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Il Procione, l’amabile ‘orsetto lavatore’ mascherato

 
Conosciuto anche al singolare epiteto d’orsetto lavatore, il procione narra remote storie d’evoluzione e migrazioni, affiancando alla simpatia del suo aspetto una condotta comportamentale in assidua fede alla specie, connaturato vincolo a sua Madre Natura e indissolubile armonia biosistemica.

Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione di vita, con le sue diverse forze, originariamente impresse dal Creatore in poche forme, o in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano a evolversi.
Charles Darwin

Svelatosi al mondo per la prima volta in territorio americano, il procione, risponde alla nomenclatura binomiale di Procyon lotor, classificazione lui attribuita, nel 1758, dal medico, botanico, naturalista e accademico svedese Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), colui ritenuto il capostipite della moderna classificazione scientifica, ossia il raggruppamento, la sistemazione e la catalogazione degli organismi viventi, ad opera di studiosi biologi, in base ad aspetti comuni, poi gerarchizzati rispettivamente in specie, genere, famiglia, ordine, classe, phylum, regno, dominio e vita, frazionamento sistematico apparso nel 1990, su suggerimento del biologo statunitense Carl Richard Woese (1928-2012), per di più meritevole dell’individuazione, nel 1977, del gruppo tassonomico degli Archei, antichi batteri appartenenti, in ambito dell’albero filogenetico universale, al dominio Prokaryota, ove sono ripartiti gli organismi unicellulari privi del sistema endomembranoso e di un nucleo strutturato.

Allo scopo di radunare le specie partendo dalle caratteristiche morfologiche comuni, Woese intraprese nobile intento concentrandosi sul Systema Naturae, saggio redatto da Linnaeus nel 1735 e ed in seguito ampliata, giungendo alla decima edizione, risalente al 1758, come opera prima a presentare il sistema binomiale di nomenclatura zoologica, rimanendo in tal senso, fondamenta sulle quali basare l’insieme di regole mirate a garantire estrema universalità e continuità nell’ordinamento degli animali, conformemente a valutazione tassonomica.
 

Anche noto come orsetto lavatore, il procione narra remote storie d’evoluzione e migrazioni, affiancando alla simpatia del suo aspetto una condotta comportamentale in assidua fede alla specie, connaturato vincolo a sua Madre Natura e indissolubile armonia biosistemica • Terzo Pianeta • https://terzopianeta
Systema Naturae, edizione del 1758

 
Di scienziato in scienziato, il tenero orsetto venne dunque ad appartenere, oltre alla specie già succitata, al genere Procyon, alla famiglia Procyonidae, all’ordine Carnivora, alla classe Mammalia, al phylum Chordata, al regno Animalia, al dominio Eukariota e ad altre distintive suddivisioni, secondo zelante e appassionato approfondimento, rilettura e miglioramento, da parte di Woese, di quanto precedentemente proposto dallo svedese, in totale e convinto riferimento alle teorie sull’evoluzione di discendenza filogenetica avanzate dall’antropologo, naturalista, biologo, geologo ed esploratore inglese Charles Robert Darwin (1809-1882).
 
Anche noto come orsetto lavatore, il procione narra remote storie d’evoluzione e migrazioni, affiancando alla simpatia del suo aspetto una condotta comportamentale in assidua fede alla specie, connaturato vincolo a sua Madre Natura e indissolubile armonia biosistemica • Terzo Pianeta • https://terzopianeta
Carl Richard Woese, 1961

 
I primi avvistamenti del procione avvennero durante la spedizione in capo al navigatore ed esploratore genovese Cristoforo Colombo (1451-1506), il quale ne annotò fra le pagine d’un registro, lasciando ai venturi tassonomisti il compito d’identificarne specie, in principio erroneamente apparentata ad animali a lei completamente estranei, fino appunto al sacrosanto intervento di Linnaeus, benché, nonostante la classificazione rimanga allo stesso ufficialmente attribuita, sia onesto e doveroso precisare, in riferimento a quanto sopra asserito, che la prima definizione dallo studioso coniata fu Ursus cauda elongata (orso dalla coda lunga), poi divenuto Ursus lotor (orso lavatore), infine sostituendosi il vocabolo “Procyon” ad “Ursus”, nel 1780, per mano del naturalista e medico tedesco Gottlieb Conrad Christian Storr (1749-1821).
 
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Autore anonimo, Gottlieb Conrad Christian Storr, 1819, Università Eberhard Karl di Tubinga

 
Ritrovamenti fossili, tanto in Germania quanto in Francia, ne suggeriscono la presenza entro confini europei da circa 25 milioni di anni, ipotizzando analisi di laboratorio una migrazione verso l’America centrale, tramite lo Stretto di Bering, avvenuta da sei milioni di anni, con probabile spostamento a Nord del continente circa 2 milioni e mezzo di anni fa, come ricostruito dai reperti custoditi dalle immense praterie e steppe delle Great Plains, ampia regione compresa fra le statunitensi Rocky Mountains, il Canada e una ristretta porzione messicana.

Attualmente il procione vanta un areale, natio o d’introduzione, che include la parte meridionale del suolo canadese, un ampia diffusione negli Stati Uniti, nel Messico, nell’America centrale e, a partire dal ventesimo secolo, in terra francese, germanica, giapponese, caucasica e italiana, specialmente in Toscana e in Lombardia, regione, quest’ultima, all’interno della quale gli orsetti lavatori sarebbero giunti sfidando l’imponenza delle Alpi.

Elevato è l’adattamento del piccolo mammifero a differenti luoghi, salvo che autonomia e libertà siano condizioni basilari sulle quali non interferire, assolutamente garantendogli la presenza di simili con i quali costituire schiera esistenziale e una zona che, oltre all’esser boscosa, mantenga un clima temperato ed abbia vegetazione decidua, vale a dire di piante che perdano il loro fogliame nelle stagioni previste, quindi non sempreverdi.
 
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Il naturale adattamento innato al procione gli rende possibilità di degna sopravvivenza anche in territori prettamente montani, paludosi-costieri e perfino cittadini, dove, per l’insofferenza solitamente provata dal genere umano nei suoi confronti, al primo sentore d’intimidazione lo stessi parte in celere e difensiva arrampicata, prediligendo tronchi di quercia a quelli di faggio, poiché quest’ultimo a corteccia troppo liscia, pertanto antagonista della scalata, e nei fusti delle cui querce o similari, quanto fra rocce, ricavando anfratti da ricondurre a tane sia di provvisorio riparo, che d’invernale ristoro, oltretutto atte all’accudire la dolcezza ed il tepore del parto, in esse dando alla luce gli amati cuccioli.

Portento di riproduzione avviene poco prima della stagione primaverile, tra metà gennaio e metà marzo, durante la quale il maschio attua un galante corteggiamento finalizzato alla conquista della sua prescelta, con la quale poi accoppiarsi nei tre, al massimo quattro giorni di picco della fertilità, e con essa unendosi in più atti d’amore, generalmente della durata di un’ora circa ciascuno, ripetuti più volte nelle notti seguenti.

La gestazione dura mediamente poco più di due mesi, terminando la stessa nel donare soffio di vita a neonate creature, solitamente partorite fra i due e i cinque esemplari, talvolta sette, le quali vengono al mondo, con un’esigua settantina di grammi di peso addosso, completamente ciechi e sordi, solamente dopo una ventina di giorni attivandosi in loro sensi uditivi e visivi, nel frattempo accuditi fra oscurità e silenzio dall’amorevolezza della loro madre la quale, dopo un allattamento di tre mesi, li terrà accanto a sé fino a sodata autonomia, di cui riprova sarà la capacità di procurarsi approvvigionamento in maniera indipendente.
 
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La partenza da rocce o cortecce domestiche avviene in genere a partire dai nove mesi, età dopo la quale i maschi si possono allontanare di svariati chilometri, mentre le femmine rimangono nella medesima zona nativa, trascorrendo vita la cui aspettativa è di due o tre anni, tuttavia vi sono casi di orsetti lavatori in cattività vissuti oltre il ventennio, quasi azzerandosi, in quel caso, ogni pericolo esistente allo stato brado.

L’affrancarsi dal contesto familiare prima dell’anno d’età espone in effetti i giovani esemplari ad un’elevata mortalità, dimezzandosi frequentemente la cucciolata, nel giro di un anno, per cause molteplici attribuibili tanto all’essere favorite prede di gufi, linci rosse, coyote, quanto alla minaccia dell’uomo, da sempre efferato cacciatore, oltre, in modo particolare in America, alla fatale azione del cimurro, le cui epidemie si fanno inesorabili falci sul destino d’interi gruppi.

Bellezza dell’adattamento naturale all’ambiente fa sì che le cucciolate siano maggiormente numerose in rapporto direttamente proporzionale ai pericoli del luogo e il nomade passo del maschio, contrapposto alla stazionarietà della femmina, non è mera scelta apparentemente priva di significato, ma istintivo atteggiamento finalizzato all’evitare deleteri incroci fra consanguinei che ulteriormente minerebbero la sopravvivenza della specie, svelando agli occhi dell’umanità la sintonia che lega la fauna al suo ambiente naturale, sull’incanto degli ecosistemi.
 

Orsetto lavatore: caratteristiche ed abitudini

L’orsetto lavatore, in età adulta può raggiungere dai quaranta ai settanta centimetri di lunghezza, ad esclusione della coda, la quale invece — caratterizzata da una colorazione ad anelli alternati, chiari e scuri — oscilla fra diciannove e quaranta centimetri circa, mentre il peso, mutevole in base all’habitat, varia mediamente da 3,5 a 9 chilogrammi, tuttavia arrivando anche ad una mole di 14 kg, ovviamente tenendo conto della massa grassa che, accumulata durante la fase invernale, cambia il rapporto ponderale in base alle stagioni, inoltre il procione, essendo provvisto d’un caratteristico sistema d’abbassamento della temperatura corporea, che riesce a regolare sia tramite sudorazione che boccheggiando.

A sostenerlo son zampe corte che, se da una parte ne facilitano la posizione eretta, dall’altra gli impediscono comparire a fianco dei velocisti del regno animale, consentendogli di toccare al massimo i 24km/h, ma, appartenente alla famiglia di mammiferi dalla deambulazione plantigrada, ovvero appoggiando tutta la pianta del piede in corso di marcia, sovviene alle scarse qualità di corridore, dimostrandosi abile arrampicatore, scalando e discendendo dagli alberi con sorprendente agilità, malgrado la stazza, nelle proporzioni, discreta.
 
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Le zampe anteriori dispongono di uno strato corneo che al contatto con l’acqua — nella quale l’orsetto riesce a rimanere molte ore nuotando a poco meno di 5 km/h — aumenta la sensibilità, permettendogli di vantare un’estrema ricettività al tatto, nonché rendendolo unico sotto quest’aspetto, dato che, nella corteccia cerebrale, due terzi dell’area percettiva sono funzionali all’interpretazione degli impulsi tattili, seppure non eguagliando la destrezza manuale dei primati, in quanto non dotato di pollice opponibile.
 
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A dipingere le sembianze del procione, una pelliccia folta, lunga e generalmente di colore grigiastro tinteggiato da gradazioni nere, bianche e marroni, celante inoltre un sottopelo di due o tre centimetri garante di protezione dalle rigidità climatiche, ma soprattutto, a contraddistinguerlo, il musetto, di lattea nuances che lo annovera senza alcun dubbio fra gli animali dagli sguardi più dolci e peculiari nel suo aver, cromaticamente contrapposta, una sorta di mascherina scura attorno agli occhi, il tutto contornato da candide orecchie di arrotondate e morbide linee ad donar dolcezza all’aspetto, in aggiunta fornendogli una capacità uditiva ed un olfatto segnatamente sviluppati, soccorrenti la visione diurna, resa difficoltosa dal daltonismo all’orsetto lavatore congenito, ancorché ininfluente nella fase notturna, quando la bestiola sfoggia un egregio colpo d’occhio.

L’alimentazione onnivora — assicurata da quaranta denti con i ferini o carnassali meno acuminati rispetto ai carnivori ed i molari più piccoli in confronto ai corrispettivi in dote agli erbivori — è molto variegata, cibandosi il procione di frutta fresca, piante, noci, ghiande, vermi, pesci, anfibi, insetti e saltuariamente, poiché di cattura più difficoltosa, di uccelli e piccoli mammiferi come i roditori, non disdegnando umani avanzi, coraggiosamente spingendosi fino ai centri abitati per frugare all’interno dei rifiuti nella speranza di trovare qualcosa di gradimento, forte dell’abitudine, ragione dell’amabile e buffo appellativo, di lavare con estremo e minuzioso impegno ogni pasto, prima di banchettare.

L’attitudine del procione a tuffare i cibi nell’acqua o sfregarli sull’erba, apparentemente semplice ed igienica azione di lavaggio, al contrario però non è mirata alla purità, ma, nelle ipotesi maggiormente accreditate, atteggiamento riconducibile a remoti istinti ricollegati a ricerca di nutrimento sulle sponde fluviali e comportamento, esaltante un’indole bizzarra, diviene ammaliante osservando l’orsetto nella vita sociale, con le femmine solite ad incontrarsi in zone comuni per provvedere all’approvvigionamento altrimenti ristorasi, in compagnia, al pari di quanto compiono i maschi, esplorando il territorio generalmente a gruppi di quattro, marcandolo a fini di salvaguardia.

La propensione alla difesa del maschio, lo rende un potenziale pericolo per i cuccioli non coinvolti da legami parentali, frangente nei confronti di cui le madri si tutelano isolandosi non appena partorito e così tutelando i cuccioli da possibili fatali assalti, fino al momento di una raggiunta capacità di proteggersi autonomamente da sopraggiunte aggressioni.

L’adunarsi in determinati periodi o situazioni, non interferisce in alcun modo con l’inclinazione indipendente del procione il quale, nonostante un carattere estremamente giocoso espresso nel primo stadio di vita, sviluppa in seguito un temperamento indocile, a tratti bellicoso, mantenendo intatta, in età adulta, la necessità di muoversi liberamente nell’ambiente naturale, motivo per cui non si presta ad addomesticamento, innanzitutto poiché plausibile vettore di malattie infettive in grado di colpire sia animali, sia l’essere umano e poi, in virtù del fatto che il procione vive prevalentemente di notte, attraverso l’oscurità applicando meglio le suddette doti visive, anche se su brevi distanze, decidendo a volte di sopravvivere sottoterra.
 
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L’intelligenza a loro propria, unita ad eccellente capacità d’adattamento, ha fatto sì che, come affermato dal naturalista e zoologo newyorkese Sam Zeveloff, autore del libro, agli orsetti lavatori interamente dedicato al titolo Racoons, la loro presenza si sia centuplicata, rispetto a duecento anni fa, in Canada e negli Stati Uniti, complice l’aumento demografico della popolazione a cui è conseguito disboscamento a favore di terreni agricoli, fra i quali piantagioni di mais di cui i procioni sono ghiotti, giovando gli stessi dell’aumento di rifiuti domestici dai quali attingere un lauto pranzo, diffusione naturale alla quale s’aggiunge quella derivata da volontari rilasci in natura che hanno nel tempo sottratto al controllo dell’uomo il moltiplicarsi della specie, in alcune zone ormai divenuta una grave problematica per la salute pubblica.

Un difficoltoso rapporto di convivenza di cui l’orsetto lavatore è l’unico a non dover essere ritenuto colpevole, semplicemente approfittando lo stesso di quanto gli è stato offerto dall’uomo e risultante dal costante, spesso incosciente e sicuramente avventato tocco antropico sugli equilibri ecosistemici, causa prima delle conseguenze non calcolate e della pretesa d’assorbire dal pianeta tutte le risorse possibili, sconsideratamente e stupidamente illudendosi di trarne esclusivi vantaggi, privi di danneggiamenti in karmica restituzione.

E’ tutto collegato. Quello che accade ora agli animali, succederà in seguito all’uomo.
Indira Gandhi

 

Origini, curiosità e simbologia del procione

Il termine procione, deriva dal greco «προκύων», cagnolino latrante, ma nella letteratura occidentale, il più antico riferimento è attribuito allo scrittore britannico John Smith (1580-1631), nel 1609 presidente del primo insediamento anglico in America Settentrionale, in Virginia, dove come noto, fu catturato dai Nativi Powhatan e sottratto alla morte per intercessione dell’adolescente Pocahontas. Secondo fonti storiche, egli, tentando di trascrivere denominazione dell’orsetto in pronuncia algonchina, idioma diffuso nei territori del Nord e sottofamiglia in filogenesi alle lingue algiche, le originarie parlate negli Stati Uniti e in Canada, riferì termine, radice del vocabolo inglese raccoon, «ahrah-koon-em», il cui significato è pressappoco «colui che sfrega le mani», evidente enfatizzazione della propensione e destrezza espressa dall’animale.
 
Anche noto come orsetto lavatore, il procione narra remote storie d’evoluzione e migrazioni, affiancando alla simpatia del suo aspetto una condotta comportamentale in assidua fede alla specie, connaturato vincolo a sua Madre Natura e indissolubile armonia biosistemica • Terzo Pianeta • https://terzopianeta
 
Battesimale nome dalle origini tanto lontane, quanto la simbologia all’orsetto lavatore collegata, da un punto di vista fiabesco filtrata ai fanciulli attraverso dilettevoli racconti, mentre a livello trascendentale impiantato nella cultura dei Nativi, oltre che in alcuni popoli d’Oriente, dove il procione, anche rappresentato in sculture e incisioni rupestri, divenne protagonista indiscusso di tradizioni e cerimonialità antichissime, tramite cui collegarsi a dimensioni spirituali.

Gli Aztechi, ad esempio, attribuivano doti sovrannaturali alla femmina dell’orsetto lavatore in ossequio al suo spiccato senso materno e alla sua equilibrata posizione sociale, medesimi poteri ultraterreni conferiti al procione dai Dakota Sioux, sullo sfondo della similitudine fra la sua irsuta mascherina e le decorazioni in bianco e nero che gli appartenenti alla tribù si dipingevano con le dita sul volto in fase rituale, alla stessa emblematicamente ascrivendo significati di mistero, spronanti all’esplorazione delle proprie ombre interiori.

La simbologia animale è legata all’uomo fin da sempre, nelle antiche civiltà divenendo le differenti specie oggetto di culto, in riferimento ad una sacralità trasversale per cui ogni aspetto dell’esistenza veniva collegato al divino e riconoscendo nelle bestie delle entità intellettivamente inferiori, di conseguenza meno soggette a traviamenti e di logica maggiormente pure, illibatezza di fauna idolatrata in base alle rispettive caratteristiche, fisiche e comportamentali, da rappresentare in svariate modalità.

Fra queste il totemismo, usanza religiosa tribale fortemente connessa ad un oggetto d’elevato valore simbolico, appunto denominato “totem”, al quale abbinare, invocandone protezione, lo spirito d’un determinato animale o individuo; nel caso del procione, le abitudini oggetto d’attenzione furono la sua costante attività di ricerca del cibo e il suo accantonarne, metafore d’abbondanza dai Nativi totemizzate in segno di buon auspicio: durante quella che è una sorta d’iniziazione, il mammifero-guida sciamanica, elargirebbe in dono le sue qualità a chi lo preghi, creando un vincolo indissolubile, con annesso scambio energetico vita natural durante.

Se da un lato l’orsetto lavatore fu venerato nel massimo riguardo, altre furono le abitudini dei primi coloni americani, di taluni nativi e di coloro ch’erano ridotti in condizione di schiavitù, prediligendone le carni come nutrimento, quanto peraltro narrato dall’articolo redatto da Luke Fater e pubblicato il 26 novembre 2019 su Atlas Obscura, guida turistica a recensione dei posti più spettacolari del mondo e narrazione d’eventi unici e stravaganti.

In base a quanto riportato nello scritto di Fater, attorno alla seconda metà dell’Ottocento la carne di procione era largamente popolare, al punto che l’aforista, scrittore, umorista e docente statunitense Samuel Langhorne Clemens (1835-1910), noto allo pseudonimo di Mark Twain, la volle inserire in una List of Note, cioè un elenco di tutte le prelibatezze alimentari americane verso le quali il suo palato provò patriottica nostalgia durante un lungo peregrinare, effettuato nel 1870, per l’intero continente europeo, lista che venne inclusa in A Tramp Abroad, suo diario di viaggio pubblicato nel 1880, ove al nomignolo “Coon” corrisponderebbe appunto la carne d’orsetto lavatore, in principio del XX secolo così nota da essere venduta in mercati e ristoranti, aumentando in più la caccia allo sfortunato procionide anche a causa d’una crescente tendenza del periodo ad indossarne la pelliccia.

Differente e benevola sorte graziò al contrario un esemplare di procione che, nel novembre del 1926, venne offerto in dono alla Casa Bianca da una donna, Vinnie Joyce, proveniente da Nitta Yama, Mississippi, per divenire succulenta cena in occasione del Ringraziamento, fortunatamente però,  John Calvin Coolidge Jr. (1872-1933), all’epoca trentesimo presidente degli Stati Unti in carica, intenerito e affascinato dalla bizzarra bestiolina, decise di tenerla come animale domestico, affibbiandole il nome di Rebecca e lasciandola liberamente scorrazzare nei presidenziali giardini, nei quali venne fotografata più volte, sia al guinzaglio che in braccio alla first lady Grace Anna Goodhue Coolidge (1879-1957), che la tenne come animale da compagnia fino al 1928, anno in cui, al trasferimento della famiglia, l’orsetto lavatore venne condotto in uno zoo, dove sopravvisse per brevissimo tempo.
 

Anche noto come orsetto lavatore, il procione narra remote storie d’evoluzione e migrazioni, affiancando alla simpatia del suo aspetto una condotta comportamentale in assidua fede alla specie, connaturato vincolo a sua Madre Natura e indissolubile armonia biosistemica • Terzo Pianeta • https://terzopianeta
Grace Goodhue Coolidge e Rebecca, 1921

 
Una singolare vicenda d’affiatamento nata per caso e testimone della grazia che il regno animale riesce ad offrire agli animi che dall’interazione con qualsiasi specie sappiano trarre piacevolezza ed insegnamento, come fu per Rebecca e la famiglia Coolidge, nell’interazione che scavalcò confini, unendo all’affetto dell’uomo, nella soave unicità del rapporto fra esseri viventi, l’autonomo temperamento del procione, in quel frangente resosi mansueto ed incline al contatto umano, indelebilmente passando alla storia come imperitura riprova della reciproca considerazione che mai dovrebbe venire a mancare fra creature del medesimo globo terrestre.

Se potessi mi riempirei la casa di tutti gli animali possibili. Farei ogni sforzo non solo per osservarli, ma anche per entrare in comunicazione con loro. Non farei questo in vista di un traguardo scientifico (non ne ho la cultura né la preparazione), ma per simpatia, e perché sono sicuro che ne trarrei uno straordinario arricchimento spirituale e una più compiuta visione del mondo. In mancanza di meglio, leggo con godimento e stupore sempre rinnovati molti libri vecchi e nuovi che parlano di animali, e mi pare di ricavarne un nutrimento vitale, indipendentemente dal loro valore letterario o scientifico. Possono anche essere pieni di bugie, come il vecchio Plinio: non ha importanza, il loro valore sta nei suggerimenti che forniscono.
Primo Levi

 
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