Laghi vulcanici, finestre sul cuore del Pianeta
Incantevole testimonianza del perpetuo mutamento e rinascita di Madre Natura, i laghi vulcanici dipingono la superficie terrestre celando, in riflessi d’acque cristalline adornate di verdi trame, culle di microcosmi, memoria del Pianeta e d’antiche civiltà.
Un lago è il tratto più bello ed espressivo del paesaggio. È l’occhio della terra, a guardare nel quale l’osservatore misura la profondità della propria natura.
Henry David Thoreau
Adagiati nelle circolari depressioni originatesi a seguito d’esplosione dell’area centrale di crateri, altrimenti dal collasso delle strutture periferiche degli stessi, tali variopinti specchi, colmano le estremità di vulcani oramai spenti, oppure solamente quiescenti, ovvero attivi, ma non aventi dato luogo ad eruzioni negli ultimi diecimila anni, pur manifestando fenomeni secondari come emissioni, da fessurazioni del suolo, di vari composti gassosi a temperature più o meno elevate, distinguendosi, secondo sostanza, in fumarole, mofete, putizze, solfatare e soffioni.
Privi di corsi fluviali in funzione di immissari, i laghi, particolarmente profondi, sono frutto di piogge abbondanti, ghiacciai andati sciogliendosi, di sorgenti sotterranee, spesso idrotermali, per cui tranne casi di emissari determinati dal crollo di sezioni del ciglio perimetrale, sono regolati per effetto dell’evaporazione, il loro completo riempimento o svuotamento richiedendo dunque decenni, tuttavia, volendo considerarne l’innalzamento o l’abbassamento nel circoscritto periodo d’un anno, da un punto di vista teorico è d’obbligo riferirsi al TR, vale a dire il rapporto che intercorre fra la massa d’acqua che nel suddetto intervallo di tempo fuoriesce tramite l’emissario e il volume stesso del lago, non mancando di tener presente quanto i tempi di ricambio di quelli vulcanici siano nettamente più lunghi rispetto agli alpini o subalpini, in ragione del loro modesto dinamismo idrografico, da correlare alle modalità di formazione degli stessi.
Causa di tempistiche maggiormente elevate è infatti d’attribuirsi al fatto che spesso il valore annuale medio delle precipitazioni corrisponde all’incirca a quello d’evaporazione, di conseguenza equivalendosi le portate d’acqua confluenti e defluenti e pertanto inondandosi con maggior facilità i laghi accresciuti da ampi bacini, come appunto quelli alpini nei quali sfocino emissari di maggiore portata.
Caldere e crateri vulcanici sono i luoghi per eccellenza deputati al raccoglimento delle acque e la differenza fra le due caratteristiche — da occhi inesperti in materia geologica esclusivamente attribuite a un semplice scarto dimensionale, essendo la caldera generalmente più estesa nella sua depressione — si deve al processo di genesi:
• la caldera viene a sagomarsi nel caso in cui un’importante eruzione di magma o flusso lavico crei dietro di sé un significativo vuoto sotterraneo, con successivo collasso all’interno dei materiali vulcanici soprastanti e derivata depressione della zona superiore, e le irregolari forme che essa assume, dalla circolare all’ellittica, con pareti solitamente verticali, son diretta conseguenza del violento e repentino fenomeno;
• il cratere si modella invece per effetto della lava che, agendo dopo l’eruzione sulla struttura rocciosa del vulcano, l’affievolisce per effetto dell’alta pressione, quindi sprofondandola, ciò nonostante in esso, questa la principale discrepanza con la caldera, permanendo spaccature con costante mantenimento dell’attività vulcanica, non di rado dalle stesse esalando vapori lavici, inoltre la minor veemenza dell’evento essendo alla base della sua inferiore grandezza e della conformazione tondeggiante, presupposto che sottende la possibilità che i crateri possano anche trovarsi all’interno delle caldere, queste ultime definite “dormienti”, seppur alcune manifestando segnali di risvegli futuri.
A caldere comunemente del diametro di qualche chilometro s’aggiungono vere e proprie depressioni testimoni delle mastodontiche eruzioni d’epoche passate, oggigiorno planetarie culle di laghi, come, ad esempio il canadese Sturgeon Lake Caldera, altrimenti d’aree verdi quali, per citarne solo alcune, il celebre Parco di Yellowstone, uno fra i più estesi ecosistemi, ancor integri, situati nella fascia temperata del pianeta; il Valles Caldera nel Nuovo Messico, paesaggio racchiuso nel possente abbraccio delle Jemez Mountains e ricco di terme, fumarole e ruscelli; la riserva naturale Ngorongoro in Tanzania, preziosa perla africana unica nel suo genere e popolata da innumerevoli specie animali che abbelliscono il loro ambiente nel commovente e fragile equilibrio degli ecosistemi.
Durante la stagione invernale, all’ovvio calar della temperatura superficiale dell’acqua contenuta nei bacini imbriferi lacustri, segue un mescolamento della stessa con acque più profonde, mantenendosi i laghi in una costante, sebbene transitoria, situazione di omogeneità interna essenziale alla loro completa ossigenazione, in questo modo riuscendo a “prendere una boccata d’aria” anche i livelli più bassi, che solitamente sono i più soggetti ad ipossia, se non addirittura ad anossia, per consumo dell’ossigeno da parte delle sostanze organiche nei periodi caldi, in sintesi potendosi considerare la quantità d’ossigeno diluito in un lago, un ferreo criterio di giudizio relativo alla presenza di vita al suo interno .
Nei laghi vulcanici capita facilmente che la miscelazione appena descritta non avvenga, sopraggiungendo uno stato, detto meromissi, di perenne separazione delle acque dai fondali dalle altre, nel tempo dall’anossia iniziando ad avviarsi processi di trasformazione anaerobica (quelli che si sviluppano solo in assenza dell’ossigeno) dai quali emergono composti ridotti come ammonio, metano e acido solfidrico, in quella fascia e nelle immediate vicinanze avendo la peggio qualsiasi organismo vivente, le particolari condizioni in essere determinando lo sviluppo di forme di vita diverse da quelle di tutti gli altri laghi e annoverando fra la flora e la fauna specie che siano in grado d’adeguarsi all’indolente ritmo d’acque stagnanti, se rapportate a quelle di laghi in cui copiosa e vivace attività fluviale sia naturale adrenalina per l’intero bacino.
Nonostante tutto, l’affascinante e lodevole capacità d’adattamento della natura permette, a molteplici micro organismi di lietamente trascorrere la loro esistenza, sia all’interno del lago che sui suoi confini esterni, in quello che riconoscono, assumendolo a sicura dimora, come il loro habitat ottimale, percezione comune ad altri piccoli animali e a una miriade di volatili che ne fanno prediletta colonia residenziale.
L’ambiente dei laghi vulcanici è molto eterogeneo e flessibile in quanto indissolubilmente correlato alle tipicità morfologiche del bacino, per questo la vegetazione lacustre nei secoli attuando un meccanismo d’adattamento sconcertante nell’ “istruire” le proprie radici a conservare il nutrimento necessario al loro sostentamento in periodi di penurie.
Le consuete esalazioni vulcaniche restano in ogni caso incessantemente deleterie al loro manifestarsi dato che, qualora il lago si trovi in un cratere ancora attivo, non è la mancanza di eruzione in atto a interrompere lo sgolo di vapori o sostanze chimiche che risalgono dal fondo e, in determinate zone, s’elevano fumi di zolfo che, sostando nell’aria in condizioni meteorologiche di scarso vento, falciano la vita di svariati piccoli animali, specialmente quelli non dotati di ali e perciò impossibilitati a superare la coltre di sottile nebbia sulfurea che prende possesso dei loro polmoni, asfissiandoli, fatale eventualità che generalmente non capita all’uomo, la suddetta bruma non essendo per lui nociva se non respirata in dosi massicce, consapevolezza che si tramuta in ammonimento al non campeggiare nei pressi di laghi vulcanici, soprattutto in giornate poco ventose, con minimi accorgimenti potendo dunque godersi il singolare panorama, lasciandosi sedurre dal fascino della natura senza dalla stessa farsi ferire, al contrario entrandone in simbiosi nel rispetto dei fenomeni a lei propri e considerandosi ospiti nel suo straordinario, stravagante e sbalorditivo tempio in onore ai cieli, varcandone la soglia con grato riguardo.
Alcuni dei laghi vulcanici più noti
In maestosa presenza sull’intera sfera terrestre, centinaia sono le caldere e migliaia i crateri, molti di essi ospitanti laghi vulcanici che, come turchesi occhi rivolti allo spazio, talvolta del tutto tondi, in altri casi con distintivo taglio a mandorla, oscillano nelle loro temperate conche, sonnacchiosi e imperturbabili, a livello planetario distribuendosi come fratelli cosmopoliti in ogni continente, su varie scale di bellezza, seppure ciascuno d’essi conferma di quanto il mondo sia stato dipinto con variopinte setole, forgiato da premuroso ed affabile tocco e musicato in armoniosi e gradevoli accordi, messi in note tra le sue sublimi e multiformi creature.
Vagabondando per laghi a partire dallo stato dell’Oregon, precisamente sulla West Coast, ad una altezza superiore ai 2000 metri e nato dall’esplosione del Mount Mazama — remoto vulcano di 7700 anni, silente da secoli — si trova il Crater Lake, suggestivo e terso specchio che può vantarsi, essendosi riempito per scioglimento delle nevi, di possedere acque fra le più cristalline esistenti e probabilmente detentore, nel suo genere, del record di profondità, dato il fondale posto a poco meno di 600 metri, per una grandezza pari a 53 km quadrati; l’immensa caldera custodisce in pancia piccole protuberanze, rimasugli di occasionali crateri fra i quali uno spunta dalle acque sotto forma d’isola al nome di Wizar Island — Isola del mago, un cono di cenere vulcanica, largo all’incirca 150 metri, la cui sommità s’erige a 6933 piedi sopra il livello del mare, pari a 755 piedi dalla superficie media del suo paterno lago e il complesso del maestoso promontorio, le cui cime innevate, adornate da boscaglie, lo fanno sembrare un artistico quadro di maestri pittori, è situato nel Crater Lake National Park, area naturale protetta, decretata nel 1902.
È indonesiano il Kawah Ijen, radicato sull’isola vulcanica di Giava e il più grande lago acido del pianeta, oltre che fonte del fiume Banyupahit, nei suoi 20 km di diametro ricolmo d’abbondanti acque solforose e a forte contenuto di metalli, che sovrastano un cratere vulcanico ancora attivo la ultima eruzione risalente all’anno 1999 e protagonista di uno spettacolo naturale che ogni anno attira una moltitudine di turisti, disposti a camminare per due ore e 45 minuti allo scopo di raggiungerne i cuore e visionarne il cosiddetto “fuoco blu” le cui fiamme, che s’innalzano fino a 5 metri, scaturiscono su accensione causata dal gas solforico, illuminando la notte di fosforescenti vampate azzurrognole che tolgono il respiro al guardarle, tant’è la bellezza dell’avvenimento, lo zolfo che tutto pervade costituendo un enorme pericolo dal quale è bene tutelarsi sia come semplici spettatori, visti il potere corrosivo dell’acido, che come residenti in dura battaglia con le fluviali acque derivate dal ph, inferiore allo 0,3 e decisamente distruttivo sulle colture.
Da quella che è una vera e propria miniera di zolfo, in caso di eruzione si può assistere — come fece il fotografo francese Olivier Grunewald il quale, in compagnia di Régis Etienne si posizionò per una trentina di giorni a bordo cratere, ovviamente munito do maschere antigas e idonea attrezzatura per trarne immagini documentaristiche — al cambiamento di colore della lava, che sfiata dalla sua bocca in cerulee nuances.
Il tempo era calmo e bellissimo: la lava splendeva contro il suolo buio come un’immensa costellazione.
Hans Christian Andersen
Di medesima nazionalità sono i laghi Kelimutu, raggiungibili partendo dalla città di Moni, sull’isola di Flores, e dirigendosi al vulcano omonimo, alto 1639 metri, attualmente inattivo, ma non del tutto spento, con emissioni ancor presenti e tre piccoli laghi la cui peculiarità e l’essere di tre differenti colorazioni: un bel verde smeraldino per lo Nuwa Muri Koo Fai; un vivace azzurro a vestire il Tiwu Ata Mbupu, come fosse un classico lago montano; infine un verdone oliva nelle acque della Tiwu Ata Polo, una dissomiglianza dovuta alla varietà di minerali espulsi dal vulcano, che piastrellano in variegato modo i fondali, la sovrapposizione dell’acqua creando ondeggianti policromie streganti gli sguardi.
Sempre all’Indonesia, appartiene il lago più vasto della terra, il Toba, da 70.000 anni, ricopre, nell’isola di Sumatra, un’area di larga 30 km in larghezza e 100 km in lunghezza, formatasi dopo una ipotizzata eruzione di sterminate proporzioni, con un valore di 8, sulla scala da 0 a 9, che secondo l’indice di esplosività vulcanica VEI (Volcanic Explosivity Index), viene definita “mega colossale”, catastrofe che ebbe serie ripercussioni in tutto l’ecosistema del periodo, portando molteplici organismi vicino all’estinzione.
Nella provincia nord-occidentale del Camerun, all’interno del cratere dell’attivo Oku, riposa il Nyos, abbagliante gigante “pozzanghera d’acqua” alla cui avvenenza s’accompagna la nocività proveniente dall’anidride carbonica in ebollizione che, tempo addietro, indusse eruzioni limniche, ossia con un contenuto tale di gas da condurre a celere morte ogni essere vivente nei paraggi, come nel disastro del 21 agosto 1986 — che lo scrittore greco Basileios Drolias trascrisse nel romanzo Nyos: La cerimonia dell’innocenza, 2016 — in cui 1746 furono le vittime umane e 3500 capi di bestiame sterminati; non va poi affatto dimenticando che la sua potenziale quiescenza, nel malaugurato caso di risveglio determinerebbe un devastante tsunami che travolgerebbe in un sol colpo la vallata che sottostante di 1000 metri al lago, in un sol colpo, ragione per cui le terre limitrofe sono poco abitate, il Nyos persistendo comunque nell’essere una frizzante e curiosa attrazione turistica, a metà strada fra il desiderio d’osservarlo e il brivido del temerlo.
Il Tianchi è un grandissimo lago della provincia cinese dello Xinjiang che si staglia, al confine con la Corea del Nord, a 2190 metri circa, con una profondità di 373 metri, sulla sommità del monte Changbaishan e il cui significato letterale è “lago celestiale”, per le sue paradisiache bellezze fra cui un’acqua placida, limpida e di verdeggiante gradazione che appare come una pregevole pietra di giada incastonata fra giogaie, in una zona dal clima talmente variabile che, spaziando la vista dalle sue altezze, in molti sostengono si possano vedere in una sola giornata tutte le stagioni, a seconda dell’illuminazione a volte il pelo dell’acqua e l’orizzonte sfiorandosi come ad unirsi in una poetica e realistica cartolina di mondo; l’atmosfera è sfumata d’arcano dall’ipotetica presenza di un mostro, designato “lago del cielo”, narrata di generazione in generazione che, nelle sembianze di un drago dalla testa di bufalo, o di cavallo, o ancora di umano, emetterebbe terrificanti grida in eco fra i 10 km quadrati di superficie acquatica e i versanti attigui, come descritto per la prima volta da alcuni cronisti ad inizio Novecento.
Da allora, l’essere deforme tornerebbe saltuariamente a solcare il Tianchi in compagnia, si dice, d’almeno una ventina di creature anomale; un racconto sospeso fra leggenda e realtà molto caro agli abitanti de posto, avulsi a qualsiasi dichiarazione di scetticismo in proposito e sentitamente orgogliosi di quello che è divenuto parte del loro folklore.
Laghi vulcanici in Italia
Il Bel Paese annovera fra le sue terre numerosi laghi vulcanici ed in suolo partenopeo, ove Annibale nel 214 a.C., prima di giungere nei territori di Nola, avrebbe celebrato sacrifici di sangue al fine di ottenere la protezione degli dei, nonché luogo dove gli antichi posero l’ingresso dell’Ade, da Enea descritto attraverso la poetica di Virgilio «alta spelonca la cui bocca, fin nel baratro aperta, ampia vorago, facea di rozza e di scheggiosa roccia. Da negro lago era difesa intorno e da selve ricinta annose e folte. Uscia de la sua bocca a l’aura un fiato, anzi una peste, a cui volar di sopra con la vita agli uccelli era interdetti;» e dal Sommo Alighieri citato in Commedia in quanto appunto soglia degli inferi — secondo quanto asserito in prima battuta dal fisico, astronomo, accademico e matematico Galileo Galilei (1564-1642), per soggettiva interpretazione del poema — vi è il lago Averno, che sorge a Pozzuoli nella caldera dell’omonimo e ancora vitale vulcano, i cui fumi, qualora giacciano per carenza ventosa, sono concreta minaccia per gli animali di piccole dimensioni, di fatto per gli stessi la zona, in tali funesti casi, somigliando in tutto e per tutto a un regno infernale nel quale debba lasciar ogni speranza chiunque entri, come recita, in raccapricciante ammonimento, il celeberrimo nono versetto del terzo Canto.
Il lago Averno si trova nei i Campi Flegrei, situati nel pittoresco golfo di Pozzuoli, noti per il bradisismo flegreo, un fenomeno locale che tende a verificarsi ciclicamente — fin dal secondo secolo a.C., tra fasi ascendenti e discendenti, i contemporanei e tenui sismi, dal 2005 in fase ascendente, sono provocati da microfratture provenienti da rocce già spezzate e e sottoposte a deterioramento di gas sotterranei caldi e acidi — legato al vulcanismo secondario, un interessante evento, consecutivo al cessare dell’eruzione e dovuto al perdurare, a livelli profondi, della camera magmatica la quale, solidificandosi nel corso dei millenni, mantiene parallela interazione con il sottosuolo, con i gas in risalita e con le falde acquifere, questa enorme ammasso in raffreddamento, definito “plutone”, dando vita, oltre al bradisismo, a geyser, sorgenti termali e le varie emanazioni succitate, il sito richiamando a sé molti visitatori, inoltre poco lontano essendo visitabili anche le rovine archeologiche dell’antica città di Cuma.
In Basilicata i laghi vulcanici si sono puntellati a Monticchio, esigua frazione di Atella e Rionero, in Vulture, zona settentrionale della regione, in provincia di Potenza e tale è il nome del vecchio vulcano estinto nella cui dentro caldera due laghi sono primi attori: il Lago Grande, d’un bel verde scuro, con un perimetro di 2200 metri e dalla conformazione di un imbuto dalla profondità di 36 metri, e il Lago Piccolo, di due metri più profondo, ma inferiore nel perimetro, di 1800 metri; ambedue i laghi sono contenuti in una riserva naturale dotata di strutture turistiche per ogni esigenza e rivestita di rigeneranti e freschi boschi di cerri, faggi, lecci, ontani, conifere, pioppi, popolati da volpi, ricci, istrici, cinghiali, tassi, lupi, scoiattoli, donnole, faine, puzzole e navigati da alborelle venturine, trote e pesci reali, in un’abbondanza di biodiversità della quale i due laghi sono una splendida cornice di un mondo in movimento, il Lago Piccolo, alimentato da sorgenti subacquee, dalla sua altezza di 658 metri a sua volta rifornendo, tramite un ruscello, il Lago Grande, che si trova al di sotto di soli due metri, in una specie di collaborazione sullo sfondo di un paesaggio degno di essere visitato, respirato e ascoltato nelle sue originarie vesti, profumi e suoni.
Un trio di laghi molto famosi, facenti capo in Lazio sono il lago di Bolsena, o Volsinio, è il lago vulcanico più grande d’Europa, la cui genesi risale, nella provincia di Viterbo, a 300.000 anni fa per collasso delle caldere dei monti Volsini, mentre il livello delle sue acque è regolato da un unico emissario, il Marta, fiume il cui percorso evolve verso il Mar Tirreno, dopo aver lambito i comuni di Marta, Tuscania e Tarquinia.
Uno fra i più bei laghi vulcanici della penisola, il Bolsena è attorniato da selve boschive e borghi medievali e due isolette emergono dalle sue invitanti acque all’appello di: Martana, la più piccola — che si racconta abbia salvaguardato le spoglie della martire santa Cristina di Bolsena (III secolo – IV secolo), o Cristina da Tiro, dalla ferocia dei barbari — ora di proprietà privata, quindi non visitabile, ma circumnavigabile su battello, in tempi passati ospitò il convento degli Agostiniani; Bisentina, antica città etrusco-romena di Bisenzio, o Bisenzo, risolutivamente lasciata nel 1816 in seguito a malaria e il cui sito archeologico è notevole bagaglio di storica cultura, nel passato fu proprietà dell’aristocratica famiglia Farnese e residenza turistica di svariati pontefici.
Ripartito invece tra i territori di Anguillara Sabazia, Trevignano Romano e Bracciano, di quest’ultimo comune prende nome il lago in origine detto “di Sabatino”, utilizzato fin dai tempi degli antichi Romani come fonte di approvvigionamento idrico, è ancora presente una debole attività vulcanica giovante allo zampillare di terme e i fianchi sui quali si sostiene sono circondati da una splendida strada panoramica che si presta ad essere meravigliosa arteria nel gironzolare fra borghi medievali nei quali inoltrarsi alla ricerca di passate culture; le acque del lago si prestano ad attività di nuoto o sport di categoria, nei romantici scenari paesaggistici che lo contornano.
Mentre incastonato in un’area protetta che nei suoi 500 metri d’altezza racchiude rara biodiversità, è il lago di Vico, disteso nella caldera dell’omonimo vulcano, smorzatosi da migliaia d’anni, ai postumi lasciando in dono una sfavillante sacca le cui acque, fra i colori della palude e i riflessi di querce, aceri, castagneti, faggi e noccioleti, al cambio stagionale si amalgamano dipingendo una tela dalle tinteggiate venature i cui personaggi nell’insieme dell’opera, sono varie specie di pesci, mammiferi di piccole e grandi dimensioni, uccelli acquatici quali lo Svasso Maggiore, storico emblema della riserva, in aggiunta a rapaci notturni e diurni il cui canto, sovrapposto ai versi degli altri animali e zufolato sulle folate del vento, s’infila come pregiata perlina sul filo della vita, un esaltante monile pazientemente costruito nell’accostare diversità.
Ma uno delle più gradevoli tavole d’acqua di Roma è il lago di Nemi, sui colli Albani, completamente balneabile e unico, in Italia, a potersi pregiare della presenza del pesce re (Odontesthes bonariensis), una specie autoctona del Sud America, che venne inserita nelle sue acque per avvantaggiare la pesca.
Il lago eredita nome dal grazioso borgo compreso nel Parco Regionale dei Castelli Romani, espressivo villaggio che lega intimo orgoglio alle sue famose fragole: «Secondo la leggenda, queste fragoline di bosco nacquero dalle lacrime versate da Venere per la morte di Adone, poi trasformate in cuori rossi. Pare che queste fragole avessero dei poteri, come quello di allontanare i serpenti presenti nei boschi. Quelle di Nemi sono fragole dal colore vivace e dal sapore intenso e vengono utilizzate per diversi tipi di prodotti locali tipici come dolci, tortine, confetture, il liquore fragolino e persino per la birra. Vengono raccolte tra maggio e ottobre e proprio all’inizio di questo periodo viene svolta la Sagra delle Fragole».
Vulcani ci sono in Sicilia
e in Sud America
a giudicare dalla mia Geografia —
ma ci sono Vulcani più vicini qui
un gradino di Lava alla volta
sono propensa a scalare —
un Cratere posso contemplare
il Vesuvio in Casa.
Emily Dickinson, Poesie, 1850/86
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