso dei secoli venne introdotto in California, Oregon, Washington e dall’inizio del Novecento anche in Australia, Sudafrica, alcuni Stati europei quali Gran Bretagna, Irlanda ed dunque nel Belpaese, a discapito degli esemplari autoctoni e difatti annoverato nel 100 of the World’s Worst Invasive Alien Species, elenco che — redatto dall’Invasive Species Snecialist Group (ISSG) dell’International Union for the Conservation of Nature (IUNC) — enumera le specie giunte in un determinato ambiente per umana intercessione e rivelatesi segnatamente dannose nei confronti delle indigene.
Nella competizione, in diverse aree italiane, tra scoiattoli rossi (autoctoni) e grigi (nordamericani), in ballo c’è la sopravvivenza di una specie e la salvaguardia della biodiversità. Le due specie sono in competizione prima di tutto dal punto di vista alimentare, visto che gli scoiattoli grigi mangiano molte più ghiande rispetto agli scoiattoli rossi e riescono a trovare e consumare parte delle riserve di semi accumulate da questi ultimi. Questo fa sì che lo scoiattolo rosso si riproduca con maggiore difficoltà, che i giovani di tale specie crescano meno ed abbiano più probabilità di morire nel primo anno di vita.
Veronica Ulivieri
Mediamente la speranza di vita dello Scoiattolo rosso corrisponde a un triennio circa, nondimeno, individui possono raggiungere la veneranda età di sette anni e sfiorare la decade qualora in cattività, attivamente consumando le giornate senza stagionale distinzione, ricorrendo però, a fronte d’inverni caratterizzati da copiose nevicate, ad ibernazione e da essa di sovente destandosi per nutrirsi, pertanto armeggiando fra rami alla ricerca — favorita da eccellente capacità visiva — di cibo, a partir dall’alba e poi compiendo sopralluoghi nelle zone preventivamente dedicati allo stoccaggio delle prelibatezze reperite, così tentando di sventare furti o semplici spostamenti ad opera di altri animali ed in caso, nell’immediato recuperando le scorte riversandole in un nuovo nascondiglio; a livello generale, gli scoiattoli accumulando quanto necessario al sostentamento, con preventiva e congenita lungimiranza, sempre controllando accuratamente il buono stato degli alimenti da porre a dispensa e sottostando ad un’innata forma di rispettoso altruismo, difficilmente creando attriti con i simili per mere questioni di spartizione delle vivande, viceversa, non di rado lasciando fresche primizie sui rami, a completa disposizione del prossimo.
Onnivori, gli scoiattoli prediligono semi, germogli, frutta fresca e secca come nocciole, noci — aprendone il guscio con impressionante celerità — ghiande, pinoli, mandorle, pistacchi, arachidi ed ancora bacche, boccioli, ortaggi, radici, insetti, larve, minuscoli volatili, spesso, esaudendo golosità, volentieri avvicinandosi all’essere umano, sia accogliendo offerte, sia d’astuzia e malizia compiendo saccheggi e dileguandosi con medesima agile rapidità usata per eludere l’attacco dei predatori, maggiormente temendo il gatto selvatico (Felix silvestris Schreber, 1777), rapaci e soprattutto la martora (Martes martes Linnaeus, 1758), mustelide dalle cui fameliche fauci, lo scoiattolo, oltre a sottrarsi impavidamente contando sulla sola innata agilità, tenta riparo altresì allestendo nidi tra fronde, ad altezze tali da non permettere al carnivoro — abitante dei boschi montani europei — di aggredirli, dacché, seppure abile nell’arrampicata, eccessivamente pesante da osare sulle cime più esili.
Animosi ed estremamente intelligenti quindi, gli scoiattoli mostrano altrettanto spiccato senso dell’ordine ed attenzione verso l’igiene, tanto dedicandosi alla cura personale, quanto della tana, meticolosamente provvedendo a mantenerla decorosa, evitando di portarvi impurità dall’esterno finanche in condizioni meteorologiche avverse, potendo difatti presagire i cambiamenti climatici e dunque anticipare il sopraggiungere del maltempo, nonché progettandola — solitamente in una biforcazione tra due rami e ad un altezza compresa tra 5 e 15 metri — affinché nemmeno la pioggia riesca violarne la soglia e così esaudendo, insita ospitalità e dunque accogliendo viandanti, sempre esibendo dignitosa dimora.
Altruista, dinamico e socievole, lo scoiattolo s’abbandona all’amore un paio di volte l’anno, in estate e al termine dell’inverno, il cavaliere ottenendo mano di dama, dapprima in combattimenti sbaragliando altri pretendenti in preda ad esplosione ormonale, dopodiché lanciandosi in corteggianti inseguimenti sulle tracce dei profumi dell’adorata effusi fin al d’ella concedersi ad unione, intima e fugace danza da cui — a conclusione di gestazione d’una quarantina di giorni — scaturiscono da tre a sei cuccioli: dal peso di 10/15 grammi e per circa quattro settimane dalla nascita, privi di pelo, nonché d’efficiente apparato uditivo e visivo, muovono dunque passi sul mondo, sotto genitoriale protezione, provando parvenza d’autonomia allorché, trascorso all’incirca un mese e mezzo, dentatura permette loro d’addentare cibo solido e pertanto, in curiosa e allegra perlustrazione volta al rintracciamento di golosità avventurandosi, forti tuttavia del materno allattamento sin ad almeno il compimento del quarto mese d’età, periodo dopo il quale indipendenza si concretizza ed ogni anno in autunno entrambe le nidiate essendo in grado di scorrazzare in piena autosufficienza, fra salti e balli assecondando la giocosa indole a loro insita, inconsapevolmente donandola all’animo di chi li osservi in beata e riflessiva contemplazione.
Uno scoiattolo che salta di ramo in ramo e fa del bosco intero un solo grande albero per il proprio divertimento, riempie il nostro occhio non meno del leone; esso è bello, basta a sé stesso e rappresenta la natura.
Ralph Waldo Emerson, Saggi
Le infinite sfumature degli scoiattoli
Oltre allo scoiattolo rosso e al grigio, sono almeno altre tre le specie che si possono annoverare fra le principali, ossia lo Scoiattolo giapponese, altrimenti tamia siberiana, borunduk o chipmunk (Tamias sibiricus Laxmann, 1769), terricolo, con ventre e gola candidi, corto pelo del dorso colorato da varie nuances di marrone, cinque tipiche bande scure a screziarlo e due grigie laterali, spesso confuso con lo Scoiattolo tamia striato, anche detto chipmunk orientale od americano (Tamias Linnaeus, 1758) perché molto simile ed accomunato nel genere, ma con coda più fitta e strisce laterali bianche, bordate di nero e a diversificare entrambi dallo scoiattolo rosso sono il letargo — che si protrae da ottobre ad aprile in maniera ben più profonda rispetto alla succitata ibernazione — e un temperamento solitario, quest’ultimo diametralmente opposta all’evidente espansività dello Scoiattolo Terricolo di Belding (Urocitellus beldingi Merriam,1888), amante della vita in gruppo e individuo di taglia media le cui caratteristiche distintive sono una fitta, non molto lunga, piatta e variopinta coda con righe nere, arti abbastanza corti, parte piedi pressoché privi di pelo e manto tendente al marrone-rossastro.
Giallo-arancio e grigio-marrone dipingono ventre e dorso dello Scoiattolo volpe, (Sciurus niger Linnaeus, 1758), amante di zone boschive e forestali, facilmente adattabile a diversi ambienti, robusto, con importante potenziale riproduttivo e di notevoli dimensioni, caratteristiche che lo rendono invasivo, con rischio di deleteri impatti sugli ecosistemi se introdotto in aree non d’origine e a superarne i settanta centimetri di lunghezza — dei quali trenta di coda — per un peso fra gli ottocento e i mille grammi è lo Scoiattolo gigante dello Sri Lanka o scoiattolo brizzolato (Ratufa macroura Pennant, 1769), arboricolo lungo da cinquanta a novantacinque centimetri — di cui metà all’incirca di coda, grigia e marrone con brizzolature biancastre — e che arriva a pesare dal chilo e mezzo ai tre chilogrammi, con il resto del corpo che si gioca i toni fra nero, rosso grigio e marrone, a seconda dell’areale.
All’interno della smisurata varietà di scoiattoli, molteplici sono tipicità di conformazione e gradazioni, ad accoglierne numerose sul proprio corpo è lo Scoiattolo variabile, epiteto dello Callosciurus finlaysonii (Horsfield, 1823) in virtù della pelliccia che spazia dal bianco al grigio, al nero al rosso, talvolta sembrando tabula di pittore nella mescolanza di tutte le tonalità, mentre a miscelare in maniera nitidamente definita nero, grigio, fulvo e bianco è il raro Scoiattolo tricolore, (Callosciurus prevostii), estroverso arboricolo — avente in comune con lo scoiattolo rosso una vista eccezionale — saltellante e meravigliosamente aggraziato nei movimenti, a comprenderne la specie l’ampio genere Callosciurus (Gray,1867), ovvero quello al quale appartengono tutti i tricolori, anche detti “magnifici”, endemici del Sud-est asiatico ed affini allo Scoiattolo variegato, (Sciurus variegatoides Ogilby, 1839).
Un paio di toni derivanti da alterazioni della fisiologica pigmentazione sono quelle rispettivamente dello Scoiattolo Nero, il cui brillante pelo interamente corvino è frutto — come confermato da test sul DNA e i cui risultati pubblicati in un articolo sulla rivista BMC Ecology and Evolution — di una mutazione genetica scaturita dall’incrocio dello scoiattolo grigio nordamericano con lo scoiattolo volpe, un gene pigmentato e difettoso di quest’ultimo annerendone la colorazione grigiastra — esemplare da non scambiare con lo Scoiattolo nero meridionale (Sciurus meridionalis Lucifero, 1907), dal petto bianco e specie autonoma originaria di Calabria e Basilicata — e quelle in capo allo Scoiattolo bianco, qualora candore del mantello sia dovuta ad albinismo o leucismo, quest’ultima un’alterazione genetica nella quale la depigmentazione non interessa gli occhi, indi solo il piumaggio sbiancandosi per effetto di un gene recessivo che agisce sulla pelliccia — per assenza di tirocinasi, enzima deputato alla sintesi di melanina — e non sulle iridi, le stesse mantenendo il colore del genere di riferimento, inoltre, non venendo intaccati nell’apparato oculare, rispetto agli scoiattoli albini quelli leucistici non sviluppando eccessiva fotosensibilità.
Emblema di saggezza, gli scoiattoli sono spesso apparsi come in araldiche effigi di nobiliari blasoni, di sovente raffigurati — nella posizione che più li rappresenta — di profilo e in atto di mordicchiare quanto portato alla bocca con le prensili zampe anteriori, nella simbologia il buffo animaletto incarnando l’essenza di purezza e previdenza — manifeste negli atteggiamenti reali — nonché della fiducia, dimostrata nel confidente e speranzoso avvicinarsi all’uomo, il totem dello scoiattolo rilasciando energia positiva e costruttrice, in buon auspicio al superamento di peripezie e difficoltà, in antitesi all’imprevedibilità della sorte.
Adorati a livello mitologico, parvenza negativa raramente venne loro attribuita, tale caso presentandosi nella pittura cristiana medievale, dove il colore purpureo del pelo fu assimilato a quello satanico, tuttavia gli scoiattoli nel corso dei decenni assumendo un ruolo indiscusso nella favolistica di vari paesi, oltre che in filastrocche, fumettistica e cinematografia, un esempio su tutti, i celeberrimi Cip e Ciop, personaggi immaginari di fantasia disneyana — in prima apparizione sullo schermo il 2 aprile 1943 nel cortometraggio animato La recluta pluto — residenti nella cavità di un albero alla periferia della leggendaria Paperopoli e dai caratteri complementari, dinamismo e intraprendenza di Cip infatti sovvenendo a pigrizia e storditaggine di Ciop, la coppia di scoiattoli antropomorfi combinando guai a non finire — per la disperazione dello sfortunato Paperino — e nell’avventurarsi fra le più disparate avventure, donando lieto sorriso sia a bambini che ad adulti, sulle orme della creatività, concedendo la possibilità d’interagire con la più nobile ed eloquente creazione della natura.
Gli scoiattoli e il pittore
(Antica fiaba di autore anonimo)
Svettava in un meraviglioso ed antichissimo bosco una splendida e maestosa quercia.
Era talmente bella da ispirare ogni poeta o pittore che la contemplasse nella sua folta e verdeggiante chioma a fil di cielo e non si contavano poemi e dipinti a lei dedicati.
Era una pianta gentile e materna, sempre pronta a farsi spalla per qualsivoglia viandante desiasse trovare pacifico ristoro adagiandosi al rassicurante ed accogliente tronco, per riposar corpo e spirito all’ombreggiar della folta chioma, dalle cui frasche giallognoli grappoli fioriti pendevano come uva dai trespoli, ma l’eufonica armonia che da lei traspirava ad oltranza, da tempo veniva incrinata da chiassosi e interminabili diverbi tra le sue frasche.
A bisticciar animosamente eran tre schiere di scoiattoli che si differenziavan fra loro per la colorazione del manto, difatti grigi, marroni e fulvi, cocciutamente azzuffandosi senza tregua, nell’intento di soggiogar il gruppo avversario ed ottener totale possesso delle ghiande che di lì a poco sarebbero germinate, ad ogni autunno fragorosi tafferugli ripetendosi in tediante riecheggio sulla quiete dell’intera selva.
Allibiti ed increduli di fronte all’irremovibile caponaggine in capo agli scoiattoli adulti erano i rispettivi cuccioli — impassibili e sconsolati spettatori d’incessanti battibecchi, ai loro occhi insensatamente grotteschi — i quali avrebbero tanto voluto interagir fra loro, spendendo la spensieratezza dell’età nella giovevole magia del giuoco, ma purtroppo severamente proibito era anche sol avvicinarsi a un esemplare d’altro colore, reputandolo deleterio, indi agli stessi non restando alternativa rispetto all’adeguarsi a quanto dall’alto veniva impartito come verità assoluta, al contempo scevra di comprensibili fondamenti.
Nel pien delle baruffe, in un sorta di fuga col pensiero gli scoiattoli se ne stavano spesso seduti in disparte a scrutare l’orizzonte, desolatamente rammaricandosi di quanta vita i genitori levassero allo stare insieme, giacché oltremodo impegnati in agguerrite e quotidiane gazzarre che ne risucchiavan fin all’ultima goccia d’energia, nulla più restando da elargire alla paziente ed affranta prole, sennonché, un bel giorno, dalla vallata vedendo giungere un pittore con figliolo a seguito, sull’istante si rizzarono curiosi e felici di nuove presenze, in cuor loro sperando che cavalletto venisse posato a cospetto di quercia e così fu, l’artista difatti bramando raffigurare quel magnifico albero di cui tutti parlavano ed una volta paratoglisi davanti, il petto deflagrandone autentica e stupefatta emozione.
Sullo sfondo dell’incantevole pennellata di Madre Natura fra cielo e terra, l’uomo trascorse albe e tramonti in amor di setola, frattanto amichevoli occhiate di piccoli scoiattoli e fanciullo incrociandosi in silente e graduale intesa, ricamata sull’innocenza degli animi puri e senza filtri.
A quadro ultimato, il realismo di quanto riprodotto fin all’ultima foglia lasciò esterrefatto il bimbo, lietamente saziato dell’opera paterna, tuttavia egli notando come degli scoiattoli vi fossero solo i contorni ed al suo domandarne ragione, l’adorato padre — a cui non era sfuggita la nascente consonanza tra il figlioletto ed i cuccioli — rispondendo: «Solamente tu saprai dipingerli, dacché vi siete agganciati nell’animo, lì ove non esistono gradazioni predefinite» e così dicendo, delicatamente gli pose fra le mani pennello e colori, l’ispirato infante restando però sorpreso del fatto d’aver a disposizione esclusivamente rosso, giallo e blu, indi ad ulterior chiederne delucidazione, in tutta risposta ricevendo concezione del comune derivar di tutti gli esseri viventi da medesima origine, come d’ogni colore dai primari.
Ancor in piena riflessione sulle parole appena enunciate e per lui sul momento alquanto arcane, il pittore in erba iniziò a riflettere su come poter dipingere i nuovi amici senza aver nessuno dei tre colori di pelliccia — «Non ho il grigio, né il marrone, tantomeno il fulvo.. Non potrò mai riuscirci!»
In quel fulmineo attimo di perdonabile stizza, rosso, giallo e blu cadendogli, accidentalmente s’amalgamarono, formando nuove tinte, sulle quali il bimbo esultò, sfiatando entusiasmo in strepitanti risate, poi vivacemente iniziando a saggiarsi nell’arte e — appassionatamente miscelando e ancor mescolando, provando ed affannosamente ritentando — riuscendo ad ottenere le sfumature tanto cercate ed a quel punto decidendo di mischiar un poco di grigio, marrone e fulvo su ogni scoiattolo, pur sapendo che ciò non avrebbe corrisposto a realtà effettiva, ma egli avendone percepito la parte invisibile, a lui dettata dai piccoli scoiattoli nella brama di stare insieme e gli stessi gongolando all’osservar opera finita — chi saltellando, chi arrampicandosi e chi addirittura planando — infinitamente gaudiosi nel creder che forse era possibile provare ad avvicinarsi, in un battibaleno e in temerario oltraggio a genitoriali raccomandazioni, i grigi principiando a giocar con i fulvi e con i marroni e fu bellissimo, strepitoso, fantastico!
Al lor unirsi gli scoiattoli adulti cessarono nell’immediato qualsiasi parapiglia, letteralmente terrorizzati anche sol all’idea che i loro pargoli si sfiorassero e precipitosamente accorrendo come schegge impazzite al fin di bloccarli, stupidamente temendo che il toccarsi avrebbe potuto far prevaler un colore su quello dell’altro e invece, con generale stupore gli stessi assistendo a quello che a breve avrebbero compreso esser nobile insegnamento di vita, difatti all’intrecciar zampe, musi e code, gli scoiattolini barattandosi nuances ed il loro pelo soavemente screziandosi nell’intimo legame fra il donare ed il ricevere assunto a rinascita, da quel momento popolando il pianeta scoiattoli variopinti e traboccanti la ricchezza della diversità.
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