Muore la notte: In aumento l’inquinamento luminoso
L’elettricità è ciò che maggiormente contraddistingue e separa la società moderna dalle epoche passate e la visione di grandi città, intere nazioni, stando seduti sulla poltrona di un aereo durante un volo notturno, oppure osservare il loro scintillio grazie alle riprese spaziali, ha sempre un fascino particolare e in quella rete capillare si ha la sensazione di vederne l’anima.
La mancanza di un limite però, è l’altra grande caratteristica del nostro tempo, abusiamo di qualunque risorsa ed oggi, quella stessa luce che rende la terra più bella di un cielo d’estate, è tutt’altro che romantica e a dirlo sono i ricercatori del Helmholtz Zentrum, centro per la salute ambientale tedesco, che hanno lanciato un nuovo allarme circa l’aumentare continuo dell’inquinamento.
Lo studio si è basato sui dati raccolti dallo strumento VIIRS, radiometro a scansione posto a bordo del satellite Suomi NPP di Nasa e NOAA, in grado di misurare le proprietà di nuvole, il colore degli oceani, la temperatura della superficie terrestre e marina, il moto e la temperatura del ghiaccio, gli incendi e l’albedo terrestre.
Il risultato è che dal 2012 al 2016, l’inquinamento luminoso è aumentato del 2,2%, la luce elettrica quindi sta oscurando le stelle e la notte sta lentamente sparendo.
E’ facile immaginare come tale condizione, abbia conseguenze negative sulla salute umana e sull’intero ecosistema e nonostante il WWF, abbia ideato la simbolica Ora della Terra già nel 2008, al fine di portare attenzione su di un fenomeno strettamente legato allo sviluppo economico, la situazione è in continuo peggioramento, tanto che in tutto il mondo, nelle maggiori aree metropolitane non è possibile vedere più di 200 stelle ad occhio nudo, ma se nulla cambia, in un futuro non lontano la luce artificiale sarà di ostacolo anche agli osservatori astronomici.
L’inquinamento luminoso è quindi un grave problema globale, vari studi hanno infatti dimostrato come l’assenza della notte, vada ad innescare importanti squilibri nella complessa catena alimentare.
Le luci a LED ed in particolare le lampade al sodio, entrambe utilizzate nelle reti stradali, sono in grado di influire sulla fioritura di diverse specie vegetali riducendone la naturale attività, allontanando così intere famiglie di insetti che a loro volta sono nutrimento per animali come i pipistrelli, invero sempre più rari a vedersi anche nelle aree extraurbane.
E’ del 20 ottobre 2017, la pubblicazione da parte di Frontiers, di studio effettuato da ricercatori tedeschi, i quali, installando una serie di lampioni adiacenti a due canali di drenaggio agricolo, situati all’interno di una riserva naturale, quindi fin ad allora al riparo da fonti d’illuminazione, hanno potuto constatare come queste abbiano alterato in modo significativo le attività dell’intera fauna presente nella zona.
Esperimento che ha confermato come in gioco vi siano le dinamiche dell’unità ecologica, l’interazione cioè degli organismi viventi e della materia non vivente, altresì mettendo in pericolo quella biodiversità alla quale è strettamente legato il destino dell’umanità.
«È importante tenere conto dei potenziali impatti ecologici durante la progettazione di nuovi concetti di illuminazione – ha affermato Alessandro Manfrin, tra gli autori della suddetta ricerca – e questi e altri risultati simili dovrebbero essere considerati dai paesaggisti e urbanisti , dagli ingegneri dell’illuminazione e dagli ecologi terrestri e acquatici».
All’avanzare della desertificazione, alle polveri sottili che sempre più soffocano le nostre città, fino alla plastica che invade mari e oceani, si aggrava dunque anche l’inquinamento luminoso, palesando come la nostra società non abbia ancora focalizzato quanto il rispetto dell’ambiente debba essere alla base delle nostre abitudini, come di ogni ramo tecnologico, ma in questo senso, qualcuno aveva intuito e compreso la nostra superficialità più di 160 anni fa ed è stato Sealth, capo delle tribù native americane Suquamish e Duwamish, testimonianza ne è la tanto famosa quanto inascoltata lettera che nel 1854, inviò all’allora presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce, nella missiva identificato come”Gran Capo di Washington”, in risposta all’intenzione del governo americano di acquistare i terreni delle tribù.
Il Grande Capo di Washington, ci informa che desidera comprare la nostra terra.
Il Grande Capo ci ha anche assicurato circa la sua amica e benevolenza nei nostri confronti.
Questo è gentile da parte sua , perché noi sappiamo che non necessita della nostra amicizia.
Però rifletteremo sulla tua offerta, perché sappiamo che se non lo facciamo, l’uomo bianco verrà con le armi e si prenderà la nostra terra.
Il Grande Capo in Washington, può confidare in quello che il Capo Seathl dice, con la stessa certezza con la quale i nostri fratelli bianchi, possono confidare nell’alternanza delle stagioni durante gli anni. La mia parola è come le stelle, esse non impallidiscono.
Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Quest’idea ci è estranea. Noi non siamo padroni della purezza dell’aria o dello splendore dell’acqua. Come potete allora comprarli da noi? Decidiamo solo sul nostro tempo. Questa terra è sacra per il mio popolo.
Ogni foglia rilucente, tutte le spiagge di fine sabbia, ogni velo di nebbia nelle foreste scure, ogni bagliore di luce e tutti gli insetti che vibrano sono sacri nelle tradizioni e nella coscienza del mio popolo.
Sappiamo che l’uomo bianco non comprende il nostro modo di vita. Per lui, una zolla di terra è uguale all’altra. Perché egli è un estraneo che viene di notte e ruba tutto quello di cui necessita. La terra non è sua sorella, e dopo averla esaurita, lui va via.
Lascia dietro di sé la tomba di suo padre, senza rimorsi di coscienza.
Ruba la terra dei suo figli.
Non rispetta.
Scorda la sepoltura dei suoi antenati e il diritto del propri figli. La sua sete di possesso, impoverirà la terra e lascerà dietro di sé deserti. La vista delle tua città è un tormento per gli occhi del pellerossa, un selvaggio che non capisce niente.
Non si può incontrare la pace nella città dell’uomo bianco. Né un luogo dove si possa udire lo sboccare delle foglie in primavera o il tintinnare delle ali degli insetti. Forse per il fatto di essere un selvaggio che non capisce niente, il fracasso delle città è per me un affronto alle orecchie. E che specie di vita è quella in cui l’uomo non può udire la voce del corvo notturno o il dialogare dei rospi nella lagna, di notte?
Un indio preferisce il soave sussurro della brezza sullo specchio d’acqua ed il proprio odore del vento, purificato dalla pioggia di mezzogiorno e dall’aroma dei pini.
L’aria è preziosa per il pellerossa.
Perché tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi, uomini.
Non pare che l’uomo bianchi si interessi dell’aria che respira.
Come un moribondo, egli è insensibile al cattivo odore.
Se io mi decidessi ad accettare, imporrei una condizione: l’uomo bianco deve trattare gli animali come se fossero suoi fratelli. Io sono un selvaggio e non capisco che possa essere certo in un’altra forma. Ho visto migliaia di bisonti imputridendo nella prateria, abbandonati dall’uomo bianco che li abbatteva con tiri di fucile sparati dai treni in corsa. Sono un selvaggio e non capisco come un fumoso cavallo di ferro possa avere più valore di un bisonte che noi, gli indiani, uccidiamo solo per sostenere la nostra propria vita.
Che cos’è l’uomo senza gli animali? Se tutti gli animali non esistessero più, gli uomini morirebbero di solitudine spirituale, perché tutto quello che succede agli animali, può attingere anche gli uomini. Tutto si relaziona. Tutto quello che ferisce la terra, ferisce anche i figli della terra.
I nostri figli vedranno i loro padri umiliati nella sconfitta.
I nostri guerrieri soccombono sotto il peso della vergogna.
E dopo la sconfitta passano il tempo in ozio, avvelenando il loro corpo, con alimenti, dolci e bevande ardenti. Non ha molta importanza dove passeremo i nostri ultimi giorni: non sono molti.
Alcune ore in più, forse solo qualche inverno, e nessuno dei figli delle grandi tribù che vissero in questa terra o che hanno vagato in piccole bande nei boschi, resterà per piangere sulle tombe, un popolo che un giorno fu tanto potente e pieno di fede in sé come il nostro. Una cosa sappiamo che forse un giorno l’uomo bianco scoprirà:il nostro Dio è lo stesso Dio.
Egli pensa forse che lo può possedere alla stessa maniera di come desidera possedere la nostra terra. Ma non può. Egli è Dio dell’umanità intera. E vuol bene ugualmente al pellerossa come all’uomo bianco.
La terra è amata da Lui.
E causare danno alla terra significa dimostrare disprezzo al suo Creatore.
Anche l’uomo bianco scomparirà, forse più in fretta delle altre razze.
Continua inquinando il tuo proprio letto e morirai una notte, soffocato dai tuoi propri rifiuti.
Dopo aver abbattuto l’ultimo bisonte e domato tutti i cavalli selvaggi, quando i boschi misteriosi puzzeranno di gente e le ripide colline si riempiranno di vociferanti donne, cosa resterà delle savane? non esisteranno più. e le aquile? Saranno andate via. Rimarrà solo di dire addio alla rondine della torre e alla caccia della fine della vita e comincerà la lotta per sopravvivere.
Forse capiremmo, se conoscessimo con che sogna l’uomo bianco, se sapessimo quali speranze trasmette ai suoi figli nelle lunghe notti invernali, quali prospettive di futuro offre alla sua mente perché possa formare i desideri per il giorno di domani. Ma noi siamo selvaggi.
I sogni dell’uomo bianco sono occulti per noi.
E siccome sono occulti, dobbiamo scegliere il nostro camino.
Se acconsentissimo, sarebbe per garantire le riserve che ci prometteste. Là, forse, potremmo vivere i nostri ultimi giorni come noi desideriamo. Dopo che l’ultimo pellerossa sia partito ed il suo ed il suo ricordo non sia più che l’ombra di una nuvola che passa sulle praterie, l’anima del mio popolo continuerà a vivere in queste foreste e spiagge perché noi le amiamo come un neonato ama il battito del cuore della sua mamma. Se ti venderemo la nostra terra, amala come noi la amavamo.
Proteggila come noi la proteggiamo.
Non ti scordare mai come era la terra quando ne prendesti possesso. E con tutta la tua fora ed il tuo potere, e tutto il tuo cuore, conservala per i tuoi figli. Una cosa sappiamo: il nostro Dio è lo stesso Dio: Questa terra è amata da Lui. Neanche l’uomo bianco può evitare il nostro comune destino.
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