La Porta dell’Inferno nella Città dell’Amore
A prima vista potrebbe sembrare una delle tante meraviglie che natura offre in ogni parte della Terra, ma la realtà è ben diversa.
E’ la “Porta dell’Inferno“, un cratere profondo 20 metri per un diametro di 70, che da 46 anni brucia ininterrottamente nel deserto del Karakum, in Turkmeinistan e destino vuole sia sorto non troppo distante dalla capitale Ashgabat, che in turcomanno significa “Città dell’Amore”.
Le sue origini si devono alle perforazioni eseguite dai sovietici nel 1971.
In cerca di petrolio, l’equipe di geologi individuò nella zona un grosso giacimento e una volta collocata la piattaforma d’estrazione, iniziarono le trivellazioni.
I tecnici, ignoravano però che non troppo in profondità, si trovava una sacca di gas naturale provocata dall’erosione delle acque e non appena le trivelle la raggiunsero, il cedimento del terreno fu immediato.
La voragine inghiottì completamente le strumentazioni, fortunatamente senza provocare vittime.
Non potendo escludere che già le subitanee esalazioni di combustibili, sarebbero bastate per provocare decessi nelle vicine popolazioni, quanto prima si doveva operare per bloccare le ulteriori fuoriuscite che il sottosuolo avrebbe inevitabilmente sprigionato.
Nonostante i rischi, i geologi decidono di risolvere incendiando il pozzo, ben sapendo che la combustione avrebbe comunque avuto un impatto minore dell’effetto serra provocato dai gas come il metano.
L’intenzione era quindi di esaurire completamente la riserva in pochi giorni, grazie alle fiamme.
E’ evidente che il piano abbia clamorosamente fallito, ma involontariamente, gli scienziati hanno dato vita a una delle principali attrazioni del Paese.
Ormai prossimo a festeggiare il mezzo secolo, la Porta dell’Inferno è raggiunta ogni anno da migliaia di turisti, ai quali continua a regalare uno spettacolo straordinario.
Facile immaginare come questo, diventi ancor più suggestivo nelle ore notturne, quando lo scintillio del cratere il cratere, è visibile addirittura a distanza di chilometri.
La speranza, è che si tratti di “spettacolo” anche per l’ecosistema.
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