...

Le Torture degli Allevamenti Intensivi

Jo-Anne McArthur, è la fotografa e autore dei 25 scatti della mostra fotografica organizzata da Eurogroup For Animals, che insieme ad un filmato della LAV commentato dalla voce di Kris Reichert, sono i contenuti portati al Parlamento Europeo per denunciare le condizioni di milioni di suini.

Non è un segreto che negli allevamenti intensivi, spesso invasi dai topi, gli animali vivano ammassati in gabbie anguste e in condizioni igieniche deplorevoli, sopportando ogni genere di angheria prima di finire sulle nostre tavole.

Poco dopo la nascita i suini maschi subiscono la castrazione senza che venga loro somministrata alcuna anestesia e sempre da cuccioli, vengono limati o troncati i denti per evitare che feriscano la madre durante un’allattamento di massa, ma anche affinché non si mordano per il forte stress al quale sono inevitabilmente sottoposti, motivo che spinge gli allevatori a procedere anche con l’amputazione di parte della coda, facendo uso di pinze o servendosi di una lama arroventata.

Pratiche disumane messe in atto per proteggere la carne da lacerazioni e cattivi odori che si riverserebbero sui prodotti finali, quindi anziché eliminare la causa allevando civilmente gli animali, si preferiscono le mutilazioni.

La Compassion in World Farming, conta che ogni anno sono oltre 250 milioni i suini macellati in Europa, 13 milioni solo in Italia e questo, mentre la FAO calcola che entro i prossimi trent’anni la domanda mondiale di prodotti di bestiame aumenterà del 70%, ben descrivendo quanto siano necessarie leggi di controllo in grado di porre fine a un tale scempio.

«A livello Europeo – afferma il vice presidente di LAV, Roberto Bennati – per i produttori non ci sono requisiti chiari sul trattamento di questi animali. E le nome esistenti vengono spesso disattese. Per questo – conclude Bennati – abbiamo lanciato la campagna europea #ENDPIGPAIN, i maiali non devono soffrire».

ATTENZIONE: IMMAGINI PARTICOLARMENTE FORTI

 

Una situazione che le associazioni animaliste denunciano ormai da anni, lanciando continui appelli perché gli allevamenti intensivi vengano aboliti, richieste accolte da un numero esiguo di persone e ignorate tanto dalle industrie, quanto dalla politica, a dimostrazione di come il problema sia poco sentito e non avvertito come una realtà disdicevole vissuta da milioni di animali, ma neppure come un pericolo per la salute dell’uomo.

E’ dimostrato infatti che un animale portato a superare i propri limiti, è esposto a malattie contro le quali si rendono necessari interventi farmacologici.
Questo significa che molti allevatori somministrano antibiotici in forma preventiva, mettendo in moto un processo per cui l’animale avrà maggiore probabilità di sviluppare batteri resistenti ad un determinato antibiotico e di conseguenza, ad uno strettamente correlato.

Secondo la European Food Safety Authority, “I batteri resistenti possono diffondersi attraverso molti percorsi. Quando si riscontrano resistenze antimicrobiche nei batteri zoonotici (esempi ne sono la salmonella, l’epatite A e parassiti tra cui la Trichinella N.d.A.) presenti negli animali e negli alimenti, può anche compromettere l’efficace trattamento delle malattie infettive nell’uomo“.

Ad esclusione dei pesci, nel mondo ogni anno sono circa 70 miliardi gli animali destinati alla catena alimentare e più dell’80%, giunge da allevamenti intensivi.
Non solo suini quindi, ma conigli, pollame, ovini e bovini che non hanno i dovuti spazi e immessi nella filiera della carne, non di rado vengono ingrassati senza rispettare i normali bisogni fisiologici.

Vitelli allontanati precocemente dalle madri, provocando uno stato di sofferenza ad entrambi ed impedendo loro di ricevere la naturale quantità di colostro, ovvero il primo e più nutriente latte, aprendo a un possibile indebolimento immunitario che li rende inadeguati a resistere ad eventuali malattie e infezioni (vedi sopra).
Senza contare che per andare incontro alle preferenze dei consumatori, sono resi volontariamente anemici, così che le carni siano più bianche.

Per le mucche da latte il destino non è migliore; la gran parte non conoscerà mai il pascolo e costrette ad una produttività estrema, sono vittime di disturbi di vario genere, come zoppìe e infiammazioni alle mammelle e il tutto, anche dovuto ad una lacuna da parte della legislazione europea che non prevede standard minimi.

Un problema che andrebbe affrontato con leggi che smettano di proteggere l’industria alimentare, rendendo noti i nomi delle aziende che fanno riferimento ad allevamenti intensivi, cosicché i consumatori sappiano cosa acquistano e da chi.

Altrettanto, la questione dovrebbe essere fronteggiata da chi ha scelto di togliere la carne nella propria dieta e a maggior ragione da coloro che rappresentano l’utente finale, quindi laddove non si abbia conoscenza e non ci sia possibilità di recarsi direttamente dal produttore, sono quantomeno da evitare i prodotti a basso costo, perché se anche significasse diminuirne il consumo, sarebbe una rinuncia apparente, in quanto, oltre a provocare una verosimile inversione di rotta da parte dei produttori portandoli verso una scelta etica, è la salute che ne trarrà vantaggio.

Skip to content