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Camaleonti, i maestri del mimetismo criptico visivo

 
Nativi del Vecchio Mondo, i camaleonti, oltre a vantar molteplici e stupefacenti capacità, sono fra i rettili sovrani indiscussi del mimetismo criptico visivo di predazione e difesa, in tripudio di colori cangiando il singolare aspetto la cui morfologia differenzia circa duecento specie.

Non merita forse la nostra ammirazione questo piccolo animale
che si nutre di soffi d’aria e diventa, solo che lo voglia, di tutti i colori?
Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi

Appartenenti alla famiglia Chamaleonidae — così classificata nel 1815 dall’archeologo e biologo statunitense, di origini franco tedesche, Constantine Samuel Rafinesque Schmaltz (1783-1840) — e suddivisi nelle due sottofamiglie Brookesiinae e Chamaleoninae, per un totale di dodici generi, i camaleonti sono lucertole dal clade (gruppo formato da un singolo antenato comune e dalla totalità dei suoi discendenti) distintivo e fortemente specializzato il cui primario areale è il continente africano, seguito dal Madagascar, viceversa ad ospitarne ridotta presenza sono l’Asia Minore, l’Europa meridionale, l’India, il Medio Oriente, la penisola arabica e lo Sri Lanka, mentre la Florida e le Hawaii sono popolate dal Camaleonte di Jackson, specie in entrambi i territori portata dall’uomo e la cui nomenclatura scientifica — risalente al 1896 ad opera del botanico e zoologo britannico George Albert Boulenger (1858-1937) — è Trioceros jacksonii, un sauro verde scuro di circa trenta centimetri, anche diffuso in Africa orientale, con una lingua che in lunghezza supera il corpo e la cui peculiarità è quella di srotolarsi in cinque centesimi di secondo e riavvolgersi in venti.
 

La natura bizzarra e flemmatica dei camaleonti, tra i rettili, indiscussi maestri dell'arte del mimetismo di predazione e difesa • Constantine Samuel Rafinesque Schmaltz, incisione di Pietro Waincher su dipinto del 1810 di Falupi, per l'opera del botanico, Analyse de la Natura, 1815 • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info

Constantine Samuel Rafinesque Schmaltz, incisione di Pietro Waincher su dipinto del 1810 di Falupi, per l’opera del botanico, Analyse de la Natura, 1815


 
La natura bizzarra e flemmatica dei camaleonti, tra i rettili, indiscussi maestri dell'arte del mimetismo di predazione e difesa • George Albert Boulenger, anni Venti • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info
George Albert Boulenger, anni Venti

 
A livello evolutivo il primato del camaleonte più antico descritto, datato al paleocene medio, spetta all’Anqingosaurus brevicephalus, ma se ne ipotizza un’origine riferibile ad almeno cento milioni di anni fa e qualunque sia l’era precisa, gli attuali esemplari donandosi al mondo in cangiante policromia.
 
La natura bizzarra e flemmatica dei camaleonti, tra i rettili, indiscussi maestri dell'arte del mimetismo di predazione e difesa • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info
Trioceros jacksonii

 

Caratteristiche ed indole dei camaleonti

Ad accomunare le centinaia di specie sono caratteristiche quali:

la lunga lingua in grado di scattare tornando alla posizione iniziale in un istante, in virtù di una elasticità particolarmente sviluppata e che, rivestite da sostanza collosa e dotate all’estremità di ventose, catturano prede poi consumate tramite una dentatura possente e seghettata, mediante la quale i camaleonti riescono a divorare anche volatili, seppur di modeste dimensioni. In verità, nel complesso si tratta d’una meravigliosa testimonianza della magnificenza creatrice di Madre Natura, la cavità orale boccale presentando l’osso ioide avente una proiezione allungata e lati paralleli, detta processo entoglosso, dove è posto un muscolo tubolare chiamato acceleratore, il quale, contraendosi attorno alla precedente struttura con elementi di collagene frapposti, permette alla lingua di protendersi, lasciando compito di riavvolgimento al connesso muscolo retrattore, hyoglossus, altrettanto collegato allo ioide.

la tipica andatura lenta e molleggiante sulle zampe zigodattili, ossia con particolare conformazione che ne agevola la presa ai rami degli alberi, solitamente con dita accoppiate, nel caso specifico, la forza prensile garantita da tre artigli posti sulla parte esterna e due sul segmento interno degli arti posteriori, al contrario negli anteriori;

le creste, piccole corna o protuberanze, più accentuate nei maschi e posizionate in base alla specie, sul muso oppure sopra la testa;

gli occhi, aventi la possibilità di ruotare indipendentemente l’uno dall’altro, ciascuno con un campo visivo di 180° sul piano orizzontale e di 80° sul verticale, tuttavia offrendo un’osservazione stereoscopica, tra i mammiferi propria dei primati e predatori, quando ad esempio l’animale si accinge a sferrare famelico attacco, facoltà per di più garantendogli un’esatta percezione della profondità ed altrettanta precisa localizzazione dell’obiettivo, focalizzando fino ad una distanza di circa 10 metri, con le pupille perscrutanti attraverso il foro stenopeico formato dalle palpebre, unite e coprenti la quasi totalità del resto degli occhi;
 
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Variabile è invece la mole, oscillando dai 15 millimetri ai 70 centimetri inclusa la coda — prensile negli esemplari più grandi — per un peso compreso fra 50 e 150 grammi, mentre da svelare del tutto rimane come essi comunichino, difatti stando alle ricerche, i camaleonti, oltre a mutare repentinamente pigmentazione e ad assumere differenti forme, si servirebbero altresì delle vibrazioni, captando frequenze sonore non avvertibili dall’udito umano, nella gamma di 200-600 Hertz, a merito dell’organo vomero-nasale (VNO) — altrimenti detto “di Jacobson” in omaggio al medico, chirurgo e biologo danese Ludwig Lewin Jacobson (1783-1843) che nel 1813 lo individuò, dopo precedente scoperta nei serpenti ad opera del botanico e anatomista olandese Frederik Ruysch (1638-1731) — peraltro, prevalentemente impiegato al fine d’intercettare i feromoni, sostanze biochimiche aventi funzione di trasmettere informazioni tra individui della medesima specie, dunque alla base del comportamento sociale e processo riproduttivo.
 

La natura bizzarra e flemmatica dei camaleonti, tra i rettili, indiscussi maestri dell'arte del mimetismo di predazione e difesa • David Monies (1812-1894), Ludvig Levin Jacobson, ca. 1840 • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info
David Monies (1812-1894), Ludvig Levin Jacobson, 1839-40

 
La natura bizzarra e flemmatica dei camaleonti, tra i rettili, indiscussi maestri dell'arte del mimetismo di predazione e difesa • Juriaen Pool (1666-1745), Frederik Ruysch, 1694 • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info
Juriaen Pool (1666-1745) Frederik Ruysch, 1694

 
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L’habitat naturale spazia dalle zone steppose e semi-desertiche, alla savana, fino a foreste tropicali e pluviali, i “leoni di terra”— da etimologia greca «χαμαιλέων» — prediligendo ambienti arborei, pur non disdegnando i cespugli, oppure manti erbosi e lettiere boschive per i minuscoli rappresentati dell’ampia famiglia, svolgendo le attività durante il giorno — causa la difficoltà visiva in situazioni di scarsa luminosità — e con assoluta calma, invero evitando di dannarsi finanche per procacciarsi il cibo, restando ore in completa immobilità in attesa delle vittime, predilette, mantidi, locuste, grilli, vermi della farina, i camaleonti più imponenti piccoli arrivando a farfalle, insetti, raramente consumando vegetali e i camaleonti più imponenti concedendosi piccoli rettili e mammiferi.

D’indole solitaria e battagliera perfino con i propri simili, il camaleonte — raggiunta la maturità sessuale attorno ai cinque mesi — sviluppa socialità a soli scopi riproduttivi e la femmina ovipara, dopo una gestazione di circa tre settimane, sotterrando le uova — da due a duecento a seconda delle dimensioni della specie — e lasciandole nel terreno per un tempo che va dai quattro ai dodici mesi, all’opposto altre — come ad esempio nel caso del succitato Camaleonte di Jackson — figliando secondo ovoviviparità, ossia mantenendole incubate in grembo, da cinque a sette mesi, dove si schiudono, seppur senza alcun legame nutritivo tipico invece della viviparità, il guscio estremamente flessibile subendo l’influenza ambientale durante l’incubazione e la massa dell’uovo garantendo elevate possibilità di sopravvivenza se giovante sia di favorevoli condizioni ambientali che di un equilibrato rapporto idrico, in ogni caso i piccoli venendo alla luce autosufficienti e incamminandosi in un percorso esistenziale che nelle femmine dura solitamente dai due ai quattro anni, mentre i maschi vivono il doppio, tranne isolati casi di maggior longevità che si protrae fino alla decade negli esemplari che popolano lo Yemen.
 
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L’asocialità decresce qualora il camaleonte venga esposto a luce ultravioletta, situazione che ne migliora il comportamento, intensificandone l’attività motoria e, grazie al positivo effetto dell’UV sull’epifisi — ghiandola endocrina cerebrale presente nei vertebrati e influente sull’attività delle ovaie — aumentandone la potenzialità riproduttiva.

Le principali cause di fine vita sono attribuibili a malattie infettive dell’apparato visivo o della bocca, patologie ossee, stati di perdurata disidratazione e, in particolare modo, condizioni di elevato stress, a cui i camaleonti sono alquanto predisposti, in ciascuna di queste situazioni al peggiorare della salute la loro pelle annerendo e seccando, primi due sintomi ai quali prestare estrema attenzione nel caso vivano tra mura domestiche, avendo l’accortezza di farli visitare con tempismo presso strutture specializzate in fauna esotica.

L’incantevole caratteristica che rende i camaleonti perle allo sguardo è la già menzionata capacità di ridipingersi, evento però non soltanto relazionato alla mimetizzazione, ma manifestazione somatica correlata a determinate condizioni psicofisiche come la paura, sentimento che durante un combattimento li porta a gonfiarsi e ad assumere gradazioni vivaci per intimorire il rivale, all’opposto incupendosi in caso di resa, e la ridipintura resa possibile dall’azione di alcuni strati cellulari sottocutanei, i superiori contenenti dei pigmenti verdi e gialli, gli inferiori includenti un reticolo di nanocristalli di guanina, un composto chimico colorato le cui cellule guanofore hanno capacità specchiante e sono pertanto in grado di parzialmente assorbire — modulando la lunghezza d’onda e aumentando la distanza fra i nanocristalli — la luce incidente, anzitutto quella blu e quella bianca, e va da sé che se la blu si riflette, a titolo d’esempio, sul pigmento giallo, l’epidermide assumerà una sfumatura verde, la tonalità dei colori modificando intensità per azione della melanina contenuta in un terzo strato sottostante, complesso procedimento evolutivo che si differenzia in base all’areale, nelle zone desertiche prevalendo tinte più pacate e tendenti al marrone/nero, mentre maggiormente sgargianti nelle foreste.

Non tutti i camaleonti hanno abilità trasformiste, ma i privilegiati di tale peculiarità, sfoggiano un ventaglio di colori annoverante gradazioni di verde, nero, marrone, rosa, rosso, blu, arancione, viola, giallo, azzurro, turchese, alcune specie nell’atto di proteggersi dai principali predatori, aggiungendo al camuffamento, perfetta staticità e se comunque avvistati, appiattendo il corpo sui lati per apparire più grandi, passando in caso all’attacco spalancando le fauci ed asservendosi degli artigli.

Alterazione cromatica viene anche influenzata dalla ectotermia, fenomeno a causa del quale la temperatura corporea è condizionata dall’ambiente esterno, quindi spingendo gli organismi ad assumere tinte scure per assorbire luce ed aumentare il proprio calore, oppure chiare, perseguendo obiettivo inverso di respingere l’una e diminuire l’altro, in una sublime tavolozza vivente che si presenta al mondo come fosse un particolareggiato e affascinante dipinto e una trentina di specie possedendo uno scheletro a fluorescenza biogenica, le ossa brillando di blu nelle scansioni tomografiche computerizzate, a conferma dell’eclettica natura di questi stravaganti rettili.

I camaleonti sono in grado di mutare rapidamente colore secondo l’ambiente, espandendo o contraendo delle speciali cellule epidermiche contenenti granuli di pigmento.
Desmond Morris

 
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Camaleonti in adozione

Con opportune e delicate accortezze i camaleonti si prestano a essere animali domestici la cui commercializzazione è regolamentata dalla Convention on International Trade of Endangered Species (CITES), la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione firmata a Washington nel 1973, a salvaguardia di fauna e flora selvatica, nell’ottica di un ferreo contrasto allo sconsiderato traffico delle stesse, deleterio su esseri viventi ed ecosistemi.

Per responsabilmente allietarsi della compagnia di questo buffo rettile senza minarne la salute è opportuno conoscerne i parassiti più letali, in primis il phylum Nematoda — anche detto ‘verme cilindrico’ per la sua anatomia a sezione traversare circolare — la cui trasmissione avviene per mezzo di zanzare e zecche, oppure per ingestione di cibo in cui siano presenti sue uova, dato il penetrare delle larve nell’intestino attraverso la circolazione sanguigna, altri infestanti parassiti essendo i coccidi e i protozoi Trypanosoma, Plasmodium falciparum e Leishmania, rispettivamente provocanti la malattia del sonno, la malaria e la leishmaniosi, malattie altamente rischiose dalle quali tutelarsi con una preventiva informazione presso veterinari esperti in specie esotiche.

La reclusione è frequente motivo di stress, eventualità da tenere sempre in considerazione per valutarne tempestivamente il sopraggiungere, in quanto in caso di tensione prolungata i livelli di vitamina C del camaleonte crollerebbero vertiginosamente, la conseguente carenza esponendolo a un indebolimento del sistema immunitario e ulteriore accortezza è la scelta del terrario, che dev’essere illuminato per almeno metà giornata affinché si mantenga adeguata sintesi della vitamina D3, essenziale alla fissazione del calcio in prevenzione del rachitismo; umido, provvedendo con spruzzate d’acqua calda almeno tre volte al giorno; riscaldato fra i ventiquattro e i trentadue gradi; abbastanza grande e areato, dunque con pareti retate e non a vetro che siano garanzia di un ottimale rinnovo dell’aria e mai mancando di mantenere un regolare ciclo fra giorno e notte per evitarne il tanto temuto esaurimento, aggiuntiva premura a riguardo sarebbe quella di posizionare all’interno dell’artificiale dimora del fogliame, sotto cui il sauro possa ripararsi e calmare stati ansiosi; ovviamente determinante è l’alimentazione, da scegliere accuratamente in base alle specifiche esigenze dell’esemplare.

Molteplici sono i camaleonti “adottabili” e sul territorio italiano i più diffusi sono due, in entrambi casi con una lunghezza del corpo che può raggiungere i sessanta centimetri e una media generale di quarantacinque, le femmine con misure ridotte rispetto ai maschi:

il Chamaeleo calyptratus, comunemente noto come “camaleonte velato” — nomenclatura binomiale risalente al 1851 ad opera dello zoologo francese André Marie Constant Duméril (1774-1860) e del collega connazionale Gabriel Bibron (1806-1848) — è una specie proveniente dalla penisola Arabica con uno spettacolare spettro cromatico miscelato fra verde, arancione, nero, giallo, bianco e marrone, nel maschio prevalendo il giallo e il verde, con bande e chiazze blu, gialle e marroni, talvolta grigio-rossastre a seconda dello stato emotivo, nella femmina prevalendo un verde omogeneo con macchioline bianche alle quali, in stato di cattività, s’aggiungono screziature gialle e blu, la tinta trasmutando in verdone scuro ed entrambi i sessi provvisti di una coda prensile molto possente e portando una medio-alta protuberanza sul capo appellata “casco”, a livello di gusto spiccando su tutti per il suo gradire, al di là di quanto succitato, alcuni fiori, frutti e ortaggi;
 

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Chamaeleo calyptratus

 
il Furcifer pardalis — anche detto “camaleonte del Madagascar” per la provenienza geografica o “camaleonte pantera” — deve classificazione scientifica, del 1829, al biologo francese Georges Leopold Chretien Frédéric Dagobert Cuvier (1769-1832) ed i principali colori che ne pennellano il corpo sono il rosso, il verde, l’arancione, il blu, ai quali si aggiungono altre tonalità e la cui amalgama dipende dagli specifici luoghi di provenienza per quanto riguarda i maschi, all’opposto le femmine mantenendo una trasversale tinta marrone, che si diversifica solamente nella disposizione decorativa dei motivi in base alla zona geografica; fondamentale, nella femmina del Furcifer pardalis, è accorgersi per tempo dell’instaurarsi di una gestazione — facilmente riconoscibile dal corpo più tondeggiante — allo scopo di prepararle un luogo dove essa possa depositare serenamente le uova, in caso contrario trattenendole in grembo e rischiando di morire per distocia.
 
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Furcifer pardalis

 
In passaggio dal macro al micro, all’estremità delle due specie più grandi appena citate sta il minuscolo e grazioso Brookesia micra, una tenera creatura che in età adulta misura appena tre centimetri, scovata sull’isolotto Nosy Hara — Canale del Mozambico — le cui lillipuziane dimensioni hanno da subito attirato l’interesse degli studiosi, in esse leggendo un processo evolutivo tipico del “nanismo insulare”, commovente storia del legame che lega ogni essere vivente alla propria terra e di verosimili adattamenti sospinti dalla sopravvivenza.
 
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Brookesia micra

 
Portatori viventi dell’esplosione di tinture che ne avvolge i corpi e ammalianti nel loro commutarne parvenza, i camaleonti fin dai tempi più antichi furono associati a simbolici miti, una leggenda del popolo africano dei Chewa, o Nyania, del Malawi considerandoli messi degli dèi inviati agli uomini per testimoniare la sussistenza di un aldilà e in quasi tutto il Madagascar vissuti con timorosa reverenza; dai Dogon, tribù africana del Mali, vengono associati all’arcobaleno collegante l’anima terrena al regno dei Cieli; per i Pigmei, popolazione largamente diffusa nell’Africa equatoriale, sono rettili partecipi alla creazione del mondo, secondo la suggestiva credenza forgiatosi a seguito di un colloquio avvenuto fra un albero e il primo camaleonte esistente il quale, dopo aver chiesto alla pianta di parlare più forte per poterla sentire, di fronte al rifiuto della stessa la squarciò in due, da lei fuoriuscendo l’acqua che, abbeverando il suolo, originò la Terran e dalle due parti del tronco formandosi l’uomo e la donna.

A livello generale il camaleonte è ritenuto metafora del cambiamento, tanto in positivo quanto in negativo, ovvero rinnovandosi evolvendosi oppure camuffandosi menzogneri, la colorita lucertola richiamando saggezza e percezione psichica, data la sua visione binoculare; la lunghezza della sua lingua biasimando un utilizzo superficiale e irriguardoso delle parole; la lenta andatura sottolineando l’importanza di calma e riflessione.

Positive connotazioni di versatilità, rinascita, serenità, genuinità, audacia e spirito d’adattabilità sono solamente alcune delle ragioni per le quali il camaleonte viene spesso scelto come tatuaggio, il sognarlo invece, in virtù delle facoltà mimetiche, prestandosi tanto a interpretazioni positive quanto negative, in qualsiasi caso offrendo alla mente la possibilità d’inoltrarsi in un intimo percorso di conoscenza interiore e allo sguardo lasciando la sensazione più profonda, quella d’incantarsi alla vista di un tinto essere vivente dalla pelle dura e dal cuore morbido, insospettabilmente fragile nell’animo e alquanto schivo, tuttavia d’una disarmante dolcezza d’espressione, fra stramba ilarità e seducente eccentricità.

Gaia lucertola, bevi il tuo sole; rapida passa l’ora, come suole, forse domani piove, e te ne duole.
Ernst Jünger

 
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