Basilicata e petrolio ad ogni costo
La Banca Europea degli Investimenti, seguendo le direttive dell’UE dovrebbe erogare finanziamenti per progetti come lo sviluppo e la protezione dell’ambiente.
Nei primi anni del nuovo millennio dispose 1400 miliardi per l’estrazione di petrolio in Basilicata.
Le previsioni sulla soddisfazione del fabbisogno nazionale è stata centrata, i giacimenti lucani infatti forniscono l’8% dell’intera produzione italiana, con 85 mila barili al giorno.
La rete stradale attraversata dalle autocisterne subito si dimostra inadeguata.
Numerosi sono gli incidenti stradali, conseguenza dei quali è il versamento di greggio con successivo obbligo di bonifiche, che a quanto pare, spesso non si sono rivelate immediate ed efficienti.
Oltre al rischio d’inquinamento, molti cittadini aggiungono l’incompatibilità di un territorio che dovrebbe invece basare la propria economia sulle caratteristiche che le sono proprie, produzione agricola e turismo.
Immediate furono anche le riflessioni da parte di geologi a causa delle perforazioni.
I timori nascevano dal fatto che l’intera zona interessata, si mostrava a forte rischio sismico e la domanda era se le trivellazioni effettuate avessero già potuto pregiudicare la conformazione del territorio.
Gli accertamenti sull’impatto ambientale, come previsto dalla legge, furono svolti dal’ENI.
Oggi la regione è attraversata da una rete di 700 km di oleodotti.
Greenpeace e la Maxi-Inchiesta
Il 3 marzo del 2016 Greenpeace pubblica il rapporto “Trivelle Fuorilegge” attraverso il quale vengono forniti i dati circa l’inquinamento dei mari italiani provocati dalle trivelle.
Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento, alla luce dei risultati delle analisi effettuate mostrò preoccupazione per “una contaminazione grave e diffusa“.
I dati riportavano infatti che vicino alle piattaforme, la presenza di idrocarburi e metalli pesanti erano superiori ai limiti consentiti dalla legge.
ISPRA, è l’istituto preposto alla protezione e ricerca sotto la vigilanza del Ministero dell’Ambiente e quantomeno singolare è che i monitoraggi effettuati dall’ente pubblico, siano stati commissionati ancora dall’ENI, proprietaria delle piattaforme sotto esame.
Andrea Boraschi, responsabile Energia e Clima, dichiarò che “l’operato dei petrolieri è fuori controllo, nascosto all’opinione pubblica e gestito in maniera opaca“.
Poche settimane dopo, 6 arresti e 60 indagati tra dirigenti e responsabili ENI, sono le conseguenze delle indagini svolte sul C.O.V.A. e sul progetto Tempa Rossa di Corleto.
Inchiesta che portò anche alle dimissioni del ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi.
Oltre a fenomeni di clientelismo e familiarismo, dalle intercettazioni telefoniche nacque l’ipotesi di un illecito smaltimento dei rifiuti derivanti dalle estrazioni.
Manovra che avrebbe portato all’ENI un risparmio di circa 60 milioni di euro l’anno, “avvelenando il territorio“.
Queste furono le parole del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, secondo il quale si trattava inoltre di “criminalità organizzata ambientale su base imprenditoriale, veri e propri delitti d’impresa“.
Da parte sua, il colosso petrolifero si disse pronto a collaborare con la magistratura.
A seguito del parere favorevole dei consulenti nominati dai pm della Procura, termina definitivamente il sequestro dell’impianto imposto pochi mesi prima.
Referendum, petrolio ed inquinamento
Il 17 aprile dello stesso anno si tenne il referendum sulle trivelle.
Preceduto dalle solite risse politiche e da un insolito invito a “disertare” dell’allora Presidente del Consiglio Renzi, terminò con il celebre ed elegante “ciaone” dando continuità ai piani, alle modalità d’estrazione e alla raffinazione del petrolio.
Oggi, mentre la Croazia per voce del ministro per l’Economia, annuncia la chiusura delle proprie acque, in ragione della tutela ambientale, dalla quale dipende anche la ricchezza proveniente dal turismo, in alcune zone dell’Italia sale la preoccupazione per disastri ambientali.
Già allertati dalle fiammate anomale verificatasi varie volte al C.O.V.A., l’impianto di raffinazione presente nella Val d’Agri, i cittadini lucani vedono trovar ragione delle proprie inquietudini, a causa di una fuori uscita di liquidi da un serbatoio.
Liquidi che raggiungono i pozzetti esterni.
ENI dichiara trattarsi di acqua e olio grezzo stabilizzato, ma addetti alla messa in opera di impianti di erogazione, dipendenti del Consorzio ASI – ente strumentale della Regione Basilicata – denunciano la presenza di petroli all’interno dei depuratori del lago Pertusillo, le cui acque sono adibite a servizi irrigui e potabili, ad uso di 3 milioni di persone.
Secondo quanto emerge dalla diffida che la Regione Basilicata ha fatto all’ENI, le segnalazioni di criticità dovute all’usura e deterioramento dei serbatoi risalgono al 2008, il dubbio quindi è che gli interventi fatti per la manutenzione e la messa in sicurezza, siano stati quantomeno insufficienti.
Nel 2015 nasce “Analiziamo la Basilicata” per volontà dell’associazione C.O.V.A. Contro.
I risultati delle analisi da loro commissionate e raccolte in due aree del Pertusillo – contrariamente a quanto asserito dalla Regione Basilicata e l’Arpab sotto la supervisione dell’Ispra – rilevano la presenza di idrocarburi oltre la soglia consentita.
Basilicata e “Sismologia indotta”
A questo si aggiungono le perplessità esposte più volte anche da parte di Enzo Boschi, geofisico tra i massimi esponenti a livello mondiale.
Montemurro, a pochi chilometri da Tempa Rossa, nel 1857 fu epicentro di un terremoto di magnitudo 7, del tutto simile a quello dell’Irpinia nell’80 ed il numero complessivo delle vittime calcolato supera le 15000.
La Val D’Agri è tutt’oggi ritenuta zona a intensa pericolosità sismica, così il Prof. Boschi, partendo dalle conclusioni sul terremoto dell’Emilia nel 2012 che non escludevano la possibilità di una “sismologia indotta” determinata dalla reiniezione dei fluidi di scarto fatta in concomitanza alle estrazioni petrolifere, osserva che tale pratica «in zone sismiche della crosta terrestre è in grado di generare terremoti anche forti! È un fatto ufficialmente riconosciuto da organi scientifici e di governo. Desta meraviglia che la Protezione Civile con le sue centinaia di esperti interni e i suoi consulenti esterni non si sia pubblicamente pronunciata su una questione tanto delicata. Noi cittadini vorremmo essere informati. E ne abbiamo tutto il diritto», in conclusione indicando che «se i fluidi iniettati per lungo tempo in Val Padana hanno scatenato terremoti non si capisce perché non possa succedere anche in Basilicata e non si prendano le dovute precauzioni».
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