Orche: letali sovrane dei mari, d’indole mite
Dominatrici d’oceani e mari, le orche sono solenni cetacei di bianco e nero ammantati che a dispetto d’imponenza e d’immotivato titolo di “balena assassina”, si lascia ammirare in eleganti e leggiadre danze, rivelando inoltre spirito affabile, curioso ed una spiccata intelligenza.
L’etimologia in disaccordo con la logica. Chiamiamo animali gli esseri viventi ai quali neghiamo la proprietà di un’anima.
Francesco Burdin
Mammifero marino scientificamente noto come Orcinus orca, da nomenclatura binomiale del 1758 a firma del medico, botanico, accademico e naturalista svedese, Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), che ne tracciò morfologia nel saggio Systema Naturae, secondo classificazione del 1821 ad opera del biologo, zoologo e botanico britannico John Edward Gray (1800-1875), appartiene alla numerosa ed eterogenea famiglia dei Delphinidae, i delfini oceanici, di cui rappresenta l’esponente più maestoso e temibile, peraltro vantando privilegio di non contare predatori dai quali salvaguardarsi.
Apparsa 11 milioni di anni fa, sebbene la differenziazione filogenetica in specie autonoma risalga a metà di tale arco temporale ed una prima descrizione preceda d’esattamente due secoli l’autografa di Linnaeus, dato il narrarne, dopo aver preso visione d’un esemplare arenatosi a Greifswald, città tedesca posta sulle rive del Mar Baltico, per mano del teologo, bibliografo, naturalista e immane sapiente svizzero Konrad Gessner (1516-1565), in Piscium & aquatilium animantium natura, quarto di cinque volumi — ove illustrò i quadrupedi nel 1551, gli ovipari nel 1554, l’anno seguente i volatili, nel 1558 il predetto inerente il mondo acquatico ed in ultimo, incompiuto ed edito postumo nel 1987, su serpenti e scorpioni — contenuti nella sua opera maggiore al titolo Historiae Animalium, trattato rinascimentale enciclopedico d’assoluta rilevanza, al punto da risultare il testo di storia naturale maggiormente consultato durante il Rinascimento e prototipo moderno di genere.
Orche: arte predatoria, aspetto ed indole
Nonostante l’orca sia diffusa a livello planetario, parallelamente al peculiare habitat, la stessa ama soggiornare in gelide acque e zone costiere, benché annoverando varietà tendenzialmente errabonde, durante il periodo estivo, spesso seguendo la migrazione delle prede, oltre a conseguenza dei cambiamenti climatici, siano solite navigare nei pressi dell’equatore, vagando in acque tra i 20 ai 60 metri, tuttavia trascorrendo gran parte dell’esistenza a basse profondità, non di rado avvicinandosi persino alle foci dei fiumi ed in tal modo costituendo, appunto in virtù di qualità adattativa da presenziare in molteplici ambienti, specie biologicamente cosmopolita e d’ardua valutazione del numero degli esemplari viventi, annoverandone, soltanto a livello ipotetico, circa 50.000, anche se per gli esposti motivi, causa d’assenza di censimenti a riguardo, l’entità della popolazione potrebbe verosimilmente essere più elevata.
Ruolo di predatrici apicali, unito alla predetta facoltà di risiedere in diversificati fondali, permettono alle orche di giovare d’un’alimentazione particolarmente variegata, per un quotidiano consumo di cibo superiore a duecento chilogrammi e che, rispetto alla zona frequentata ed al gruppo di riferimento, transiente o stanziale, consiste in uccelli marini, lontre, pinguini, balenotteri, capodogli, delfini, Otaridi, Cefalopodi, tartarughe marine, quindi in pesci in generale, fra i quali, aringhe, salmoni, squali, in aggressioni dalle orche effettuate in branco e perciò guadagnando ulteriore soprannome di “lupi di mare”.
Solitamente l’attività di caccia ha lunga durata e prevede una moltitudine di tecniche e strategie: violenti colpi di cosa, letali accerchiamenti, sfiancanti inseguimenti — esse toccando una velocità di 55 km orari — oppure adottando una tipologia d’attacco collettivo noto come “alimentazione a carosello”, messo in atto, nel caso delle orche norvegesi allo scopo di catturare le aringhe, sorprendendo il banco ed attorniandolo sin a costringerlo in una sorta di massa sferica per poi sospingerlo, disorientandone e terrorizzandone le unità mediante percosse, emissione di suoni e bolle d’aria, verso la superficie, raggiunta la quale, mai smettendo di scuoterle se ne nutrono alternandosi; un assalto portato non solo sfruttando l’ovvio vantaggio della corporatura, ma altresì avvalendosi dell’ecolocalizzazione o ecolocazione, che permette loro di percepire un pericolo imminente a distanze superiori di quanto possano le vittime.
Anche detta biosonar, si tratta di un meccanismo proprio di alcuni mammiferi tramite cui, propagando suoni nell’ambiente circostante, ne ricevono l’eco provocato dal rimbalzo delle frequenze sugli oggetti, attraverso la mascella, provvista di ossa affini a quelle dell’apparato uditivo umano e da essa si propagano al cervello passando dal nervo acustico, riuscendo così ad individuare la posizione di eventuali ostacoli e stimarne la distanza, oltre a servirsi del prezioso strumento similmente ad una bussola e per la ricerca di cibo.
La particolare relazione fra orche in ambito di caccia, ne fa incubo anche del possente squalo bianco, a sua volta circondato, stordito, obbligato a posizione capovolta ed indi morso con precisione chirurgica nella zona del fegato, in un lampo estratto e divorato, lasciando alle onde ciò che rimane del malcapitato, dalla sua stessa indole solitaria reso inerme davanti al branco.
Ulteriore metodo di cattura, svolto in coppia ed in aree attigue ad arenili, vede un’orca andar in rotta di collisione con la prescelta preda, facendole avvistare la pinna dorsale lasciata emergere dalle acque ed in tal modo inducendola a cercare riparo prendendo la direzione opposta, ossia dove la complice è pronta ad accoglierla.
Oltre ad indubbie capacità di stratega, sono evidentemente le riguardevoli dimensioni a rendere l’orca temuto abitante degli abissi, se le femmine difatti sfiorano le 4 tonnellate spaziando in lunghezza dai 5 ai 7 metri, i maschi oscillano fra i 6 e gli 8 metri per un peso di almeno 8 tonnellate, seppure non siano rari esemplari di mole superiore, come testimoniato dal più monumentale attualmente riscontrato, di 9,8 metri per 10 tonnellate.
Colossi dal manto lucido, bianco splendente su fianchi, petto e nei pressi degli occhi, al contrario nero — talvolta grigiastro o candido nelle orche antartiche — sul dorso, da cui, avente compito di stabilizzatrice, si eleva pinna che nei maschi sfiora i due metri, mentre nelle femmine altezza si dimezza e si accentua curvatura frontale, tuttavia in entrambi i sessi, alla base mostrando una stria grigia denominata “sella”, elemento, dacché diverso in ogni orca, distintivo per antonomasia.
A contraddistinguerne l’aspetto, essendo esponenti degli odontoceti, sottordine dei Mammiferi Cetacei, sono altresì i denti in luogo dei fanoni, mostrandone da 20 a 26, arcuati e robusti, a garanzia di agevole presa e dilaniamento; dote che assieme al succitato udito, straordinario in età giovanile, è accompagnata da eccellente vista e percezione tattile, con derivata possibilità di ben destreggiarsi tanto in fase d’immersione quanto in superficie.
Generalmente, l’orca, le cui parabola va dai trenta ai novant’anni, con le femmine più longeve dei maschi, vive in nuclei familiari matrilineari chiamati pod, vale a dire composti da una coppia con piccoli ed altre femmine, giovani e ancora fertili, anziane ed ormai sterili, usualmente per un totale d’una trentina d’individui, formando una struttura sociale tanto complessa da esser paragonata a quella di primati superiori ed elefanti.
A livello comportamentale, le orche — fra loro comunicanti propagando per mezzo d’un organo frontale un linguaggio di suoni peculiare di ciascuna famiglia e tramandato di generazioni fino ad un massimo di sei — conducono esistenza dedicandosi alla ricerca di cibo e al viaggio, non trascurando i piaceri dell’ozio, rimanendo con la testa sul filo d’acqua in pacifica osservazione, così come della compagnia e del gioco, palesi nei balzi fuori dell’acqua, negli schiaffi alla stessa ricadendo ed affibbiati con la coda, nonché dilettandosi in nuotate e scorribande senza prerogativa di specie.
Il peso dell’apparato cerebrale delle orche è secondo solamente a quello dei capodogli, il cui cervello è in assoluto il più grande del regno animale ed i quali, rapidi nell’inabissarsi, meglio riescono a sfuggire ai cetacei bianconeri che da un punto di vista dell’apprendimento, sono considerati intellettivamente ricettivi e perspicaci, sebbene addestrarle in cattività, data la naturale e composita struttura sociale, ponga non poche questioni etiche, potendo negativamente influire sul benessere psicofisico precludendogli di manifestarsi secondo ingenita inclinazione, tuttavia trovando in esse animo bonario ed attitudine al rapportarsi con l’essere umano, ennesime prove d’infinite sfumature caratteriali ad onta d’epiteto “assassina”, in totale antitesi con l’indole d’affascinante sovrano di mari ed oceani, peraltro palesante estrema delicatezza già nell’accudimento che le madri rivolgono alle proprie creature, nell’interesse d’insegnare loro la vita sulle orme dell’esperienza, seguendone passo passo l’apprendimento.
La delicata fase di riproduzione delle stesse — con maturità sessuale femminile a partire dalla prima decade di vita, la maschile aumentata di sei anni, dunque a partire dai 16 — può avvenire anche fra membri di pod differenti, questa la ragione per cui il maschio, nello specifico caso non essendo in grado di riconoscere la propria figliolanza, magnanimamente dedica attenzione a tutti i nuovi nati del suo gruppo, peraltro l’orca non è monogama e l’accoppiamento può avvenire i tutti i periodi dell’anno, sebbene sembrerebbe preferibile quello primaverile/estivo, con intensa attività durante i mesi di maggio e giungo, nell’Oceano Pacifico del Nord, mentre nell’Atlantico del Nord la situazione sarebbe speculare, con ottobre e novembre i mesi maggiormente prolifici; anche i maschi sono poligami e tendenzialmente spinti a riprodursi al di fuori del proprio pod, probabilmente per evitare situazioni di consanguineità.
La fertilità dell’orca, con picco al ventesimo anno, si mantiene stabile fino ai 40 anni circa, poi celermente diminuendo, come le donne, e pochissime altre specie, raggiungendo uno stato di menopausa e comunque proseguendo esistenza per decenni, chi più, chi meno; la gestazione, della durata di circa 15/18 mesi, fra un parto e l’altro in genere frapponendosi dai 3 agli 8 anni, in media 5, prevede la nascita, in acque basse, di un solo cucciolo, che la madre prontamente conduce al fianco d’un parente, dal quale il neonato viene sull’istante condotto in superficie per respirare.
Il “vitello”, così viene parimenti definito, nasce, fuoriuscendo dalla parte della coda, con un peso di circa 130 kg, per una lunghezza compresa fra i 2 e i 2 metri e mezzo; le parti di livrea che nell’adulto sono bianche, vengono alla luce sfumate di giallognolo.
L’allattamento copre da uno a due anni, nelle prime settimane con poppate frequenti, ogni venti minuti circa, lo svezzamento protraendosi abitualmente fino al secondo, purtroppo la mortalità associata ai primi 7 mesi rimanendo molto alta, nell’ordine del 37/50%, forse questa la ragione per la quale l’intero branco si occupa con assidua premura del loro accudimento; la madre condividerà con il piccolo gran parte dell’esistenza, spesso indirizzandolo nella scelta d’un compagno ottimale, nel tentativo di garantirsi elevate probabilità di discendenza.
Il legame tra madre e figlio surclassa qualsiasi barriera, dimostrandosi l’orca un mammifero d’una delicatezza estrema, amorevolmente prendendosi cura della propria prole e meticolosamente adoperandosi in virtù della sua crescita, nel materno interesse della sua vita futura, mantenendo salde relazioni di gruppo intrecciate sulla fiducia e sul reciproco sostegno, a dimostrazione d’una multiforme struttura cerebrale ancora non del tutto conosciuta.
Di questa balena sa ben poco l’uomo di Nantucket, e niente di niente il naturalista di professione. Da quello che ne ho visto a distanza, direi che era più o meno grossa come un grampo. È molto feroce, una specie di pesce delle Figi. Certe volte s’attacca al labbro della grande balena Folio e vi resta appigliata come una sanguisuga finché la potente bruta muore tra i tormenti. Mai è preda di cacciatori l’assassino. Non ho mai saputo che razza d’olio possa avere. Si dovrebbe muovere obiezione al nome imposto a questa balena, a motivo della sua indefinibilità. Perché siamo tutti assassini, sulla terra e sul mare; Bonaparte e Squali inclusi.
Herman Melville, Moby Dick
La storia dell’orca Old Tom
L’ingiurioso termine “assassina” col quale l’orca viene comunemente appellata, non ha motivo d’esistere, dato il suo essere mammifero le cui sporadiche aggressioni nei confronti dell’uomo si sono verificate in conseguenza a situazioni di stress e in cattività, dunque non attribuibili ad un indole violenta e omicida, al contrario la specie svelandosi faceta e perfetta imitatrice dei comportamenti altrui, come riportato da aneddoti di pescatori che con esse si sono trovati ad interagire pacificamente, scoprendole dilettevoli ed assolutamente prive di moti violenti, anzi, rimanendo uccise quando incomprese nelle intenzioni, mentre fin da tempi remoti, soprattutto in riconoscenza di generosità ricevute, sovente capita che largiscano aiuti nel rifornimento ittico e celebre esempio ne fu Old Tom, un’orca di 6,7 metri per 6 tonnellate, vissuta fra il 1895 e il 1930, assistendo i balenieri dell’australiano porto di Eden, nel riunire i cetacei all’interno della baia di Twofold, sulla costa meridionale del New South Wales.
All’epoca, ad Eden, la pesca alla balena franca australe — dal 1937 specie protetta — che stagionalmente migrava nella baia succitata a fini riproduttivi, era molto praticata, principalmente per ricavarne e commerciarne l’olio anche fini commerciali ed in tale frangente, ebbe inizio la favola di Old Tom, il quale, a capo d’un manipolo d’orche, intercettata la preda, mentre le compagne badavano ad impedirne la fuga, si recava di fronte alla stazione baleniera e sbatteva energicamente la coda per destare l’attenzione degli uomini, guidandone poi le barche sul sito di cattura, ottenendo in ricompensa che lo sventurato cetaceo, arpionato ed ormai esanime, fosse lasciato una notte legato ad una boa a favore del branco, ovvero ricevendo quanto stabilito dal simbolico patto, Tongue Law, dunque la possibilità di gustarne labbra e lingua, le parti a loro più gradite, in quanto morbide ed eccellenti fonti proteiche, quindi i pescatori recuperando la carcassa al mattino seguente.
Fra il drappello di Old Tom e i balenieri s’instaurò un forte legame, d’altronde già gli aborigeni Yuin, conferivano alle orche significativo valore mistico, soprannaturale, in aggiunta considerandole reincarnazione degli antenati, dei guerrieri più ardimentosi, evocati in rituali e tornati dall’oltretomba per dare appoggio ai membri della tribù e leggenda narra, che le cavalcassero durante le battute di pesca, un vincolo poi tramandato, dopo iniziali contrasti e battaglie per il predominio marittimo, ai coloni inglesi, traendo da sodalizio persino protezione dagli squali, dalle orche tenuti a distanza dalle imbarcazioni.
Old Tom divenne così un fidente alleato, finché nel 1923, causa un’improvvisa tempesta, durante la cattura in coppia di una balena, venne leso all’arcata dentaria da un arpioniere e la ferita, nel tempo si rivelò fatale, dacché gli impedì di nutrirsi adeguatamente ed il 17 settembre del 1930, venne trovata senza vita nella baia di Twofold. I cetacei al suo seguito si dispersero nell’immediato e da allora, mai più si è ripetuta una simile storia, tanto che a memoria di mirabile coalizione, l’anno successivo venne fondato l’Eden Killer Whale Museum, dove sono custoditi i resti del protagonista di straordinaria avventura.
Lo stato di conservazione delle orche, date le minacce dell’inquinamento ambientale ed acustico, in aggiunta alle variazioni dell’habitat per mano antropica, graduale sulle modifiche del territorio o drasticamente rovinoso nel caso di accidentali riversamenti di petrolio in mari ed oceani, è dal 2008 sotto particolare osservazione, in quell’anno l’International Union for Conservation of Nature (IUCN), l’organizzazione internazionale, fondata nel 1948, operante in ambito di conservazione della natura e spronante l’uso sostenibile delle risorse naturali, ha variato lo stato dell’orca da “conservazione dipendente” a “dati carenti”, dunque da una specie non ancora minacciata da estinzione, ad una la cui scarsità d’informazioni a riguardo non lo possa far escludere con certezza.
L’orca è da sempre titanica presenza fra onde, sin dall’antichità parallelamente al centro di alcune culture indigene anche della costa nord occidentale del Pacifico, come ad esempio quella degli Haida, per migliaia di anni popolanti l’arcipelago Haida Gwaii, situato a meno di 80 miglia dalla costa canadese, la cui mitologia era intrisa dei possenti cetacei, oppure, fra le tante, la popolazione Tlingit, prevalentemente residente in Alaska e adorante il monumentale mammifero come protettore del mare e degli uomini, senza dimenticare le incisioni rupestri in ossequiosa venerazione, risalenti a ben 4000 anni fa, portate alla luce nel sito archeologico di Port au Choix, penisola situata sulla costa occidentale dell’isola di Terranova, in Canada.
Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell’acqua, che camminano sulla terra, che volano nell’aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?
Agostino d’Ippona, Sermoni
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