Ara, il variopinto e possente pappagallo americano
Tinteggiata in piumaggio da incantevole tripudio di colori, l’Ara è un esotico pappagallo d’aspetto possente nonché di straordinario acume e un animo particolarmente incline alla socialità che, da tempi remoti, è motivo di legame con l’essere umano.
Sono i brillanti colori e l’aspetto solare a conferirgli la sua magia.
Ted Andrews
La superficie terrestre è formata da otto regni biogeografici, o ecozone, suddivisioni imperniate sulla distribuzione degli organismi e ulteriormente frazionate in ecoregioni sulla base degli habitat o delle caratteristiche comuni a fauna e flora; fra questi è il regno neotropicale, comprendente il centro-sud dell’America (ad esclusione della Patagonia e della terra del Fuoco), le isole caraibiche e la parte meridionale del Messico, della Florida e della California, zone di nicchia ecologica dell’Ara, il cui nome di genere, derivante dall’ormai estinta lingua Tupi, venne coniato nel lontano 1799 dal naturalista francese Bernard Germain Étienne de Lacépède (1756-1825), per definire scientificamente un esemplare di rara bellezza e vivacità cromatica, coniugate ad una corporeità di rilevante portata ed indiscusso fascino.
Specie, caratteristiche e abitudini
Stando a nomenclatura di Lacépède, del genere Ara, famiglia Psittacidae (Johann Karl Wilhelm Illiger, 1811) e sottofamiglia Arinae (George Robert Gray, 1840), otto sono le specie sopravvissute, oltre alle quali tre ormai scomparse e quattro specie ipotetiche, ossia quelle estinte postulate che rimangono annoverate in contesto di supposizione per mancanza di prove scientifiche inconfutabili a riguardo, potendo di conseguenza le stesse incappare in errata identificazione.
Ad aggiungere incertezza nominale alle specie ipotetiche è in più il fatto che determinati Ara vennero portati nei Caraibi, fin dalla preistoria, dai Paleoamericani, prime popolazioni a dimorare nelle Americhe nel tardo Pleistocene*, oltre che dagli europei in periodi successivi, ed in seguito commutati fra le varie isole, essendo di fondamentale importanza per la cultura caraibica nativa, dunque i pennuti soggetti a numerosi scambi che ne rendono infattibile l’inopinabile interpretazione di documenti storici a riguardo, plausibilmente rischiando di confondere le specie endemiche con le selvatiche o le importate.
Al di là di quale possa essere la remota realtà, le specie ipotetiche sono quattro, vale a dire:
• Ara gossei, o Ara rossa della Giamaica, nomenclatura binomiale, datata al 1905, ad opera del politico, barone, banchiere e zoologo britannico Lionel Water Rothschild (1868-1937);
• Ara erythrocephala, o Ara gialloverde della Giamaica, nome scientifico attribuito dal naturalista britannico Philip Henry Gosse (1810-1888);
• Ara martinica, riferita per la prima volta, nel 1905, dal succitato Rothschild.
Per quanto invece concerne le otto specie esistenti, ne fanno parte, vantando — secondo relativa appartenenza — una lunghezza oscillante fra i 46 e i 96 centimetri e un peso variabile dai 280 e i 1700 grammi circa:
• Ara chloropterus, o Ara dalle ali verdi, la più grande del gruppo: areale nelle foreste del Sudamerica settentrionale – nomenclatura binomiale, nel 1859, dell’ornitologo inglese George Robert Gray (1808-1872);
• Ara ambiguus, o Grande Ara verde: areale in Ecuador, Panama, Colombia, Honduras, Nicaragua, Costa Rica – nomenclatura binomiale, nel 1811, della guardia forestale, ornitologo, entomologo, erpetologo, botanico e naturalista tedesco Johann Matthäus Bechstein (1757-1822);
• Ara macao, o Ara scarlatta: areale in America centro-meridionale – nomenclatura binomiale, nel 1758, di Linnaeus;
• Ara ararauna, o Ara gialloblu, la più notoria e diffusa: areale in Colombia, Panama, Ecuador, Venezuela, Guyana, Perù, Bolivia, Brasile, Paraguay, Trinidad – nomenclatura binomiale, nel 1758, del medico, botanico, accademico e naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778);
• Ara glaucogularis, o Ara golablù: areale nella parte settentrionale della Bolivia – nomenclatura nominale, nel 1921, dell’ornitologo italo argentino Roberto Raul Dabbene (1864-1938);
• Ara militaris, o Ara militare: areale in Messico e lungo le Ande, fra il Venezuela e la parte settentrionale dell’Argentina – nomenclatura binomiale, nel 1866, di Linnaeus;
• Ara rubrogenys, o Ara fronterossa, ad alto rischio d’estinzione: areale in una minuscola area montana della Bolivia, ad ovest di Santa Cruz – nomenclatura binomiale, nel 1847, dell’ornitologo francese Nöel Frédéric Armand André de Lafresnaye (1783-1841);
• Ara severus, o Ara frontecastana, la più piccina delle otto: areale in Sud America, Panama, Tumbes-Chocó-Magdalena, bacino amazzonico — nomenclatura binomiale, nel 1758, di Linnaeus.
Infine, fra le tre specie estinte:
• Ara guadeloupensis, o Ara delle piccole Antille, estinta dal 1885 circa, descritta da due botanici francesi: nel 1654 e 1657 da Jean-Baptiste Du Tertre (1610-1687) e dall’esploratore, scrittore, religioso, etnografo, militare e proprietario terriero Jean Baptiste Labat (1663-1738), nel 1742, mentre dello zoologo statunitense Austin Hobart Clark (1880-1954) è la definizione scientifica datata 1905, lo stesso che tre anni più tardi classificò l’Ara atwoodi, o gialloverde della Dominica, in onore del giudice coloniale britannico Thomas Atwood (?-1793), il quale ne scrisse in The History of the Island of Dominica edito nel 1791.
• Ara tricolor, o Ara rossa di Cuba, definizione, nel 1811, per mano, nel 1847, del già citato Bechstein;
• Ara autocthones, o Ara di Saint Croix, nota solamente per reperti ossei sub-fossili appartenenti al IV secolo a.C. e riportati alla luce, nel 1934, in un sito archeologico dell’isola caraibica di Saint Croix, da Luis J. Korn (1903-1992) e, nel 1937, tracciata e definita in binomiale ordinamento dal paleontologo, ornitologo, e biologo statunitense Frank Alexander Wetmore (1886-1978).
Roelant Savery (1576-1639), dipinto di Dodo insieme ad esemplari di Ara delle piccole Antille ed Ara martinica rispettivamente raffigurate a sinistra ed in alto a destra, ca. 1620
Nell’arcobaleno di piumaggio che caratterizza le Are, i colori predominanti, differentemente combinati a seconda della specie, sono il verde, il blu, il giallo e il rosso, con colorazioni non soggette a dimorfismo sessuale, quindi senza differenze particolari fra i maschi e le femmine, inoltre le piume dei giovani esemplari divenendo sin da subito molto simili a quelle degli adulti.
Il corpo, di postura fieramente eretta, è longilineo, la testa larga, la mandibola di rilevante compattezza e l’occhio, il cui sguardo custode d’incredibile ingegno e suscitante immediata simpatia, è contornato da pelle chiara che prosegue fino alla base del becco, quest’ultimo massiccio e arcuato, di colore nero per tutte le appartenenti al gruppo, ad eccezione dell’Ara chloropterus e dell’Ara macao, nelle quali è il bianco a farla da padrone; la coda, utilizzata insieme a starnazzi per comunicare fra simili, è molto lunga, similmente lo sono le strette ali, tipica conformazione di volatili che si trovino a percorrere notevoli distanze, dato che, nonostante l’elevata adattabilità del genere al proprio ambiente, salvo che vi siano numerosi e grandi piante, al volatile fondamentali, frequenti sono gli spostamenti fra i vari habitat alla ricerca di cibo.
A dispetto della grandezza, il becco dell’Ara viene utilizzato in maniera molto delicata e chirurgica, giovandosene soprattutto in fase d’esplorazione e d’approvvigionamento, nutrendosi attraverso un’alimentazione a base di frutta, sia carnosa che secca, come noci e anacardi, di bacche e di semi, in speciale modo quelli protetti da guscio, che abilmente viene aperto grazie al poderoso rostro uncinato ed estremamente mobile di cui la natura l’ha dotata; nel complesso, seppur con lievi differenze di gusto fra le varie specie, caratteristica comune è l’essere onnivora, di conseguenza cibandosi anche di fiori, nettare, foglie, linfa di piante, cereali, legumi e carpendo una minima dose proteica, inferiore al 5% sul totale assimilato, da lumache, insetti o minuscoli vertebrati.
Le zampe zigodattili (con il secondo e il terzo dito rivolti in avanti, il primo e il quarto indietro) artigliati, consentono una forte presa ed un’elevata capacità d’appollaiarsi in tutta sicurezza, questo anche grazie ad un’involontaria contrazione dei tendini che ne aumenta la forza, senza particolare affaticamento muscolare.
Gli alberi sono essenziali all’Ara sia per alimentarsi che per riprodursi, in quanto solite nidificare nelle cavità di tronchi viventi o meno, benché l’Ara militaris e l’Ara chloropterus si giovino in più delle insenature fra le pietre, per costruire quella che sarà la prima accogliente dimora della futura figliolanza, in realtà le rocciose fenditure unica possibilità di nidificazione, e non una scelta fra più opzioni, per l’Ara rubrogenys, considerato il suo areale a clima semidesertico e la vegetazione costituita prevalentemente da arbusti spinosi e cactus.
L’Ara crea un legame di tipo monogamico, duraturo per l’intero corso della sua esistenza, arrivando i due innamorati pennuti a sfiorarsi calorosamente le ali durante il volo e accoppiandosi annualmente, oppure ogni due anni, durante la stagione riproduttiva che avviene nella prima metà dell’anno e dall’atto d’amore generandosi da 2 a 3 uova, la cui cova richiede circa un mese, con successiva nascita di pulli ciechi e completamente privi di piumaggio, che comparirà a partire dal decimo giorno di vita.
Lo svezzamento è condiviso fra i due amorevoli e protettivi genitori — fortemente combattivi nei confronti d’eventuali predatori — la prima settimana nutrendo i propri cuccioli esclusivamente la madre, tramite rigurgito, da quel momento in poi anche il padre provvedendo al loro sostentamento, solitamente entro il trimestre i piccoli raggiungendo la completa indipendenza, con maturazione sessuale su per giù dopo un abbondante triennio.
A parte l’estremo istinto di difesa della prole, che lo rende impavidamente bellicoso, l’Ara è un pappagallo infinitamente docile e predisposto ad instaurare una fedele ed intensa relazione con gli umani, tuttavia mai mancando, qualora si decida di pregiarsi della sua compagnia, di stimarne le infinite sfumature caratteriali, riflesso d’un tenero animale particolarmente empatico e facilmente incline a stati depressivi se involontariamente offeso da deleteria incomprensione, ingiustamente ledendone il connaturato animo generosamente canzonatorio.
Era un pappagallo spelacchiato e maniaco, che non parlava quando glielo chiedevano bensì nelle occasioni più impensate, ma allora lo faceva con una chiarezza e un uso della ragione non molto comuni negli esseri umani.
Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del colera
L’Ara, compagna di vita
L’Ara, cresciuta a livello domestico, richiede un specifica preparazione e conoscenza che sia garante di restituito benessere, condizione fondamentale nei confronti di qualsiasi animale che si decida di condurre al proprio fianco, nello specifico caso rendendosi necessario imparare a conoscerlo dal punto di vista psicofisico, allo scopo d’instaurare un rapporto che tenga fede al rispetto primo fra esseri viventi e l’imprescindibile valutazione delle loro plurime necessità.
Cura e cautela sono dunque i due principali vettori ai quali costantemente riferirsi, a partir dalla preparazione dell’ambiente che andrà ad alloggiare il nuovo arrivato, nel quale, se possibile, oltre ad un’ampia gabbia sarebbe opportuno predisporre una stanza nella quale esso possa liberamente svolazzare ed esplorare il suo nuovo territorio, dilettandosi giocando, attività prediletta che mai gli andrebbe impedita.
All’interno della gabbia i posatoi dovrebbero essere agevoli, meglio se in legno naturale e non lisci, viceversa presentando irregolarità di superficie che mantengano stimolato il senso tattile, allo stesso tempo privi di concavità favorenti l’accumulo di sporcizia; egualmente basilare è la presenza di un lima unghie apposito che ne escluda l’eccessiva lunghezza, il che al fine di evitare che si spezzino, dando luogo a cospicue perdite di sangue, essendo infatti le stesse copiosamente irrorate dallo stesso.
Se il pappagallino viene accolto ancora in fase di sviluppo, la costante osservazione delle zampe con tempestivo intervento in caso di problematiche, ne assicura una crescita sana, testimone della quale è una pelle priva di croste o infiammazioni, al pari di un’andatura fisiologica, escludente casi di displasia, motivo per cui anche il fondo della gabbia andrebbe predisposto in maniera da garantire una corretta posa e andatura.
Al generale stato di buona salute contribuisce un’alimentazione appropriata, nutriente e completa, per programmare la quale non si deve inciampare in improvvisazioni dall’insalubre risvolto generale, rivolgendosi per tempo ad esperti del settore che sapranno fornire linee guida anche per quanto riguarda i delicati tempi dello svezzamento, che, in ogni caso, non sono mai da velocizzare impedendone il naturale corso, pena lo sviluppo di un carattere irrequieto ed insicuro; è pertanto possibile optare per alimenti preformulati oppure per una nutrizione a matrice casalinga, in questo frangente ricordandosi di non somministrare alimenti salati, grassi o fritture o che, per la specie, risultino nocivi, perciò rigorosamente evitando latticini — causa intolleranza al lattosio — cioccolato, prezzemolo, parti verdi di melanzane e pomodori, avocado e quant’altro una corretta informazione precauzionale riporti come tossico; al contrario, frutta e verdura fresca, tolta quella sconsigliata, dev’essere fornita in abbondanza, con l’aggiunta di tutto quel che una sana alimentazione prevede, saltuariamente potendo concedergli piccoli pezzi di pasta o pane integrale, molto raramente uova e pollo previa bollitura.
Ma è a livello psicologico che la decisione di fare dell’Ara quotidiana compagna di vita dev’essere ponderata in maniera direttamente proporzionale alla quantità d’impegno, pazienza e comprensione che si è disposti ad impiegare nel nuovo rapporto, qualità essenziali, affinché lo stesso s’instauri in maniera vicendevolmente appagante; di rilevante importanza, per un intreccio emotivo di lunga durata — vivendo i pappagalli anche oltre il mezzo secolo — è non avere timore del loro becco e della loro esuberanza, inoltre avendo ben chiara la possibilità che l’arredamento di casa possa accidentalmente venire danneggiato dagli stessi, questo non significa non imporsi con un’educazione provvista di determinate regole, sacrosante, che il volatile ben comprende ed assimila e senza le quali diverrebbe irrimediabilmente ingestibile, ma si tratta di preventivamente focalizzare quali siano le priorità e di mettere in conto quanto possa verificarsi fra le mura e, nel caso tutto ciò venga percepito come difficilmente sopportabile, la scelta migliore sarebbe quella di desistere dall’intraprendere avventura, per il bene d’ambedue.
L’Ara ama immensamente dedicarsi ad attività di gioco, dunque reclamando molteplici e differenti passatempi che si possono trovare in negozi specializzati o creare a livello domestico, purché i legni utilizzati non siano fonte d’essenze tossiche, avendo cura di non lasciare comunque a “portata di zampa” oggetti che possano risultare dannosi o provvisti di piccole parti potenzialmente ingeribili.
Giocare, tuttavia, non si tratta solo di mero divertimento, ma d’irrinunciabile sollecitazione intellettiva per una specie che di analisi, risoluzione di problemi e ricerca del cibo, fa il suo pane quotidiano, senza il quale le facoltà mentali non s’esprimerebbero secondo le meravigliose potenzialità a lei innate: per raggiungere tali obiettivi è tassativo dedicare del tempo al proprio pennuto, rispettivamente interagendo nel proporgli pratici grattacapi da risolvere e nascondendo il cibo per modo che lo stesso s’attivi nella sua ricerca, non cedendo alla quotidiana monotonia e conseguente pigrizia derivata dal susseguirsi di giornate sprovviste di motivazione.
Una mancata attenzione nei suoi confronti ed atteggiamenti d’indifferenza getterebbero pappagallo in severi stati ansiosi che, protratti, rischierebbero di somatizzare in graduale autodeplumazione, essendo l’Ara dotata di fine intelligenza e spiccata sensibilità, quindi d’animo facilmente sfregiabile da noncuranza e privazione affettiva.
Contemporaneamente, il suo temperamento cocciuto, macchinatore, pretenzioso e talvolta battagliero, specie nel periodo di passaggio alla fase adulta, richiede una buona dose d’equilibrio da parte del proprietario, oltre al saperne interpretare i linguaggi del corpo, specialmente nel periodo ormonale, causa di bruschi sbalzi d’umore ma, soprattutto, la propensione al donargli una forte carica d’affetto che sappia accoglierne l’indole allo sperimentarsi, la solarità, la piacevolezza, lo spirito burlone, la costante sete d’apprendimento, il desiderio di vicinanza ma, al di sopra di tutto, il sincero trasporto nel legarsi profondamente attraverso il volersi bene, uno slancio sentimentale da nutrire giorno per giorno senza mai stancarsi, all’opposto tenacemente relazionandosi e reciprocamente arricchendosi in una singolare e preziosa connessione fra esseri viventi figli della stessa madre.
Una buona intesa interpersonale ed una regolare interazione ne favoriscono la parlantina, incentivando l’Ara alla ripetizione di vocaboli fino all’associazione di più termini, generando in essa educati atteggiamenti riconosciuti ed attuati in piena autonomia, come il ringraziare o il salutare, manifestazioni verbali possibili unicamente per la strabiliante intelligenza dei pappagalli in genere, sebbene non tutte le specie posseggano medesima predisposizione; l’interattivo processo d’apprendimento verbale è infatti possibile per una conformazione fisica che rende il loro apparato respiratorio simile a quello umano, permettendo agli stessi d’avvalersi di siringe — organo vocale esclusivo ai volatili e posto sulla biforcazione dei bronchi — e trachea per l’emissione di suoni, incurvando quest’ultima e così variandone sia durata che intensità dell’effetto acustico e questa è la ragione per la quale i pennuti muovono il collo durante i loro vocalizzi, assumendo sembianze quasi sovrannaturali.
Al di là della specie, il pappagallo in generale è da tempi remoti intriso di denso valore simbolico, interpretato come paradigmatica creatura dai colori sgargianti, eletto emblema d’energia e parallelamente comparato alla potenza del fuoco e al vigore della sfera solare; in alcune tribù dell’America precolombiana, in alcune etnie ancor oggi, il suo utilizzo era previsto per pratiche rituali.
Ruolo di passaggio delle anime, che in lui si reincarnerebbero in fase di trasmigrazione, gli viene tuttora attribuito dagli Indios Bororo, un gruppo etnico del Brasile di circa duemila individui che vivono sparsi in otto villaggi nello stato del Mato Grosso.
Dalla simbologia alla leggenda il passo è breve e il policromatismo che rende taluni pappagalli degni d’esser ritenuti dipinti viventi, ha originato più narrazioni a riguardo, fra le quali un’incantevole racconto degli Indios dell’Amazzonia secondo cui al mondo non esistevano colori a parte il nero, il bianco e il grigio, rispettivamente abbinati a notte, giorno, alba e tramonto.
La noiosa tenuità di tale atmosfera portò gli dèi a riunirsi nella comune decisione di dotare la terra di più gradazioni e, a turno, andando alla ricerca di varie nuances e man mano trovandone di sconosciute, a partir dal rosso del sangue fuoriuscente dalla casuale ferita alla testa d’uno d’essi, per continuare con il verde ottenuto dallo strofinamento delle foglie, quindi scoprendo il marrone nelle profondità dalle terra, carpendo l’azzurro dalle volte celesti dalla cima d’una monte e il giallo dalla risata d’un fanciullo.
Esausti della faticosa giornata di ricerche e dopo aver attribuito un nome ad ogni tonalità, gli dèi si coricarono lasciandole custodite in una cassetta ai piedi d’un albero, sennonché le stesse uscendo e, per festeggiare, miscelandosi l’una con l’altra, generando ulteriori cromie, alle quali il nero e il bianco, sentendosi fuori dai giochi, vollero unirsi, a loro volta aggiungendo sfumature chiare e scure.
Al loro destarsi, gli dèi rimasero stupefatti di quanto accaduto, essendosi le tinte decisamente moltiplicate, quindi salirono sul promontorio per lanciarle a raffica sul pianeta e le stesse si sistemarono, tra fauna e flora, per come sono attualmente, inoltre adagiandosi anche sulle persone ed arricchendole in diversità, sia di pelle che d’opinione.
Terminata la generale tintura del pianeta, le divinità s’interrogarono su come fosse possibile conservare tutti i colori insieme e, notato un pappagallo grigio che s’era nascosto rimanendo escluso dalla variopinta pioggia, gettarono sopra le sue piume tutti i colori, facendone il simbolo primo dell’armonia del creato, oltre ogni differenza.
È in eco lontano che questa narrazione Indios giunge all’udito, ciò nonostante sentitamente vicina nell’inchiostrarsi sul cuore, nel volerne far tesoro in virtù dell’infinita saggezza, propria ad ogni animale, nella sua capacità di vivere in melodioso equilibrio sulla sfera terrestre interagendo con i suoi ospiti in discreta deferenza, quasi fosse una punta di colore in mezzo a quel meraviglioso acquerellato che la natura è stata in grado di dipingere, probabilmente pulendo setole sulle piume dell’Ara, ad essa concedendosi in eccelsa dovizia.
Quello che vidi fu…tanti pappagalli e di tante diverse specie che era una meraviglia; alcuni colorati di verde, altri di uno splendido giallo limone e altri neri e ben in carne; e il canto degli altri uccelli che stavano negli alberi era cosa così soave e melodica, che molte volte rimanemmo ad ascoltare tale dolcezza. Gli alberi che vidi sono di tale e tanta bellezza e leggerezza che pensammo di trovarci nel paradiso terrestre…
Amerigo Vespucci, Il mondo nuovo. Scritti autentici e apocrifi
* Pleistocene: epoca geologica rappresentante la prima parte dell’era nesozoica, o quaternaria, — durante la quale comparve l’uomo — compresa fra i 2,58 e i 11.700 milioni di anni fa.
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.