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Semi di virtù: anice stellato, papavero, papaya, quinoa

 
Nati prima dell’uomo e da sempre facenti parte della sua nutrizione, i frutti di Madre Terra gelosamente custodiscono prodigiosi ed inestimabili semi dalle svariate proprietà nutritive, perle di natura giovanti all’intera umanità, generose nel germogliare e nel lasciarsi cogliere, per poi rifiorire in meravigliosa ciclicità, pertanto meritevoli di onesto riguardo e riconoscente considerazione, in consapevolezza di consumo.
 

Semi di anice stellato

L’Africa mi toccò l’animo già durante il volo: di lassù pareva un antico letto d’umanità. E a 4000 metri di altezza, seduto sulle nubi, mi pareva d’essere un seme portato dal vento.
Saul Bellow

Storia, curiosità, caratteristiche e i possibili effetti benefici sulla salute derivanti dal consumo dei semi offerti dai fiori di anice stellato, papavero, quinoa e da quelli meno celebrati eppur preziosi, custoditi nella papaya • Terzo Pianeta (https://terzopianeta.info)
 

Storia, caratteristiche e proprietà

Albero tropicale dai frutti a forma di stella a otto punte, l’anice stellato (Illicium Verum) appartiene alla famiglia delle Illiciaceae, ossia piante angiosperme, le più evolute, con fiore vero e seme protetto, oltre che essere dicotiledone, quindi possedendo, all’interno del seme, un embrione con due cotiledoni, le foglie embrionali carnose deputate al nutrimento dello stesso embrione, dalla germinazione alla fotosintesi.

L’anice stellato è pianta sempreverde (raramente un arbusto), originaria dell’Asia sud orientale, la cui altezza varia da 5 a 10 metri; i suoi fiori, rosati oppure bianco-giallastri, sono di grandi dimensioni e crescono nell’ascella delle foglie, le quali hanno forma ovale-lanceolata, sono di colore verde lucido e fuoriescono da una corteccia legnosa, grigio biancastra.

Originario del Vietnam e della Cina meridionale, dalla quale fu introdotto in Europa nel XVII secolo, il particolare frutto dal sentore di liquirizia ed anice venne utilizzato fin dai tempi antichi nella medicina tradizionale cinese, soprattutto per i suoi effetti diuretici, stimolanti ed antinfiammatori, ulteriori proprietà curative ne furono esaltate dall’enciclopedista e medico romano Aulo Cornelio Celso, oltre che dal filosofo naturalista Gaio Plinio Secondo, detto Plinio il Vecchio, dall’antico medico greco Galeno di Pergamo e dall’illustre ed innovativo “padre della medicina”, l’antico greco Ippocrate.

La raccolta dei frutti stellati, che a piena maturazione si aprono lasciando fuoriuscire il seme, avviene quando gli stessi sono ancora verdi, per poi farli essiccare al sole, al calor del quale gli stessi assumono un colore bruno-rossastro, preziose basi per la produzione di un olio essenziale dalle molteplici virtù culinarie (da assumere in dosi contenute) e cosmetiche, ricavato dai semi tramite distillazione in corrente di vapore ed utilizzato come componente di creme, profumi, creme o prodotti destinati all’igiene personale, come dentifrici, collutori e saponi, sfruttandone l’intenso aroma che si rivela ottimo alleato nel combattere l’alitosi, oltre a favorire i naturali processi digestivi, proteggendo la mucosa gastrica e la flora intestinale, con discreta riduzione di aerofagia, flatulenza e meteorismo, oltre ad avere un generale effetto antinfiammatorio ed antibatterico sull’organismo.

A livello domestico può risultare piacevole essenza per biancheria, con importante effetto antitarmico, grazie all’elevato contenuto di anetolo, oltre che profumare gradevolmente gli ambienti sotto forme di pot-pourri, con ritorno distensivo e riequilibrante dovuto agli effetti dell’aromaterapia.

In cucina l’anice stellato è valido ingrediente, in quanto salutare, a ridotto contenuto di sodio ed assolutamente privo di colesterolo; dopo averne bollito e poi pestato in un mortaio i baccelli, è ideale come insaporitore per brodi, minestre, zuppe, primi piatti a base di pasta, arrosti e verdure, avendo cura di aggiungerlo poco prima di servire la pietanza, in maniera da conservarne appieno il sapore.

Ottimo aromatizzante per dolci da forno, in particolar modo come guarnizione per biscotti o come alternativo ripieno di confetti, l’aromaticità che lo caratterizza lo predispone alla preparazione di liquori fini, come l’anisetta di Bordeaux, oltre che a riscoprirne le potenzialità a caldo, sciogliendolo in rilassanti tisane dove, a seconda dell’effetto che si desidera ottenere, può essere abbinato a differenti spezie quali zenzero, cannella, finocchio ed altri, a seconda del gusto personale.

 

Curiosità

Storia, curiosità, caratteristiche e i possibili effetti benefici sulla salute derivanti dal consumo dei semi offerti dai fiori di anice stellato, papavero, quinoa e da quelli meno celebrati eppur preziosi, custoditi nella papaya • Terzo Pianeta (https://terzopianeta.info)
 
Da sempre ritenuta pianta sacra dai cinesi, nella simbologia generale i semi bruciati come incenso vengono considerati uno stimolante aggancio con il proprio inconscio, il portarne alcuni con sé risulta inoltre essere di buon auspicio, richiamando fortuna e consapevolezza psichica.

La forma stellata dei frutti li rende simpaticamente propensi ad un uso decorativo, specialmente in periodi natalizi dove gli stessi possono stimolare la creatività infantile, invitando i più piccini a colorare insieme le graziose stelline, per poi utilizzarle come abbellimento dell’albero natalizio, come segnaposto in casi di pranzi con invitati oppure come piccoli profumati oggetti da incollare su cartoncino disegnando soggetti a piacimento.


 

Semi di papaya

Cuore, se un ignorante ti dice che l’anima, come il corpo, è mortale, rispondi che anche il fiore muore, ma i semi rimangono.
Kahlil Gibran

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Storia, caratteristiche e proprietà

Le Caricaceae sono una ridotta famiglia di arbusti alla quale appartiene la papaya (Carica papaya), alberello a ridotta ramificazione e tenerezza di tronco, il cui fusto cilindrico raggiunge l’altezza di 5-10 metri, indossando, esclusivamente nell’estrema parte superiore, foglie alterne di colore verde, con evidenti venature giallognole, lisce, di forma palmare e molto ampie, nel cui punto d’intersezione si origina il fiore, un’esplosione di bianco su cinque petali, uniti attorno ad una corolla di tonalità ocra. Il saporito frutto, pendente sul tronco da sotto le foglie, porta forma ovale di variabile grandezza, a seconda della tipologia, una buccia verde scuro che tende al giallo-arancio una volta raggiunta la maturazione ed una polpa di vivace ed intenso arancione, appetibile al sol osservarla, ricolma di minuscoli semi neri, ricchi di mucillagini.

Pianta esotica originaria del Centroamerica, l’uso della papaya è di secolari origini e l’intervento delle popolazioni indigene sulla crescita spontanea a fini di domesticazione, ne rese gradualmente i frutti più grandi e gustosi; nonostante la breve vita della pianta, della durata di 20-25 anni, la lunga sopravvivenza dei semi ne permise l’esportazione, nel XVI secolo, da parte degli esploratori spagnoli, prima nei Caraibi e, a seguito, nelle Filippine, in India, nelle zone insulari del Pacifico ed infine in Asia, innescandone ampia diffusione che, attualmente, ne vede la crescita in ogni zona tropicale del pianeta.

Oltre all’indiscussa fama della polpa, la cui morbidezza e dolcezza sono caratteristiche tipiche che ne consentono gli utilizzi più disparati, quindi in primi piatti, salse e insalate, estratti, frullati e dolci, infusi e gelati, fino ad un suo piacevole gustarne il frutto semplice o candito, i suoi semi sono preziosi alleati del benessere dalle insospettabili virtù benefiche.

Antibatterici ed antinfiammatori, gli stessi posseggono potere depurativo, in particolar modo a livello epatico e renale, sono indicati in regimi dietetici ipocalorici, in quanto di formidabile capacità assorbente degli zuccheri, oltre all’effetto dimagrante della papaina, enzima ad alto potere degradante sulle proteine in peptidi e valido apporto in casi di difficoltà digestive, oltre alla presenza di acido oleico e palmitico, che sembrerebbe giocare a favore nella prevenzione di patologie oncologiche.

Il contenuto di micronutrienti vitaminici dei gruppo A, E e tre fondamentali vitamine del gruppo B, quali tiamina, niacina, riboflavina, rafforzerebbe le difese immunitarie, a fianco di fosforo e calcio, protettivi delll’apparato osseo, ferro, fondamentale al mantenimento dei livelli di emoglobina nel sangue ed infine un discreto apporto di fibre, necessarie all’equilibrio dell’apparato intestinale.

I semi di papaya, dal sapore vagamente rapportabile a quello di peperoni e senape, possono tranquillamente essere consumati crudi ed interi, al naturale, inseriti negli impasti di pane, usati per salse e condimenti o, ancora, come stuzzicanti ingredienti da miscelare ad insalate, pietanze a base di pesce, per marinare carne di maiale, manzo oppure pollo, speziare zuppe o succhi di frutta; nel caso di frullati in cui il sapore amarognolo rischi di risultare troppo accentuato, lo si potrà facilmente mitigare con l’aggiunta di frutta particolarmente dolce, con del latte di cocco o con del miele, in abbinamento al quale i semi di papaya divengono un miscuglio davvero energizzante.

Per la loro estrazione, il frutto, che dovrebbe essere scelto ben maturo, quindi con buccia gialla e lievemente tenero al tatto, va tagliato in verticale e poi privato dei semi tramite un cucchiaio, poi da sciacquare abbondantemente in acqua fredda e, in caso di non immediato consumo, da riporre in frigorifero chiusi in contenitori ermetici.

Posti ad essiccare in forno e poi sottoposti a mortaio, se ne otterrà una fine polvere da utilizzare come spezia a piacimento, da sola, o miscelata ad altre spezie gradite.

 

Curiosità

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Simbolo di passione sfrenata, infedeltà e perenne giovinezza, antiche tradizioni popolari narrano del pericolo di sostare nei pressi di un albero di papaya nelle notti particolarmente oscure o in fase d’eclissi, credendo che, approfittando del buio, una furia improvvisa potrebbe impossessarsi della pianta rendendola viva e mettendo a rischio chiunque sosti accanto al suo tronco.

Una carezza ad alcuni semi di papaya è delicata ed emozionante scena di una pellicola drammatica del regista asiatico Anh Hung Tran, datata 1992, dal titolo Il Profumo Della Papaya Verde (Mùi đu đủ xanh), in cui si narra la storia di Mui, una bambina di appena 10 anni venuta dalla campagna e mandata dai genitori a servizio di una famiglia benestante; il film, ambientato nel Vietnam fra in primi anni Cinquanta e Sessanta, delinea la storia di una bambina in una sorta “cenerentola” orientale, evidenziane e l’innata capacità di entrare in armonia con la natura, nella sua fauna e flora. Ricollegandosi ad un frutto sulla cui maturazione ricalcare la commovente crescita di Mui, il regista ne metaforizza la crescita alla maturazione della papaya che, nel cortile della casa padronale, la ragazzina cucina nostalgicamente riportando la mente ai suoi affetti e luoghi natii.


 

Semi di papavero

L’anima è come un seme che deve germogliare e svilupparsi… può essere acquisita soltanto nel corso della vita; non solo, ma è un gran lusso, riservato a pochissimi uomini. La maggior parte della gente trascorre tutta la vita senz’anima, senza padrone interiore. Per la vita ordinaria, l’anima non è affatto necessaria.
Georges Ivanovic Gurdjieff

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Storia, caratteristiche e proprietà

Appartenente alla famiglia delle Papaveraceae, il papavero è gracile pianta erbacea con fusto molto sottile, lievemente peloso, d’altezza variabile e comunque inferiore ad un metro, abbigliato di verdi foglie dentellate che si rivolgono in sguardo al fiore, delicato abbraccio di 4 fragili petali a protezione d’un frutto contenente piccolissimi semi.

Centinaia sono le varietà esistenti, la più comune e diffusa in Italia è il Papaver rhoeas, il rosso fiore a crescita spontanea che diviene meraviglioso manto di prato, bordando fossi e ferrovie, senza però possedere nessuna proprietà nutritiva, in compenso divenendo musa ispiratrice di numerosi pittori, in particolare dei Macchiaioli toscani che, nel XIX secolo, ne dipinsero le purpuree tonalità sulla tela, puntinandole su vasti prati.

Due sono invece le varietà da cui si ricavano semi commestibili, ossia il Papaver nigrum, dai petali neri ed il Papaver setigerum, con petali bianchi chiazzati di tonalità violacee; alle due varietà “alimentari” si affianca, ad utilizzo specificamente farmacologico, il Papaver somniferum, utilizzato in preparazioni anestetiche, data la sua potente concentrazione di sostanze stupefacenti.

Le opinioni sulle origini dei papaveri sono divergenti, specialmente per quanto riguarda il Papaver somniferum, per molto tempo ritenuto di provenienza orientale, tuttavia scavi archeologici ed approfondimenti antropologici effettuati nel XIX secolo, ne hanno teorizzato un primo processo di domesticazione sul versante europeo del Mediterraneo, dopo il ritrovamento di numerosi semi in siti palafitticoli. L’utilizzo alimentare dei semi delle specie commestibile è comunque noto fin dall’antichità, gli stessi venivano infatti usati dai Romani per insaporire pietanze ed assunti nella convinzione che avessero potere afrodisiaco, mentre i Galli ne utilizzavano prevalentemente l’olio; antica usanza celtica si narra fosse invece quella di mescolarne il succo nel pasto dei fanciulli per indurli al sonno.

A tutt’oggi se ne apprezzano aroma e profumo, utilizzandone sia i semi che l’olio per i numerosi benefici ad essi associati, come l’effetto rilassante sul sistema nervoso dato dalla presenza di sostanze alcaloidi e la concentrazione di vitamine del gruppo B, stimolanti i processi digestivi che, in concomitanza con il contenuto di fibre vegetali, ottime nel mantenimento dell’attività intestinale, favorirebbero un buon equilibrio psicofisico. Le vitamine C ed E, unite al manganese, prevengono il deterioramento epidermico e tissutale, salutare contributo alle ossa è invece apportato dai notevoli livelli di calcio; potassio, grassi omega 6, acido oleico e linoleico, contribuiscono a combattere il colesterolo “cattivo” (LDL), favorendo il “buono” (HDL) a vantaggio dell’intero apparato cardiocircolatorio.

I semi possono essere bianchi o blu scuri, quasi neri, con medesimo sapore, sfiziosi per prodotti da forno e di pasticceria, frittate, torte salate, minestre, verdure cotte o come aromatico ingrediente aggiuntivo nelle insalate; miscelare i semi all’impanatura per la carne o per il pesce, conferisce agli stessi un gusto deciso, simile a quello della nocciola. La croccantezza tipica li rende ingredienti ideali per un’energica colazione, miscelandoli allo yogurt oppure ad altri tipi di cereali, avendo cura di non eccedere nelle quantità in quanto, essendo semi oleosi, l’apporto calorico è abbastanza corposo; anche per la conservazione serve accortezza, essendo gli stessi facilmente deperibili, pertanto se ne sconsigliano scorte abbondanti.

 

Curiosità

Storia, curiosità, caratteristiche e i possibili effetti benefici sulla salute derivanti dal consumo dei semi offerti dai fiori di anice stellato, papavero, quinoa e da quelli meno celebrati eppur preziosi, custoditi nella papaya • Terzo Pianeta (https://terzopianeta.info)
 
Narra una vecchia leggenda che il re romano Tarquinio il Superbo, allo scopo di mostrare al figlio efficaci metodi per assediare la città di Cabi, l’avesse portato in giardino, poi mostrandosi nell’atto repentino di recidere tutti i tulipani con un solo colpo di bastone, gesto atto a metaforizzare l’eliminazione di tutte le persone più influenti di una città, al fine di conquistarla; per questa ragione il termine “papavero” viene spesso utilizzato come sinonimo di persona potente.

Differente leggenda racconta della dea agreste Proserpina (la greca Persefone), figlia di Zeus (o Giove) e Cerere (o Demetra), dea della terra, rapita dal dio degli Inferi Plutone, innamoratosi di lei al primo sguardo, mentre stava raccogliendo fiori in giardini siciliani, per esser condotta nell’oltretomba e qui divenire sua sposa. Alla disperazione della madre Zeus nulla fece, cosicché Cerere decise di non occuparsi più della terra, lasciando che tutto appassisse fra carestie e siccità; al che, Zeus la pregò di tornare sulle sue decisioni, offrendogli in cambio aiuto per la figlia. Egli affidò dunque a Mercurio il compito di ricondurre a casa Proserpina, ma ciò fu impossibile in quanto la stessa, non rispettando il digiuno assoluto, condizione per poter ritornare sul mondo, si era condannata a rimanere per sempre negli oscuri regni. Non accettando di dover fare a meno di sua figlia, la madre perseverò nella propria noncuranza, finché Zeus non riuscì a trovare un compromesso, in base al quale Proserpina avrebbe potuto restare con i propri genitori per 8 mesi all’anno, ritornando accanto a Plutone per i rimanenti 4 mesi. Quando in primavera Cerere tornò dunque ad accudire la terra, i prati rigermogliarono di piante e fiori e, fra le spighe di grano nacquero copiosi papaveri.


 

Semi di quinoa

Inverno.
Come un seme il mio animo ha bisogno del lavoro nascosto di questa stagione”
Giuseppe Ungaretti

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Storia, caratteristiche e proprietà

Tipica dell’America Latina, la quinoa radica le sue origini, circa 5000 anni or sono, nelle Ande, più precisamente nei pressi del lago Titicaca e prevalentemente fra Cile, Perù e Bolivia, territorio in cui la stessa assunse fondamentale importanza prima per i Maya e poi per gli Incas, instancabile tribù peruviana, quest’ultima, che, con smisurata dedizione all’agricoltura tramite sfruttamento delle risorse di un territorio, peraltro alquanto ostile, riuscì a divenire una fra le principali civiltà precolombiane fra il XIII ed il XVI secolo.

Popolazione fortemente cooperativa, la compattezza a livello sociale ne permise il graduale estendersi colonizzando gli altipiani andini e predisponendone le terre alla piantagione di colture di sussistenza, fra queste, appunto, la quinoa, per millenni coltivata a fini alimentari ed utilizzata come simbologia religiosa e rituale, di fatto considerata sacra e di buon auspicio all’imponente Impero inca costituitosi.

Nei secoli a seguire, sacralità di pane di concezione cattolica fu principale molla sulla quale i conquistadores spagnoli, verosimilmente ritenendo il seme blasfemo e nel tentativo di affossare la cultura religiosa delle popolazioni native allo scopo di un’efficace conversione al cattolicesimo, fra il XV ed il XVII ne vietarono la coltivazione a favor di frumento, rischiandone la completa sparizione che, tuttavia, non si concretizzò appieno, sfuggendo al vegetale massacro alcune piccole piantagioni di tradizione casalinga attraverso le quali, furtivamente, arditi coltivatori aborigeni tramandarono i preziosi semi di generazione in generazione, di conseguenza permettendo una riscoperta della pianta durante il XX secolo.

In lingua questua appellata chisiya mama, ossia “madre di tutti i semi”, la Chenopodium quinoa è perenna pianta erbacea, fruticosa ed arbustiva, appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae, il cui fusto fibroso, di lunghezza variabile fra i 30 cm ed i 3 mt, porta ramificazioni laterali e radici fittonate molto profonde; le foglie, alterne, ampie e dentate, accolgono in generoso abbraccio minuscoli fiori che stanno racchiusi su un asse centrale in maniera da assumere la conformazione di una pannocchia. I colori prevalenti della pianta vanno dal verde intenso, all’arancione, al rosso, seppur tonalità e morfologia siano precisamente correlate al terreno di crescita; in base alla varietà, ne esistono oltre 200, i preziosi semi, piatti, di forma conica, ellissoidale o sferoidale, possono essere neri, bianchi, beige, gialli, rossi o marroni e sono ricoperti di saponina, un’amara sostanza a loro funzionale come protezione e difesa dall’attacco dei volatili.

La presenza di questa sostanza, potenzialmente nociva, rende necessario l’accurato lavaggio dei semi prima di utilizzarli ad uso alimentare e nella varietà Real, la saponina è presente in minori quantità rispetto alle altre tipologie, uno dei motivi per cui, fra le 10 commercializzate in Italia, essa, di colore bianco, è al primo posto delle classifiche di vendita; ulteriore diversità di conformazione dipende dalle zone climatiche di provenienza o da eventuali selezioni effettuate sulle stesse.

Della decade distribuita su tutta la penisola, tre sono principalmente i gruppi di riferimento:

Le varietà bianche, con maggiore velocità di cottura dovuta alla buccia meno resistente;
Le varietà rosse, per cuocere le quali si necessità di maggior tempo rispetto alle bianche;
Le varietà nere, con tempi più lunghi rispetto alle altre due, ma ricche di antiossidanti.

Allo stesso modo, la quantità di saponina influenza la dolcezza del prodotto in maniera inversamente proporzionale, suddividendo le varietà in dolci (Real), semidolci ed amare.

Al di là del piccolo impegno richiesto nell’operazione di lavaggio, assumere semi di quinoa permette di beneficiare delle innumerevoli proprietà di questa pianta che, proprio per la sua incredibile valenza nutrizionale, è stata annoverata fra la schiera dei superfood, ossia quegli alimenti considerati “super” per elevata capacità nutritiva e conseguenti effetti benefici.

La ricchezza in amido della quinoa potrebbe erroneamente far pensare che la stessa appartenga alla famiglia dei cereali, sebbene così non sia, contenendo rispetto agli stessi un maggior contenuto sia di fibre (salutari alla regolarità intestinale), che di proteine, sia di minerali (soprattutto l’energizzante magnesio) che di grassi, specie i polinsaturi omega 6 (a protezione cardiocircolatoria) o l’acido oleico (contrastante il colesterolo), aumentandone in breve tempo la richiesta, in particolar modo nella pratica di diete vegetariane e vegane, in regimi dietetici ipocalorici, dato il potere saziante ed in caso di celiachia, essendo la quinoa totalmente priva di glutine.

Alimento fortificante grazie alla presenza di varie vitamine, fra cui la C e la E in alta concentrazione, la presenza dell’intera gamma di amminoacidi essenziali, ovvero quelli che un organismo vertebrato non è in grado di sintetizzare autonomamente in discreta quantità, necessitando dunque di assumerne con l’alimentazione, lo rende toccasana ad ampio raggio; in particolar modo, uno fra questi amminoacidi, la metionina, sembrerebbe favorire il metabolismo dell’insulina, a beneficio di coloro che soffrono di patologie diabetiche.

A prevenzione dell’invecchiamento epidermico entrano in gioco gli antiossidanti di cui il “miracoloso grano delle Ande” è ricco, specialmente i flavonoidi, tipo la quercitina, che, com’è ormai risaputo, sono i principali antagonisti dei radicali liberi, causa prima del precoce decadimento di pelle e tessuti.

I croccanti semi di quinoa, dal gusto vagamente nocciolato, si possono cucinare ed assumere dopo zelante lavaggio e, se in cottura, portandoli ad ebollizione, senza eccedere nei tempi, fino al raggiungimento di uno stato di trasparenza, poi avendo cura di scolarli per bene al fine di evitare pietanze eccessivamente annacquate, considerando l’alta capacità della quinoa di trattenere l’acqua ed utilizzandoli infine in accompagnamento ad insalate, come ingredienti di torte salate o piatti a base di carne o pesce, in forma di cous cous, inseriti in rustiche zuppe oppure abbinandoli ad un piatto di riso.

Qualora si decidesse di utilizzare la farina derivata dai semi di quinoa per la preparazione di torte o biscotti, la totale assenza di glutine prevede che la stessa venga utilizzata insieme alla farina di frumento, per favorire la lievitazione.

Come tutti gli alimenti, anche la quinoa presenta effetti collaterali se consumata in dosi eccessive, in quanto la presenza di ossalati, combinandosi con ferro, zinco e magnesio, ne potrebbe contrastare l’assorbimento, quindi risultando controindicata in caso di anemie e osteoporosi; per la precisione, l’ossalato di calcio, se assunto in quantità elevate, potrebbe risultare deleterio, essendo cristallo insolubile che, precipitando nelle vie urinarie, potrebbe causare l’insorgere di calcoli renali.

 

Curiosità

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Fino ai primi anni Ottanta la coltivazione della quinoa è andata scemando, rimanendo esclusivamente ristretta ai territori andini e quasi rischiando la completa estinzione di specie, fino alla decisione di rilanciarne coltura e consumo da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), nell’annuale conferenza del 1983, portando la tradizionale pianta andina nei palati di tutto il mondo, in particolare in Occidente, dove la stessa è divenuta protagonista indiscussa sulle tavole dei commensali più esigenti.

Considerandole la storia, la cultura, la provenienza e l’assoluto legame alimentare con le popolazioni autoctone che per millenni ne hanno sapientemente accudito le piantagioni, rendendolo alimento di base per la loro sussistenza, il politico e diplomatico sudcoreano Ban Ki-moon, segretario generale dell’ONU dal 2007 al 2016, valutandone inoltre le potenzialità future riguardo al sostentamento nutritivo mondiale, all’Assemblea generale delle nazioni unite, ha ottenuto, da parte della FAO, che il 2013 venisse ufficialmente dichiarato come Anno Internazionale della Quinoa. Un contributo alla sicurezza alimentare globale in riguardoso ricordo ed elogio delle antiche popolazioni andine e della loro capacità d’interagire con la natura, nutrendosene nel rispetto della biodiversità ed uno sguardo al futuro, nello sforzo comune di giungere alla responsabile produzione di alimenti di qualità che sappiano sopperire alle carenze nutrizionali delle popolazioni più a rischio, ulteriormente messe a dura prova dal graduale cambiamento climatico. Solidale impegno ed altruistica speranza affidata ad una pianta che simboleggia la prosperità e la buona salute, nell’inscindibile e primitivo vincolo con le popolazioni che ne furono premurosa culla e dedita cura, fra secoli e generazioni.

L’atto della coltura, pratica che in tempi antichi si fece arte dell’uomo, piantagioni in cui schiene arcuate seppero unire le proprie mani alla madre terra, soffiando caldo respiro sulla semina, dalle vette più elevate e nei territori più ostili. Una relazione seria, significativa, quasi parentale fra il clemente coltivatore ed il proprio appezzamento che si fece piccolo podere di cuore e che, a distanza di secoli, ancora commuove ed insegna, spronando ad una rilettura della biodiversità come unico orizzonte possibile che renda degni di farne parte.
 

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Vincent van Gogh (1853-1890)
Campo di papaveri, 1890, olio su tela

 
 
 
 

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