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Il sottile confine tra piacere e dolore: è tutta chimica?

 
 
Esiste un vero e proprio collegamento tra piacere e dolore. Spesso le concepiamo come due sensazioni distinte e addirittura opposte. Tendiamo ad andare verso il piacere e siamo soliti rifuggire dal dolore. Eppure recenti studi scientifici hanno dimostrato che le aree cerebrali legate al piacere e quelle legate al dolore in parte corrispondono e sono interconnesse. Tutto ciò è fondamentale, perché si aprono prospettive nuove molto interessanti, visto che, anche attraverso ulteriori ricerche, si potrebbe riuscire a capire fino in fondo quando il dolore è in grado di determinare il piacere o si potrebbero trovare delle soluzioni alternative a quelle tradizionali per “soffrire” di meno.

 

I circuiti chimici del piacere e del dolore

Se esaminiamo queste due sensazioni dal punto di vista cerebrale, ci accorgiamo come entrambe condividano alcuni circuiti della ricompensa. Sia il piacere che il dolore provocano il rilascio di alcuni neurotrasmettitori, come per esempio tra i più conosciuti la dopamina e gli oppioidi endogeni. Gli oppioidi sono rilasciati per alleviare il dolore e, a loro volta, tutti gli eventi positivi inducono il nostro organismo a rilasciare oppioidi, determinando una sensazione di soddisfazione.

È come se fosse un circuito unico, sia fisico che psichico. Infatti un’esperienza che abbiamo vissuto come positiva può portare anche al rilascio di dopamina, che rinforza il nostro desiderio di ripetere l’esperienza o di avere ancora più soddisfazione. Questo spiegherebbe, almeno in parte, come affermano molti esperti, il legame che c’è da dolore e piacere.

Naturalmente non si tratta di comportamenti estremi come il masochismo, perché, anche se il piacere e il dolore nascono dagli stessi circuiti cerebrali, questo non vuol dire che la sofferenza provochi una sensazione di piacere.

Gli studiosi hanno scoperto che più che altro il legame si avverte quando il dolore sperimentato è capace di attribuire un significato ancora più ampio e più intenso alle emozioni positive. È lo stesso effetto che si verifica, per esempio, quando siamo stati a lungo esposti al freddo e poi ci ristoriamo bevendo una cioccolata calda. Avendo sperimentato una sensazione di sofferenza, riteniamo che quella cioccolata calda ci procuri un’emozione più grande e più intensa rispetto a quella che possiamo provare in altri contesti.

Gli studiosi hanno verificato anche, attraverso degli esperimenti specifici al riguardo, come il dolore induca a procurarsi delle emozioni positive di propria volontà. Hanno visto infatti come dei partecipanti ad uno studio che dimostravano una esperienza ingiusta e dolorosa alla fine si premiavano anche con un dolce ipercalorico. Da un certo punto di vista, quasi per assurdo, si potrebbe affermare che abbiamo bisogno del dolore per poi stare bene. Ma questa affermazione, secondo gli esperti, vale soltanto a breve termine. Infatti quando parliamo di sofferenza esistenziale le cose vanno in modo del tutto diverso.

 

A cosa porta la sofferenza vissuta in gruppo

Su questo aspetto ci possono illuminare anche alcuni fatti di cronaca che hanno accentrato su di essi l’attenzione nazionale. È come se le esperienze di sofferenza vissuta in gruppo fossero capaci di scatenare esperienze positive nelle persone, rendendole più disponibili all’altruismo e alla generosità.

Basti pensare a quanto accade ogni volta che una comunità subisce danni derivanti da una catastrofe naturale come il terremoto. Assistiamo spesso in queste occasioni all’intervento di molti volontari che si prestano ad aiutare le persone in difficoltà. La scienza non è ancora riuscita a spiegare i veri e propri meccanismi che stanno alla base di questa tendenza.

Però sicuramente appare rilevante il ruolo svolto dalla memoria. È come se le emozioni forti vissute in quei momenti condivisi dal gruppo restassero più impresse nella memoria e quindi assumessero maggiore importanza. È da questo che ricaviamo l’impulso ad agire con più generosità.

 

Che cosa procura oggi piacere

In generale il meccanismo che porta a generare il piacere è il seguente. Se giudichiamo piacevole un’esperienza, mettiamo in moto alcuni meccanismi chimici nel cervello che ci fanno provare una sensazione di piacere. In questo modo associamo all’esperienza vissuta anche dei segnali sensoriali che giudichiamo come piacevoli.

Si tratta di sensazioni esterne, come immagini, suoni e odori, ma anche interne, che riguardano principalmente i nostri pensieri. Le associazioni che facciamo ci permettono di capire come comportarci per rivivere di nuovo quell’esperienza positiva. Siamo così portati ad assegnare un valore all’esperienza, in modo che nel futuro sapremo come comportarci per farla accadere di nuovo.

Si può provare piacere anche col pensiero e in questo caso la gratificazione è proprio quell’elemento in più che ci spinge ad imparare. Nel corso dell’evoluzione l’uomo ha complicato ancora di più la situazione, aggiungendo ad esperienze fisiche di piacere, come per esempio il cibo o l’acqua, anche gratificazioni legate ai piaceri culturali. Ma anche questi ultimi attivano gli stessi neuroni che sono legati alla sopravvivenza, insomma le stesse sensazioni primarie e che si concentrano soprattutto nel nucleo accumbens, la zona del cervello che può essere considerata il centro del piacere.

Oggi abbiamo sperimentato nella civiltà dell’immagine sempre più modi per soddisfare questo nostro desiderio di piacere. Per esempio negli adolescenti il possesso di uno smartphone o di un tablet all’ultima moda può portare a ricevere l’approvazione degli altri e quindi fa sentire al centro della vita sociale attivando una sensazione di gratificazione.

Possiamo dire a pieno titolo che oggi esistono altre fonti di piacere, del tutto nuove. Molte sono legate all’utilizzo dei social network e delle nuove tecnologie per comunicare. Possiamo provare piacere anche mandando un messaggio su WhatsApp o condividendo su Facebook momenti della nostra vita quotidiana.

Ma in questo senso ci sono anche dei rischi, visto che il nostro cervello non sembrerebbe essere dotato di un sistema automatico che consenta di dare un limite alle emozioni positive. Quindi, per esempio, dai videogiochi non si riesce spesso a staccare la spina oppure si attivano meccanismi che sfiorano il patologico, come per esempio quelli legati al gioco d’azzardo. Possiamo dire che le nuove fonti di piacere della vita contemporanea tendono a creare più dipendenza e quindi a provocare sofferenza, quando scaturiscono da esse sensazioni sgradevoli.

 

Come fare a non soffrire più?

Esistono dei veri e propri analgesici naturali, che possono agire in maniera efficace, perché legati alla percezione del dolore che non è sempre uguale, ma può essere differente da persona a persona. Per esempio i ricercatori dell’Università di Oxford hanno scoperto che uno di questi analgesici naturali è la risata. Anche le parolacce e le imprecazioni possono riuscire ad alleviare dolori acuti e aiuterebbero a sopportare meglio la sofferenza.

Tra effetto placebo, ancora oggi utilizzato, e suggestioni varie, si potrebbe giungere a trovare per il futuro la cosiddetta “strada per la felicità”? Non sembrerebbe proprio azzardato affermarlo, perché qualche scienziato ipotizza anche di riuscire a dissociare il piacere dalla dipendenza, manipolando un circuito giusto per provare benessere ogni volta che si vuole avere questa sensazione.

Secondo molti futurologi, si potrebbero mettere a punto nanorobot cerebrali, per manipolare facilmente processi cognitivi, ricordi, emozioni e pulsioni, per poter controllare anche i circuiti del piacere e quindi indurci a ripetere i comportamenti gratificanti con l’obiettivo di ridurre il dolore. Impresa ardua, comunque, visto che nel nostro cervello sono presenti circa 100 miliardi di neuroni e collegamenti tra di essi molto delicati che determinano il funzionamento di tutta quella macchina complessa che è il nostro cervello, in continua comunicazione con il resto del corpo.
 
 
 
 

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